Il gatto, il cane e la volpe
C’era una volta un gatto di nome Micio che ogni giorno, in estate, se ne stava sdraiato sotto l’ombra di un verde melograno, e, in inverno e se non pioveva, sotto l’ombra di un prosperoso e rigoglioso arancio. Micio si alzava da quel posto soltanto quando il padrone gli metteva il cibo nella sua ciotola. Mangiava, si leccava i baffi, si lavava con la sua lingua il pelo e poi ritornava sempre là, sotto l’albero a godersi la vita. Spesso i suoi padroni lo lasciavano senza assistenza per diversi giorni e Micio, terminato il cibo che gli avevano lasciato nella ciotola, da animale domestico si trasformava per la fame in animale selvatico andando a caccia di topi, di lucertole, di uccelli, soprattutto di merli che planavano sul verde prato alla ricerca di qualche briciola di pane o di qualche lombrico o di qualche altro verme. Dopo varie volte, ormai nel giardino non esistevano più né topi né lucertole né merli né vermi. Micio aveva sterminato ogni essere vivente alla sua portata. Per sfamarsi Micio, ora, era costretto a scavalcare la recinzione e andare a mangiare di nascosto nella scodella del cane del giardino accanto, dove trovava sempre del cibo appetitoso e non i soliti croccantini di casa sua. Fido si chiamava il cane che mal sopportava questo fatto per due motivi, primo, perché non voleva che nel suo piatto ci immergesse il muso un altro e, secondo, perché quello era il suo cibo senza il quale sarebbe rimasto giustamente affamato. Come si sa, tra cane e gatto non c’è mai stato buon sangue e, da che mondo e mondo, raramente si è visto un gatto fare amicizia con un cane e viceversa. Fido, poi, invidiava Micio anche per la vita che costui faceva, anche se lui conduceva una vita simile, una vita da cani per intenderci. Purtroppo, siamo portati sempre a vedere la gobba degli altri ma mai quella nostra perché questa sta sulla schiena la cui visione ci è ovviamente impedita. Fido, perciò, quando vedeva Micio in prossimità della recinzione che separava i due giardini, gli abbaiava all’improvviso e a squarciagola, e Micio per lo spavento fuggiva come una saetta. Fido aveva il pelo di un colore bizzarro, indefinito, sfuggente e per questo i suoi padroni dicevano che quel pelo aveva il colore di un cane che fugge. Ironia della sorte, quando Micio scappava da Fido il suo pelo, in quell’occasione, prendeva il colore del gatto che fugge. In tal caso sia Fido che Micio avevano rispettivamente il colore del cane che fugge e il colore del gatto che fugge.
Quel cane brutto e cattivo era diventato un tormento per Micio che oltrepassando la siepe del confine era costretto a scappare arrampicandosi, aiutato dai suoi artigli retrattili, lungo il robusto e grosso tronco di una grande quercia secolare. Ciò per sua fortuna era impedito al cane che non aveva gli stessi artigli.
‐ Se ti acchiappo, farai una brutta fine. Non devi venire mai più ‐, gridava Fido guardando Micio dal basso verso l’alto, ovviamente nella lingua dei cani che risultava incomprensibile al gatto che, invece, parlava la lingua dei gatti.
E lassù Micio rimaneva appollaiato fino a quando Fido per la noia causata dalla lunga attesa desisteva e andava via a riposare nel suo giaciglio.
Questa storia si presentava ogni volta che i padroni andavano via per molto tempo, e Micio era costretto dalla fame a rubare il cibo di Fido, e Fido era costretto ad inseguire, a ragione, Micio per non rimanere affamato. Diciamolo chiaramente però. A Micio piaceva il cibo di Fido perché era più appetitoso e ricco di sapori e il fatto che rimaneva senza cibo era una scusa per giustificare il suo tentativo di latrocinio.
Le situazioni, tuttavia, non durano in eterno e dire che ciò avvenga per fortuna o per sfortuna è relativo. Un bel giorno i padroni di Fido, infatti, fecero abbattere la quercia su cui Micio si rifugiava, perché essendo maestosa sovrastava pericolosamente la casa. Inconsapevolmente, però, avevano creato un sicuro problema per Micio a cui veniva a mancare in tal modo un rifugio, diventato per così dire perfetto, perché era a due passi dalla cuccia di Fido. Senza la quercia ora gli sarebbe stato impossibile fuggire. Il percorso per ripararsi nel proprio giardino era lungo e sicuramente non ce l’avrebbe fatta. Fido l’avrebbe afferrato con le sue lunghe fauci e l’avrebbe sbranato.
‐ Meglio morire di fame che sbranato da un cane oltretutto antipatico e cattivo ‐, pensava Micio.
E allora che fare? Micio non trovava nessuna soluzione a questo problema. Aveva perso ogni speranza, povero gatto, ma come si sa la speranza è l’ultima a morire. Anche se sperare vuol dire sottrarre tempo alla vita. Un bel giorno, infatti, da quelle parti passò la volpe Genìa che fece subito amicizia con Micio perché era nemica acerrima di Fido o almeno questo riferì a Micio.
