Il maestro racconta, il mostro
Adesso che il suo naso sentiva forte l'odore del veleno, tremava come una foglia al vento. Eppure se era arrivata a quel punto, non poteva certo fermarsi tremante e piangente. L'altra volta aveva dovuto lasciar perdere perchè suo figlio era rientrato in anticipo dalla scuola e aveva interrotto l'incantesimo.
Già, suo figlio. Lui e gli altri due figli, due gemelle, erano sempre state la sua ragione di vita, ma adesso neppure loro le davano un perchè. La mano tremava ancora. Decise di appoggiare il bicchiere sul tavolo della cucina e si sedette un attimo. Fissò la fotografia, dentro una cornice d'argento, regalo lontano di parenti o amici; non ricordava. Lei e suo marito erano seduti su una pietra, alle loro spalle i tre figli, allora scolaretti, sorridevano e si atteggiavano a grandi scalatori. Anche loro sorridevano. Erano felici. Tre splendidi figli e la tranquillità di due innamorati che vivono tutti i giorni la loro vita in famiglia. Si erano conosciuti al lavoro, in fabbrica. Lui operaio capo, nel reparto imballaggi, lei impiegata addetta alle spedizioni. Aveva tanti corteggiatori, la natura era stata benevola e le aveva donato uno splendido corpo. Il viso accattivante e la lunga chioma castana la rendevano irresistibile. Si era diplomata alla vecchia ragioneria in città e aveva trovato subito lavoro lì, in quella grande e fiorente azienda. Altri tempi. Lui era un ragazzo tranquillo, poco appariscente. Finita la terza media era entrato in ditta come apprendista. Aveva una volontà di ferro e capacità organizzative non indifferenti. Il giorno in cui lei iniziò a lavorare, lui era già capo reparto. Non male per un ventiduenne. Lo aveva incontrato la prima volta dopo quasi un anno dalla sua assunzione. Era una caldissima giornata di luglio, e lei, dopo aver pranzato in mensa, era uscita a cercare un po' di refrigerio sotto gli alti alberi del parco adiacente alla ditta. Camminando per i vialetti ben curati, aveva riconosciuto seduti su una panchina, tre ragazzi con le tute da lavoro dello stabilimento. Al suo passaggio si sentì sei occhi incollati addosso. Era cosciente della sua bellezza, e pur non ostentandola, era una calamita per tutti i maschi che la incontravano. Un paio di loro si lasciarono sfuggire alcuni apprezzamenti, comunque non volgari e lei si girò a salutarli. L'altro, quello che non aveva parlato, la fissava, a bocca aperta e con aria sognante.
Quel pomeriggio si era informata da una sua collega su chi fossero quei tre e dopo un paio di informazioni generiche si era concentrata su <bocca aperta>, come l'aveva affettuosamente soprannominato.
In pochi giorni raccolse abbastanza notizie. Il ragazzo era un ottimo elemento, abitava in un paesotto di periferia ed era molto ben visto da amici e colleghi. Aveva un fratello e tre sorelle, tutti lavoratori. Il padre era morto presto a causa di un brutto male. La madre, donna instancabile, aveva allevato i suoi figli inculcando loro il senso del sacrificio e dell'onestà. Una delle sorelle, la più vecchia, aveva rischiato di finire in un brutto giro di droga con delle amiche che frequentavano dei tizi in città. Grazie alla famiglia e alla sua forza, si staccò da quelle amicizie. Adesso era sposata e madre di due bambini.
Riuscì anche a sapere che non era fidanzato.
Aveva avuto una ragazza. ma lei lo aveva lasciato per un uomo molto più vecchio.
Nelle settimane seguenti ebbe modo di rivederlo sempre più spesso. Per un tacito accordo, quando combaciavano i turni, si trovavano dopo il pranzo, sulle panchine del parco. I primi approcci furono timidi da entrambe le parti, poi una volta rotto il ghiaccio, lei scoprì un ragazzo dal cuore d'oro.
Dopo tre mesi erano fidanzati, e nel volgere di un paio d'anni marito e moglie. Si sistemarono in una piccola casa del paesotto, dove uno zio di lui, possedeva un condominio di quattro piani. Lavoravano sodo tutti e due e l'anno seguente riuscirono a comprare un appartamento nelle nuove aree fabbricate del paese. Erano felici e di li a nove mesi venne alla luce il loro maschietto. Neanche il tempo di finire la maternità, che restò incinta delle due gemelle. Le loro famiglie le furono di grande aiuto. Anche lei aveva un fratello e una sorella che le restarono vicini. Fu anche grazie a questa famiglia numerosa che riuscì a tornare al lavoro alla fine della maternità. C'erano tante bocche da sfamare e il mutuo da pagare. E poi bisognava pur pensare al futuro dei figli.
