Il mistero del falso meccanico
Credo fosse l’una di notte, più o meno. Come faccio spesso, nel sonno, mi giravo sull’altra spalla senza accorgermene. Il rumore era quasi soffocato, ma non era Ana, la ragazza dell’appartamento accanto, che faceva la doccia. Per quanto lei cerchi di fare piano, da quando le ho spiegato che il mio letto confina con il suo bagno ed ogni rumore si sente chiaramente, soprattutto nel silenzio della notte, le vecchie tubature non hanno comunque pietà di noi neanche nel pieno della notte. E allora ho teso il braccio percorrendo il lenzuolo ed ho sentito sulla mia mano la seta del pigiama di Choco. Non era caldissima come sempre quando è sotto le coperte. Ho capito allora che era appena rientrata dalla cena con i colleghi d’ufficio, ma non dormiva ancora, il respiro era stranamente veloce e non stava sognando. Almeno questo il mio stato di catalessi da prime ore di sonno mi suggeriva. Era comunque a casa e questo bastava per farmi riprendere sonno, dopo essermi di nuovo girato sull’altra spalla, ovviamente.
L’indomani era sabato, giorno in cui quasi sempre ci permettiamo di “poltrire” a letto fino a tarda mattinata. Ma Choco dormiva ancora, nonostante la macchina per il caffè stesse facendo le “prove d’orchestra”. Non era poi tardissimo ieri, ma evidentemente aveva ancora molto sonno. Mi piace guardarla mentre dorme. E’ buffa. Ha i capelli che disegnano forme strane sul cuscino e poi ogni tanto la trovo con un braccio all’indietro o con le mani sotto la nuca, come se stesse prendendo il sole sulla spiaggia. E’ anche dolce, però, tenera. A volte d’inverno sembra una bomboletta, con quei pigiamoni e col suo naso a patata. La guardo a lungo a volte, in silenzio nella penombra creata dalla radiosveglia.
‐ Che c’è?
Salta sul letto strillando quasi, ma soprattutto facendomi rischiare un infarto.
‐ Che hai Choco? Hai avuto un incubo?
‐ No, è che… madonna che paura! Ho visto qualcuno che mi fissava. Eri tu! Dormivo.. sognavo.. non mi sono resa conto.Ma che ore sono?
‐ Le 11.30. ma cos’hai mangiato ieri sera? Sei stravolta.
Mi abbraccia, calda di sonno questa volta.
‐ Ma no, niente… è che mi sembrava…
‐ Cosa ti sembrava?
‐ Ieri sera, stanotte anzi, era quasi l’una. Tornata dalla cena ho posteggiato piuttosto lontano da casa e siccome era un po’ freddo camminavo velocemente. Ho buttato il chewingum in un cestino ed ho cominciato a cercare le chiavi di casa nella borsa. Lo sai che non le trovo mai…. E all’improvviso, davanti all’officina, mi sono trovata di fronte un tizio. Oddio che paura!! Non me l’aspettavo, ero soprappensiero e lui, lui…
‐ Lui cosa? Le chiedo un po’ preoccupato
‐ Lui era così… così strano. Io sono quasi scappata. Forse ho pure lanciato un urlo, non ricordo. Ma mi sono spaventata perché mi fissava. Mi fissava in un modo strano, non so descriverlo.
‐ Ma che ha fatto?
‐ Ma no, niente. Non so. Io ho allungato il passo e sono entrata di corsa nel portone. La chiave non entrava perché la mano mi tremava. Come in quei film che ogni tanto mi fai vedere tu, quei thriller…
‐ Vabbè, ma poi?
‐ Poi niente. Ho fatto le scale di corsa, non mi sono neanche voltata a guardare.
‐ E’ per questo allora che stanotte ti sentivo respirare forte.. eri spaventata!!!
‐ Sì, ho impiegato un bel po’ di tempo prima di calmarmi e di addormentarmi. ‐ Mi hai toccato, ma dormivi.
‐ Sì..o no..non lo so. Pensavo fossero quelli accanto che facevano un po’ casino, ma poi ti ho sfiorato e mi sono riaddormentato. Ma che tipo era?
‐ Mi sembra fosse alto, vestito in modo strano, forse aveva una tuta.
‐ Era giovane?
‐ No, era anziano, forse. Comunque uno che non è proprio vecchio, ma dimostra di più, capito?
‐ Sì, sì. Anche tu stamattina dimostri di più – le dico per prenderla in giro.
‐ Scemo!. Scherzi sempre! Ma io ho avuto paura!
Allora la riabbraccio e con lei il suo pigiama di seta, i suoi capelli, il suo naso, le sue spalle e tutto quanto, ancora caldo. Come il caffè, del resto. Ma chi se ne frega… che si raffreddi!
Usciamo per comprare il pane e per ricaricare il telefonino. E fuori dal portone discutiamo di quanto Choco parla con il cellulare e di quanto spende di telefonate, di profumeria, di massaggi, e lei si incazza. Ma io, come al solito, sto scherzando e lei mi tira addosso una palletta di carta che trova in tasca. Poi la raccogliamo per buttarla nel cassonetto e Choco mi ferma.
