Il mio primo giorno di scuola
A noi, bambini, che subirono una guerra, nessuno ha mai pensato. Si sono dedicate domeniche un po' a tutti, ma a noi, no. Noi, che ne abbiamo portati i traumi psicologici per un'intera vita, in silenzio, senza colpa e senza incolpare alcuno. Passando, di mattina, dinnanzi ad una scuola, vedo da ricchi Suv, scendere accessoriati bimbi, salutati da agghindate e sorridenti mamme, e non posso, con lecita invidia, riandare al mio inizio di scuola, così diverso, così triste, così violento. Il primo giorno, quello dell'oggi, gioioso, curato, fu, per me nel '45, il giorno traumatico per eccellenza. La guerra era terminata da pochi mesi. Si era ancora "sfollati" a Serravalle Scrivia, a Villa Adela. La primina non era stata ancora inventata, e la prima, sotto i bombardamenti e i mitragliamenti americani e inglesi, era stata creata, provvisorie e inadeguata, nello studio, fosco e nero, di nonno Angelo. "Lucio, sali" era il comando che mi piombava addosso, con il consenso muto di tutto il clan famigliare, che abitava la villa. Aste e lettere vennero apprese e scritte con una vecchia penna di legno e un raschiante pennino, che trasudava macchie a sorpresa. Il dito indice, da buon scriba, doveva adagiarsi, disteso, sul dorso della penna. Lo scappellotto, improvviso, sul capo, non ancora proibito, arrivava inatteso, scrollandoti le idee e correggendo la posizione dell’indice. "É pronto, scendete!" La voce di mamma, a mezzogiorno, era la campanella di fine scuola. Bambini, amici, non me ne potevo permettere. Un mondo di adulti mi circondava. Ernestino, il bambino della villa più in alto, lo incontravo raramente, alla pompa dell'acqua. Poche parole e un desiderio insoddisfatto di compagnia. Poi, si continuava il nostro colloquio, sventolando le nostre bandiere, da lontano. Lui, Ernestino, una immensa bandiera tricolore, con un regale stemma sabaudo, io, con tre pezze colorate, cucite, con cura, da nonna Amina. Del primo giorno di scuola ho una sequenza indelebile di pochi fotogrammi. Esame di abilitazione alla seconda elementare, per tutto il paese. Un aula, bambini, tanti, troppi, per me, tutti in una volta, in grembiule. Ridacchiano, guardandomi con diffidenza, quasi in un prudente e diffidente cerchio, attorno a me. Una gracchiante maestra, aggrappata alla cattedra, urla “silenzio”, fregandosi ritmicamente, disgustata, le mani. Io, è come se mi fossi svegliato da un lungo sonno, o forse sto vivendo un sogno orrendo. Al centro dell'aula, si sono spostati i banchi. Lo spazzino del paese, in azzurra divisa comunale, apparso senza che io me ne accorgessi, dopo aver sparso segatura, ramazza con una gigantesca scopa di saggina, la mia copiosa colazione, appena vomitata.