Il tempo passa inesorabile, e con lui i ricordi riaffiorano alla mente. Ricordi belli e brutti. Con suo marito avevano affrontato questo discorso varie volte, fin dalle loro prime uscite, ed era nato una specie di patto:<viviamo belle esperienze limitando al minimo quelle brutte>. E così fecero.Lui aveva un senso innato per la famiglia, era il catalizzatore in casa. I bambini crescevano sani e in armonia. Oddio, a volte si discuteva e non sempre si trovava un punto di incontro. Capitavano dei giorni meno sereni e a volte si sopportavano delle situazioni per il bene comune. Ma stavano bene.
Insomma, lei si considerava soddisfatta, non rimpiangeva niente.
Una sera lui rientrò cupo in viso. Lei immaginava il perchè, ma aveva sempre sperato si trovasse una soluzione. Purtroppo in ditta le cose non andavano bene, era da un po'. Cominciavano la cassa integrazione nei vari reparti. Lei cercò di consolarlo. Le impiegate erano ancora a pieno servizio, era <una crisi passeggera> dicevano. Lui avrebbe accudito i bambini che alle scuole elementari vanno seguiti passo per passo. Dovevano solo stare attenti senza allarmarsi troppo.
La crisi passeggera si rivelò un terremoto. Cominciavano a chiudere le aziende e suo marito, subodorato il problema, aveva cominciato a cercare un altro posto di lavoro. Lei non voleva, avevano sempre lavorato insieme in quella ditta. Ne sarebbero venuti fuori, stava per passare.
Dopo nove mesi di inattività, pur facendo il massimo per restare tranquillo, cominciava a dare segni di cedimento. Si tratteneva con i bambini e in casa dava il massimo, ma lei lo conosceva, stava per scoppiare. Quella sera non avrebbe voluto dirgli nulla. Lui la vide entrare e capì. La ditta stava andando a gambe in aria e a breve anche lei sarebbe stata disoccupata. Non ci fu bisogno di parlare, bastarono gli sguardi e mentre lui posava gli occhi sui figli che tranquillamente cenavano, lei lo vide. Allora non ci fece caso, ma gli eventi che seguirono confermarono quella che per lei era stata un'allucinazione. Il mostro era entrato nel corpo di suo marito, con tutta la forza e la brutalità che scatena sulle persone indifese.
I giorni seguenti furono duri. Dedicavano le mattina, mentre i bambini erano a scuola, alla speranzosa ricerca di un lavoro. Col passare dei giorni in lei cresceva la rabbia. Una rabbia a volte incontrollabile, ingigantita dalla tranquilla rassegnazione del marito, che lentamente si stava abituando a quella situazione.
In casa era dura, i soldi non bastavano mai e i figli cominciavano ad avvertire la tensione. I bambini, creature fragili e indifese, con una fortissima emotività. Loro hanno attivi dei sensi, degli istinti, che l'uomo, con la crescita, sacrifica in nome della ragione e dell'autocontrollo.
Quella mattina il suo istinto di donna le pizzicava parecchio. I bambini erano elettrizzati e suo marito aveva preferito battere una zona diversa e si divise dalla moglie. Lei suonò campanelli e parlò con decine di persone. A mezzogiorno stavano suonando le campane di una chiesa vicina, ora di rientrare a casa. Nel tratto di strada che la separava dalla fermata del bus, notò una palazzina rinnovata. Colpì la sua attenzione un cartello giallo appeso sulla porta. Prima non c'era, era appena stato messo. Sbirciò incuriosita e ciò che vide la fece trasalire:<cercasi donna, esperta in spedizioni e contatti con l'estero, per lavoro nuova attività>. Era riportato un numero di telefono, ma eccitata com'era provò a suonare il campanello indicato nel foglietto. Rispose una donna di mezz'età, che dopo le presentazioni la fece salire al secondo piano, ed entrare in casa. Non era quello che lei si aspettava. Chiese conferma della richiesta di una lavoratrice e la donna annuì. A breve sarebbe rientrato suo marito, nel frattempo le offrì un caffè. Non capiva, forse si era illusa troppo presto. Voleva andarsene ma a questo punto sarebbe stato da maleducati. Uno sguardo all'orologio; le dodici e trenta. Suo marito era già a casa, avrebbe preparato qualcosa da mangiare, i bimbi erano a scuola, in mensa. Passarono altri dieci minuti, dove finiti i discorsi di rito, era calato un silenzio angosciante. La signora sembrava a suo agio. Si mise ai fornelli e cominciò a preparare il pranzo; lei invece si sentiva sempre più fuori posto. Dopo pochi minuti si sentì la porta d'entrata aprirsi e una voce potente, ma cordiale, annunciare il suo arrivo alla donna. Entrato in cucina la vide e mentre si presentava, baciò teneramente la moglie su una guancia.
