Il gigante e il filo
Samuele è un ragazzo pratico. Lui davanti ai problemi non scappa, non li affronta, li cancella.
Quando era piccolo, suo nonno gli diceva sempre che sarebbe venuto il giorno in cui non avrebbe più potuto cancellare le cose che gli facevano paura e far finta che non fossero mai esistite.
Un giorno avrebbe dovuto prendere la penna, semmai, e fare le dovute correzioni alla bozza della sua vita.
“La vita non è facile da correggere. È scritta con l’inchiostro indelebile. Se sei fortunato, puoi passarci un po’ di bianchetto sopra e cercare di “nascondere” l’errore, ma non sfuggirà agli occhi attenti. Quindi converrebbe quasi ammettere l’errore e rivederlo con una nota rossa, sperando nella clemenza di colui che un giorno ti darà il voto finale”.
Suo nonno credeva molto in Dio, credeva in una vita dopo la morte con annesso giudizio e un bel timbro in fronte “buono” o “cattivo”.
Samuele non sapeva cosa farsene della religione. Essendo pratico e realista, non credeva a nulla che non potesse toccare con mano. Proprio per questo non vedeva alcuna preoccupazione nel cancellare gli errori e passarci sopra. Le conseguenze non gli interessavano. Le cancellava assieme all’errore e non ne voleva sentir più parlare.
Fu così che, con lui, crebbe anche una lunga scia di questioni irrisolte.
Ciò che sotterriamo nel nostro profondo pensando di averlo cancellato, prima o poi ci viene a cercare, e quando bussa e non gli apriamo, sfonda la porta. Quasi sempre è cresciuto così tanto da diventare un gigante di proporzioni ciclopiche e, quindi, assai arduo da ignorare.
Samuele, infatti, si è ritrovato davanti al suo gigante.
È lì che lo guarda e sa che non c’è gomma, né bianchetto abbastanza potente da eliminare questo ammasso di problemi, che ora urlano a gran voce, chiedendo di venir presi in considerazione, valutati e risolti.
Si ricorda delle parole del nonno e vorrebbe mettere a tacere il gigante, che sembra non voler smettere di torturarlo, ma non ne ha la forza e, anche se l’avesse, non riuscirebbe a gridare più forte di lui per farsi ascoltare.
Rimane lì immobile, Samuele, inerme e disarmato.
Pensa a come sarebbe andata se, negli anni, invece di accantonare tutto ciò che gli sembrava inutile, superfluo o perfino fastidioso sotto uno strato gomma, lo avesse affrontato, riletto e corretto. Come una bozza, appunto.
Non è mai stato un granché a scrivere. Se lo ricorda bene. Quando gli veniva sottoposto un tema, se non gli sembrava sensato aveva notevoli difficoltà a mettere insieme una pagina di quaderno.
Il più delle volte riconsegnava il foglio in bianco, faceva spallucce davanti allo sguardo indignato prima, preoccupato poi della professoressa e usciva dalla stanza.
Oggi sul foglio bianco davanti a lui, le parole scarabocchiate formano il seguente pensiero:
Il filo
Vedo l’inizio
Lo tengo stretto nella mia mano.
Scorre tra le mie dita
taglia la mia pelle
come fosse un coltello a doppia lama.
Ho le mani bagnate,
ma non è sangue,
sudano freddo.
Vorrei riuscire a fermare il filo.
Vorrei riuscire a vederne la fine.
Cerco di mollarlo,
se ci riesco smetterà il dolore,
ma il pugno è serrato:
una morsa meccanica difettosa
che non riesco ad aprire.
Sono stanco di soffrire.
Apro gli occhi
dopo quella che sembra un’eternità.
Davanti a me il filo si tende
si contorce fluttuando
in una luce accecante.
C’è solo un modo per vederne la fine.
Suo nonno gli diceva sempre che sarebbe venuto il giorno, in cui non avrebbe più potuto cancellare le cose che gli facevano paura e far finta che non fossero mai esistite.
Quel giorno è oggi, ma suo nonno si sbagliava.
Samuele è una persona pratica. Ha osservato il gigante e ha visto l’ultimo problema grosso da affrontare: se stesso.
Ha preso la gomma e si è cancellato.
Suo nonno avrebbe scosso la testa, ma è da tanto ormai che è seduto su un bel prato assieme a innumerevoli altre persone: tutte con stampati un bel timbro in fronte e un gran bel sorriso in viso.