‐ Piacere di conoscerti, mi chiamo Genìa ‐, disse la volpe a Micio.
‐ Piacere! Sono lieto di conoscerti. Come mai da queste parti? ‐ Chiese compiaciuto il gatto.
‐ Ero di passaggio nel giardino accanto e un brutto cane, molto cattivo e anche antipatico, mi ha rincorso per sbranarmi. Per fortuna che sono più veloce e più agile. Con un salto ho riparato in questo giardino, dove per fortuna ci sei tu, caro amico ‐, descrisse minuziosamente Genìa, la quale non era stata sincera con Micio perché non aveva detto tutta la verità. In effetti, lei era andata apposta in quel giardino perché voleva rubare un pollo dal pollaio per soddisfare il proprio appetito. Ovviamente Fido era un ottimo custode e svolgeva bene il suo lavoro altrimenti che ci stava a fare? In caso contrario, i padroni gli avrebbero detto: ‐ Fido, mangi pane a tradimento. Se continui così ti portiamo in un canile!
‐ Fido anche a me sta antipatico. Mi abbaia sempre e mi rincorre tutte le volte che metto una zampa nel suo giardino per mangiare qualcosa dalla sua scodella quando ho fame. Dapprima, presso la sua cuccia, c’era una quercia su cui potevo rifugiarmi, ma adesso l’hanno tagliata. E questo per me è diventato un problema serio ‐, confidò Micio alla volpe.
Analizzando il problema sollevato da Micio, Genìa pensò che, mandando Micio nel giardino accanto per distrarre Fido, si poteva accaparrare di qualche tenero pollo per sfamarsi.
Escogitò, allora, una mossa strategica.
Procurò a Micio una bella maschera di cagna di razza bastarda e gliela fece infilare.
‐ Con questa maschera sembri una vera cagna, molto bella e fascinosa, che farà impazzire tutti i cani che ti vedranno. Se la indossi puoi tranquillamente andare nel giardino di Fido che al massimo potrà gongolare per farti la corte –, disse Genìa a Micio adulandolo.
‐ Genìa, sei sicura che Fido non mi farà niente? Sei sicura che non si accorgerà che indosso una maschera? – Chiese preoccupato Micio.
‐ Non lo noterà neppure, sii sicura che ti corteggerà perché assomigli ad una vera cagna! Se non ci credi guardati allo specchio ‐, confermò ipocritamente Genìa.
‐ In tal caso non potrò andare lo stesso a mangiare ‐, affermò Micio.
‐ Potrai fare tutto ciò che vuoi. Credimi! Importante che ti mostri tranquilla. Vai dunque ‐, precisò l’abile Genìa.
Micio, fidandosi ciecamente di Genìa e spinto dalla fame, attraversò con un salto il recinto e mentre si recava lentamente e in silenzio strisciando sul tappeto erboso verso la scodella del cane, gli si presentò Fido che in un primo momento incominciò a scodinzolare per la gioia di vedere dopo molto tempo una bellissima cagna. Non si limitò a guardarla solo in viso ma, osservandole attentamente anche il pelo del corpo, si accorse che quello non poteva essere il pelo di una cagna. Assomigliava al pelo di un gatto, piuttosto. Non poteva però dire che era il pelo di Micio in quanto l’aveva visto sempre fuggire. Un atroce dubbio lo avvinse. Insospettito, allora, Fido disse alla falsa cagna: ‐ Che bella cagna che sei. Fammi sentire la tua voce che sarà bella altrettanto. Abbaia dunque.
Micio incominciò a tremare e maledisse il momento in cui aveva incontrato la volpe. La sua mamma l’aveva avvertito, quando ancora era piccolo, di non fidarsi mai delle volpi. Sono furbe ed egoiste e ti mettono nei guai quando meno te l’aspetti. Lui, invece, c’era cascato come quando cade un fico secco dall’albero. Come si sa, gli avvertimenti dei genitori non vengono mai ascoltati e ottemperati dai figli. Micio non aveva la forza di parlare né tanto meno quella di miagolare. Aveva solo la voglia istintiva di scappare. Ma non poteva farlo. Se l’avesse fatto sarebbe caduto tra le fauci di Fido. Allora era meglio tentare? Povero Micio, in quel momento per la fifa sicuramente gli venne lo stimolo di fare la pipì o quello dell’atto grande, ma non poteva chiedere di appartarsi, ovviamente.
Fido, ringhiando malamente e allargando le zampe anteriori, irritato e infastidito gridò: – Bella cagna, fammi sentire se la tua voce è bella come il tuo viso.
Micio, allora, costretto dagli eventi ci provò e la sua bocca invece di dire “bauuuuu” esclamò “mauuuuu”.
Un attimo dopo il corpo esanime di Micio era tra le fauci di Fido e nessuno, in seguito, potette dire di aver visto un gatto che aveva il colore del pelo di un gatto che fugge.
Genìa, nel frattempo, scappava incolume e soddisfatta, tenendo anch’essa tra sue fauci il corpo privo di vita di un tenero pollastro.