I due coniugi avevano quasi sessant'anni e li portavano bene. Avevano tre figli, sparsi per il mondo a far fruttare le loro lauree. Lui si era sempre occupato di commercio in generi alimentari di qualità, prodotti non a portata di tutte le tasche. Aveva chiuso l'attività, i suoi figli non ne avevano voluto sapere di quel mestiere e non avendo problemi di soldi si era deciso al ritiro. Ma la sua indole gli impediva di restare inattivo e dopo pochi mesi, d'accordo con la moglie, decise di intraprendere una nuova avventura, sempre nel suo campo. Aveva però bisogno di una giovane capace e ambiziosa; sarebbe stata lei, se si fosse dimostrata all'altezza, a trainare la nuova realtà.
Credeva di sognare. Pensava che certe persone esistessero solo nelle trame dei film o nei racconti di natale. Accettò senza riserve di mettersi alla prova, avrebbero giudicato loro le sue capacità.
Uscì da quella casa con la gioia nel cuore. Lo saperva, ne era certa. Le cose sarebbero tornate a funzionare come prima, anzi, meglio di prima. Adesso toccava a suo marito, magari era andata bene anche a lui.
In casa non c'era. Forse stava parlando con qualcuno, proprio come era successo a lei; sarebbe stata una giornata fantastica. Si era fatto tardi e decise di mangiare un boccone, senza aspettarlo. Avrebbe capito. In un attimo fu ora di andare a recuperare i bambini a scuola. Era talmente contenta ed euforica che si fermò ad acquistare del gelato. Avrebbero fatto merenda con il gelato! I bambini erano al settimo cielo, fu una merenda memorabile, dopo il gelato lei preparò dei piccoli panini che ai figli piacevano tanto.
Si fece tardi, ora di cena e lui non era rincasato. Lui non aveva più il cellulare, allora provò a chiamare la cognata. Non l'aveva visto ne sentito. Gli altri fratelli erano al lavoro, ma provò lo stesso.Nulla. Chiamò i suoi, cercando di stare calma. Niente, nessuno l'aveva visto. Non doveva allarmarsi, era un adulto. Quando si è in giro alla ricerca di lavoro, capita di perdere la misura del tempo e della distanza.
Fece cenare i figli, lei non mangiò; lo avrebbe aspettato. Ad un certo orario mise a letto i bambini, che cominciavano a chiedere del padre. Lei li rassicurò e li fece addormentare leggendogli un libro.
Adesso era preoccupata. Non voleva allarmare nessuno ma cominciava ad aver paura e in quel momento le sembrò di vedere un'ombra in cucina. Non c'era nessuno, era stanca e vedeva le ombre. Che strano, eppure quell'ombra le ricordava qualcosa di familiare. Decise di richiamare sua cognata, rispose il cognato, mezzo addormentato. Non avrebbe mai disturbato se non fosse che era preoccupatissima, lui non era ancora rientrato. Suo cognato disse di aspettare, l'avrebbe raggiunta. Dopo mezz'ora e varie telefonate, si presentarono da lei il cognato e i fratelli di suo marito.
Preparò il caffè e raccontò come si era svolta la giornata. La rassicurarono, l'indomani avrebbero valutato il da farsi. Per quella notte fecero arrivare sua cognata, sarebbe restata con lei.
Di dormire non se ne parlava. Rotolava in quel letto vuoto, sua cognata era con i bimbi. Poi lo vide di nuovo e stavolta lo riconobbe. Non era un'ombra, era il mostro, il mostro che aveva visto vicino al marito. Fu tutto chiaro. Un nodo alla gola le fece mancare il fiato. Si alzò di scatto, lanciò un urlo ma nessun suono era uscito dalla sua bocca. Svegliò la cognata. Doveva andare, adesso sapeva, aveva capito.
L'altra era ancora mezza addormentata e faticò non poco a realizzare quello che stava succedendo. Ma lei era agitatissima e già pronta per uscire, raccomandò di non muoversi e se ne andò.
Le lacrime le rigavano il volto. Voleva urlare, imprecare, prendere a schiaffi qualcuno. Cercò invece di concentrarsi sulla guida. Senza rendersene conto era già arrivata. Anche di notte, dei piccoli lampioni illuminavano i vialetti del parco. Corse verso una panchina, la loro panchina. Pregò di essersi sbagliata, di dover tornare a casa a mani vuote. Allungò la mano sotto la panchina, una delle assi aveva un piccolo vuoto. La usavano ai tempi dei loro primi incontri come posto di scambio di messaggi, allora l'era elettronica stava facendo i primi passi.
