Il guerrriero delle due ruote
...portava nelle vene e nel cuore la forza,
il furore, la poesia misteriosa del contadino.
‐ Luigi Gianoli ‐
a mio padre, che amò il ciclismo.
Nel quasi trentennale della fantastica impresa di Città del Messico, omaggio doveroso e sincero a Francesco Moser, colui che è stato uno dei "miti", degli eroi sportivi (con il rugby del V nazioni, Spitz, la Calligaris e Dibiasi, l'Inter, la nazionale di calcio, il Liverpool di Kevin Keegan, Gimondi, Borg e Panatta, Moses, Mennea e la Simeoni, Meneghin e Gustav Thoeni, Ayrton Senna, Pantani e Alberto Tomba) della mia adolescenza e prima giovinezza, la mia colonna sonora, il leit‐motiv più importante degli anni settanta‐ottanta; colui che, con le sue imprese epiche compiute sulle strade di mezzo mondo, con le sue sconfitte "entusiasmanti" ha scandito a lungo il tempo ed i ritmi della mia vita! Passista di grande levatura (a mio avviso tra i migliori dieci‐dodici d'ogni epoca: dopo Coppi, Merckx, Anquetil, Binda e Girardengo, Hinault, Van Looy, Van Steenbergen e Gimondi, insieme a Guerra Learco e Bobet Luison, Indurain, Freddy Maertens, Sagan e Cancellara), fortissimo a cronometro, forte in volata e sul passo, grande discesista, Moser aveva il suo punto debole, il tallone d'Achille nella salita, fatto ‐ questo ‐ che non gli ha permesso di avere un palmarés più consistente e corposo nelle grandi corse a tappe (vanta un solo successo al Giro d'Italia, nel 1984, affiancato ‐ a dire il vero ‐ da diversi podi e piazzamenti di prestigio nella corsa rosa!). Infatti, il trentino (nato a Palù di Giovo nel 1951, fratello di Aldo, Diego ed Enzo, altrettanti corridori professionisti tra il 1954 e il 1973), aveva una endemica ed idiosincrasica avversione per le strade...in alto, per le salite: soprattutto quelle brevi, quelle ‐ cioè ‐ che si inerpicano all'improvviso, spaccano le gambe e tolgono il respiro. In quelle più lunghe, invece, andando su con il suo passo e il suo ritmo, si difendeva meglio e riusciva sovente a...limitare i danni! Nonostante la sua carriera (corse dal 1973 al 1988 vestendo le maglie di Filotex, Sanson, Famcucine, Gis, Supermercati Brianzoli, Chateau d'Ax) sia stata "lastricata" di notevoli exploit (record dell'ora all'aperto e indoor, in altura e a livello mare, etc.) e successi di prestigio (Giro, mondiali su strada e pista, Sanremo, Lombardia, Freccia Vallone, Parigi‐Tours, Gand‐Wevelgem, campionati nazionali su strada, Baracchi e tanti altri), le vittorie più belle in assoluto del suo ampio "repertorio" (276 su strada e 16 in pista, record assoluto in Italia!), sono, a mio parere, quelle ottenute a Roubaix, nella corsa più atipica del calendario ciclistico internazionale ma anche la più "classica" e la più vera di tutte! La Roubaix, infatti, è una delle più antiche corse internazionali (si disputa sin dal lontano 1896 tranne le due interruzioni dovute ai conflitti mondiali), ma è, soprattutto, uno degli ultimi "monumenti", baluardi, simboli di un ciclismo ardito e...romantico; è la corsa (per me) più affascinante ed autentica perché lo spirito che la pervade, il senso, il gusto, il sapore del ciclismo "old time" che la avvolgono e la ammantano (e che si respira in ogni piccolo tratto del suo percorso, sia pure il più insignificante!) non hanno eguali al mondo! Si pensi che alcuni tratti di acciottolato, di "sanpietrino", come comunemente viene definito in Italia il pavé (a Roma in particolare), sempre più esigui ‐ a dire il vero ‐ (è per questo che sono custoditi e conservati dagli organizzatori come vere e proprie reliquie!), sono talmente sconnessi da costringere spesso i corridori a scendere dalle bici e percorrerli a piedi (si pensi a due tratti famossissimi come quelli nella foresta di Aremberg e del "Carrefour de l'arbre", spettacolari e spesso decisivi per l'esito finale della corsa, sebbene il primo si trovi relativamente distante dal traguardo finale del velodromo di Roubaix!). Una corsa vera, si diceva, la Roubaix, che si corre con la testa ‐ certo ‐ e con il...fegato (meglio direi con le viscere!), ma anche, e soprattutto, col cuore! Una corsa, la Roubaix, poco avvezza a freddi e cinici "calcolatori", la quale non è mai stata troppo generosa con i succhiaruote della bicicletta, bensì adatta esclusivamente a ciclisti (e uomini) "veri", audaci e forti: ad autentici guerrieri delle due ruote, insomma!
Questa corsa, pertanto, è stata da sempre (mi domando come poteva non esserlo?) la corsa preferita di (e da) Moser, fatta a pennello per le sue caratteristiche "umane" e fisiche, impressa nel suo dna di atleta, di corridore, di uomo. Il trentino calcò il palcoscenico dell'"inferno del Nord" (così è definita la corsa a causa delle difficili, talvolta impossibili condizioni ambientali ed atmosferiche in cui si svolge) solo e sempre da...attore protagonista, mai da comparsa, guerreggiando con autentici satanassi e bucanieri del pavé come Merckx, Roger De Vlaeminck, Marc Demeyer, Godefroot, Maertens: tutti belgi e tutti, tranne l'ultimo, vittoriosi a Roubaix (De Vlaeminck addirittura vanta il record di vittorie: quattro!). Si schierò al via da Compiegne (da oltre quattro decadi la corsa francese parte dalla "storica" cittadina dell'Oise, sita sessantacinque chilometri a nord‐est di Parigi) per ben tredici volte dal 1974 (la prima) al 1987 (l'ultima), saltandola soltanto in tre occasioni: nel 1973 (l'anno dell'esordio tra i professionisti), nel 1984 (l'anno del record dell'ora e della vittoria nel Giro) e nel 1988 (l'anno conclusivo della carriera). Il curriculum moseriano a Roubaix (quasi una carriera a...parte, oserei dire, quella del trentino, in questa corsa!) è davvero impressionante: tre vittorie consecutive (1978, 1979, 1980), unico corridore a realizzare la fantastica "impresa" dopo il francese Octave Lapize agli albori del novecento (1909, 1910, 1911); due secondi posti (1974, 1976); due terzi posti (1981, 1983), un quinto posto (1975), un ottavo (1986), un decimo (1982), un dodicesimo (1985), un tredicesimo (1977) e un diciannovesimo (nel 1987, peggior risultato). Concludo scrivendo che la carriera di Francesco Moser e, a mio modesto avviso la sua stessa vicenda umana, non sarebbero state le stesse se non ci fosse stata la Parigi‐Roubaix: nessuno, in quel caso, avrebbe potuto parlare del corridore trentino come (di) un autentico guerriero delle due ruote!
da: una mail inviata a raisport.
Taranto, 15 marzo 2013.