Il mio sole inaspettato
La mia storia, alla fine, credo possa essere una come ce ne sono tante. Lo penso mentre, da uno scoglio bianco e liscio, osservo l’azzurro del mare che si protende verso l’infinito. Mi godo i primi tiepidi raggi di sole di inizio Maggio, con l’aria salmastra che si insinua nei polmoni aprendoli e ricordandomi che sono viva.
Una giovane coppia d’ innamorati cammina complice, spingendo un passeggino scuro e penso a quanto mi manchino quei momenti d’infanzia irripetibili. Quelle piccole mani da stringere, quei piedini ancora morbidi da solleticare per provocare un sorriso esclusivo.
«Mamma, mamma, mi scappa la pipì.»
Yeraldi mi scuote con la sua estrema e ingenua vivacità.
«Andiamo dai, svelta! Dietro a quel cespuglio!»
L’accompagno in un angolo, nei paraggi della spiaggia, selvaggio almeno quanto lei, poi la faccio accovacciare stando attenta che non si bagni, mentre lo zampillo dirompente e puro, accoglie un angolo incolto di prato.
Quando torniamo al sole mi rendo conto che non potrò mai avere la sua pelle, quell’incarnato intenso che mi riporta felicemente alla sua terra, a quel giorno ormai lontano, in cui andavo a prenderla, a toglierla dall’ingiustizia della sua vita scomoda.
Dopo un po’ una nuvola sfacciata arriva a fare ombra su di me e sui miei pensieri e mi ravvisa di quanto nulla nella vita si possa dare per scontato, nemmeno quello che di più naturale ci possa essere, come ad esempio la maternità.
Cinque anni dietro ai gesti più semplici dell’amore, per completare un dipinto con quel tocco di colore mancante, semplice eppure fondamentale.
Cinque anni a dirmi, abbracciata a mio marito, che prima o poi quel fiore sarebbe sbocciato e cresciuto dentro di me. A completarci, a stringere un nodo, a chiudere il cerchio della famiglia. Poi una presa di coscienza verso la realtà, verso quell’ingranaggio rotto che non avrebbe potuto forse mai accogliere un embrione: il mio utero.
Esami, visite, responsi a volte troppo superficiali. Soldi e giornate in attesa negli ambulatori. Un intervento per ridarmi una possibilità, un nuovo utero non più ‘difettoso’. In seguito un’ inseminazione di ben tre piccoli embrioni e poi finalmente un ritardo, il primo e credo anche l’ultimo della mia vita. Quello che aveva acceso una speranza e che per poco invece arrivava a togliermi tutto. Un’ emorragia per un quasi invisibile corpo apparentemente scomparso dentro al mio, del quale non sentivo assolutamente la presenza. Un ricovero d’urgenza e tanta paura.
Insomma, per avere una nuova fragile vita dentro, stavo per perdere la mia.
Sono stati in quegli attimi di dolore e di spavento, che ho pensato di dovermi arrendere, di dover accettare il corso della mia natura sterile.
Avevo fatto tutto il possibile per non avere rimpianti e non ne avevo. Infondo mi sentivo tranquilla ed era arrivato semplicemente il momento di cambiare prospettiva e andare avanti, senza darsi colpe, senza chiedersi troppe spiegazioni né pretendere altro. Accanirsi su qualcosa che non va come vorremmo, forse non è giusto e probabilmente ora mi piace anche pensare che tutto abbia avuto un senso. Che quello che ci viene tolto, in realtà serva per creare un nuovo varco dove accogliere qualcosa di importante, di cui magari non ne conosciamo nemmeno l’esistenza. E questo pensiero arriva a rafforzarsi dentro di me proprio in quei giorni, dopo tutto quel sangue, quella delusione, quel rammarico per un ennesimo tentativo illusorio fallito. Dopo aver visto mia madre piangere. La sua preoccupazione infinita e quella di mio marito. Ma soprattutto quando era arrivata quella chiamata a cui forse nemmeno pensavo più. Quella che cambiò magicamente la mia vita, stravolgendola ma sicuramente riempiendola di gioia.
«È tutto pronto per poter fare l’abbinamento, la sua domanda è stata accolta. Potete partire per Panama a conoscere la bambina, quando volete.»
Il tempo di rimettermi in forze e sarei stata subito pronta ad intraprendere una nuova avventura e di vincerla. Non vedevo l’ora di conoscere quella bambina sfortunata e di poterle regalare un nuovo futuro, che per incanto sarebbe stato migliore anche per me.
Descrivere quello che provai quando la vidi la prima volta, non è possibile. Le avrei voluto trasmettere in un istante tutta la mia storia, la mia vita, persino il mio sangue per legarla a me e donarle il mio affetto. Avrei voluto subito che imparasse a fidarsi come se l’avessi tenuta dentro e le avessi trasmesso quel calore unico tra madre e figlia. Come se un cordone ombelicale ci avesse unite e avesse parlato per noi il linguaggio segreto della natura.
Non è stato semplice, ma ce l’ho messa tutta e, adesso quando mi stringe, credo di esserci riuscita.
Dietro una cosa apparentemente brutta c’è sempre la speranza di un inaspettato sole pronto a fare capolino e a scaldarci nel momento più opportuno e io so che quella speranza infondo non l’ ho mai abbandonata.
Mi ci sono aggrappata per andare avanti, cavalcando ogni sconfitta.
Alla fine, ho lasciato al destino la possibilità di scegliere per me e, ora quando guardo Yeraldi, così forte, così intelligente, così bella e soprattutto così felice, so che non avrebbe potuto donarmi di meglio.
Io e lei ci completiamo e quel vuoto che avvertivo prima di abbracciare il suo corpo minuto e apparentemente fragile, di appena due anni, si è dissolto all’istante facendomi sentire subito un’ottima madre. Indubbiamente al posto giusto.
Avrei voluto partorirla quella creatura, certo, ma ogni volta che mi chiama ‘mamma’ e mi guarda con i suoi occhi allungati come semi, sento che è davvero come se l’avessi fatto.
Mi torna la fierezza di quella mia scelta dell’adozione. Mi torna l’orgoglio del mio coraggio in un momento così difficile e della pazienza di tutti quei fogli da compilare e delle attese infinite e sicuramente estenuanti, prima di arrivare a lei: il colore speciale del mio quadro.
Ora so, quando danziamo insieme, che non arrendersi alle difficoltà della vita può significare molto per noi e può regalarci un presente migliore.
Yeraldi è la mia piccola donna e quando la guardo crescere penso che vorrei ancora la sua infanzia, almeno un’altra o forse mille volte.
Vorrei che non mi chiedesse mai chi sia la sua reale madre e come mai sia stata abbandonata ma so che un giorno questo potrebbe accadere. Lei diventerà grande e vorrà sapere di più. Forse vorrà scavare e tornare indietro, a quel tempo, prima di me, prima di noi due insieme e so che dovrò essere pronta anche a questo. A lasciarla andare se vorrà, verso le sue radici lontane, ma in cuor mio credo che una parte segreta, si auguri che questo non accada e che il mio amore per lei sia sufficiente a riempirle anche quella curiosità, a farmi sentire davvero di aver fatto il possibile per lei come ogni genitore infondo può e vuole auspicarsi.