Trovò quello che cercava. Il piccolo bilgietto scritto a mano, riportava il seguente messaggio:
<il mostro si è impossessato di me. Vi amo troppo per permettere che vi faccia del male. Abbraccia i bambini per me. Ti amo>.
Straziata dal dolore rilesse il biglietto una, dieci, cento volte. No, non era vero. Stava sognando nel suo letto. Adesso lui l'avrebbe svegliata e avrebbero fatto l'amore, come sempre. Svegliami! Svegliami! Era il suo pensiero, ma più ci pensava e più sentiva il viso bagnato dalle lacrime, il vuoto nel cuore.
I giorni seguenti furono angoscianti. La denuncia di scomparsa, le ricerche, le segnalazioni inutili. Aveva accettato la proposta di lavoro e cercava di restare concentrata su quello, inutilmente. L'amore della sua vita, l'uomo che con i suoi pregi e i suoi difetti la faceva sentire sempre una regina. Il padre dei suoi figli, quegli splendidi bambini che, con voce speranzosa e infantile, tutte le sere chiedevano del loro papà, non c'era più. La famiglia le fu accanto fin dall'inizio, anche gli amici si fecero in quattro per dare una mano. Lei non riusciva a ricambiare tutto quell'affetto neanche con un sorriso. L'unico sorriso lo donava ai suoi figli, nella speranza di rasserenarli un pò. Le settimane passavano, poi i mesi ed infine gli anni. L'affetto dei suoi cari non mancava di darle supporto e i bambini, ormai ragazzi, cercavano di renderle la vita felice. Spesso ci riuscivano.
Era riuscita anche a portare avanti il progetto lavorativo intrapreso anni prima. Adesso, assieme al suo capo, gestiva un buon giro d'affari con varie zone del mondo, tanto che avevano dovuto assumere un paio di ragazze. Ciò le aveva permesso l'indipendenza economica, il che, visto i tempi, non era male. Ma anche lei doveva combattere il suo mostro. Le avevano detto che il tempo medica tutte le ferite, <sei fortunata, hai un ottimo lavoro e tre splendidi ragazzi>. Vero. Ma lei quel giorno, sull'altare, aveva promesso di condividere gioie e dolori con il suo uomo. Si sentiva sola, tremendamente sola.
Fissò nuovamente il bicchiere. No, non avrebbe ceduto. Lei poteva sconfiggere il suo mostro. Nella disperazione c'è sempre un motivo per sopravvivere; anzi, per vivere. Lei doveva, voleva vivere.
Si alzò, carica di un nuovo entusiasmo, il mostro non l'avrebbe mai avuta e in quel momento suonarono alla porta d'ingresso. Presa alla sprovvista si avvicinò allo spioncino e sbirciò fuori.
Restò pietrificata, poi il cuore cominciò a pompare a mille e mentre, assciugati gli occhi, controllava sicura di non avere le traveggole, il campanello suonò ancora.
Spalancata la porta, si ritrovarono faccia a faccia, abbracciati. Non dissero una parola, ed una volta entrati in casa si baciarono a lungo. Dopo alcuni attimi lei lo fissò negli occhi, non voleva che svanisse come un sogno. Lui fece altrettanto e per convincerla della sua presenza le disse con voce ferma e sicura: "Sono tornato. Ho sconfitto il mostro Ti devo delle spiegazioni". Lei non disse nulla. Era lì, era tornato. Non voleva sapere nulla, le spiegazioni a dopo. Adesso bastava fosse con lei. Lo abbracciò ancora, per convincersi definitivamente che l'incubo era finito e lui fece altrettanto.
"Ho fame amore. mangiamo qualcosa?"
Lei era al settimo cielo, non ragionava bene. I suoi pensieri erano un turbine inarrestabile. Si fiondò in cucina; lui aveva fame e lei avrebbe preparato da mangiare.
Lui la seguì e le toccò il sedere con delicatezza per dirle; sono tornato. Lei era intenta ai fornelli, ma apprezzò quel gesto. Poi una fitta al cuore, come una scarica elettrica.
Si girò, lui stava bevendo. I loro sguardi si incrociarono per un attimo, mentre una smorfia distorceva il viso del marito. Un colpo di tosse, il terrore negli occhi, la consapevolezza della fine.
"Ti amo" prima dell'ultimo respiro.
L'urlo angosciante di lei era un tributo al vincitore, colui che non era mai andato via, rimasto nascosto in attesa della sua ora.
Il mostro aveava vinto.
"Bisogna essere forti nella vita, sempre. Bisogna godere ogni istante come se fosse l'ultimo e rallegrarsi di ciò che si ha, non essere tristi e invidiosi per ciò che ci manca, avete capito?"
"Si maestro. Vuole una cioccolata calda?"
"Mi hai letto nel pensiero, certo che la voglio"