‐ La macchina! ‐ esclama.
‐ Quale macchina? – le dico.
‐ La sua macchina.
‐ Ma sua di chi?
‐ Di quel tizio di stanotte. Era appoggiato ad una macchina. E’ quella davanti l’officina.
Il sabato il meccanico è chiuso e a volte anch’io lascio l’auto parcheggiata lì davanti, anche se c’è il divieto di sosta. Ma questa auto è un po’ strana. Ma poi strana… è vecchia, ce ne sono tante così. E poi Choco non se ne intende di macchine, magari si confonde.
‐ Io non mi sbaglio mai, lo sai!
‐ Sìì, tu sei perfetta!
‐ Non prendermi in giro. Sei tu che ti sbagli sempre! Sbagli sempre strada, poi non ti ricordi le cose e sbagli pure quando fai la lavatrice.
‐ Ma senti te! Sei tu che sei infallibile e bisognerebbe fare tutto come dici tu. Ma se l’altra settimana mi hai macchiato una camicia in lavatrice.. tu!!!! E poi io ho sbagliato solo una volta.
‐ Ah sì. E quando?
‐ Quando ti ho chiesto di uscire la prima volta…..ahi!
‐ Stronzo! Sei sempre il solito. Mi hai pregato in ginocchio di uscire quella volta…..
‐ Eh, sì, in ginocchio per guardarti negli occhi….E lì sono costretto a correre, inseguito dalla piccola belva.
‐ A me è piaciuto molto. Forse è il film più carino che abbiamo visto quest’inverno.
‐ Sì, anche a me. De Niro è sempre grande. E poi hai visto che bella fotografia?
‐ Eccome no? Bellissima. Soprattutto quando lei fa la doccia nelle perle…
‐ Scemo… sei sempre il solito. Con te non si può parlare seriamente per più di mezzo minuto. Sei tremen…..
‐ Mi stringe forte il braccio e credo che senza il mio giaccone le sue unghie mi avrebbero bucato la pelle, tanta forza mette nella stretta. Si ferma e guarda immobile più avanti. Ora trema. Non capisco che cosa abbia, e non parla. Ma non le chiedo niente e guardo anch’io, mentre intanto la trascino, con le unghie che ormai hanno infilzato il piumino d’oca nuovo, e vedo, con la coda dell’occhio, la macchina davanti al divieto di sosta. E’ una vecchia Golf bianca. Si vede bene perché è illuminata come una scena a teatro; buio tutto intorno e luce solo su di lei. Domina la scena in maniera inquietante. E dentro c’è qualcuno. Non vedo bene perché camminiamo e poi entriamo veloci nel portone. Ma quel passaggio è come se lo fotografassi. E lo rivedo, rivedo la sua faccia, il suo enorme naso, rivedo il suo sguardo mentre ruota la testa verso di noi mentre saliamo le scale veloci, senza parlare, ma con una sensazione strana che ci accompagna, gradino per gradino. La foto è impressa ormai sulla pellicola della mia mente, che forse spesso non ricorda le cose, come dice Choco, ma stavolta è diverso. Quel naso, quella bocca spalancata come a gridare qualcosa senza rumore. Quello sguardo così… non so… inquietante, non so definirlo altrimenti. Non mette paura, ha qualcosa di particolare, ma sicuramente è inquietante. Ci credo che ieri mattina Choco non riusciva a dormire. Chissà che spavento, poverina.
Ne parliamo poco o niente, una volta rientrati a casa. Lei è silenziosa ed io penso non sia il caso comunque di preoccuparsi troppo. Tanto chi potrebbe essere? Un matto? Un ladro? Lo avranno notato anche altre persone sicuramente.
‐ Perché non lo dici alla Polizia? Dice Choco all’improvviso.
‐ Dai, non esageriamo. Magari è solo un ubriaco che dorme in macchina.
‐ Ah, sì e proprio sotto casa nostra?
‐ Va bè, avrà trovato un posto lì, davanti l’officina; poi magari domani sarà già andato via.
Choco non dice altro, però si capisce che è un po’ turbata. Va a struccarsi in bagno, mentre io chiudo le finestre. Con più cura del solito (!). Ma non dobbiamo suggestionarci, ripeto a me stesso.
Comincio a spogliarmi ed ascolto Ana e il suo compagno che rientrano e cominciano le loro docce piuttosto rumorose, non prima però di giocare un po’ a rincorrersi dentro casa. Mah, si divertono così…. Anche perché poi iniziano a ridere e a parlare e…. e un po’ di mugolii si ascoltano nel silenzio della notte. E comunque ogni volta che succede penso che Ana i suoi compagni se li sceglie sempre molto prestanti fisicamente, perché la durata dei loro “giochi” è sicuramente notevole!!!!
‐ Che stai facendo? – una mano sulla spalla mi fa sobbalzare.
‐ Che hai? Ti sei spaventato? – dice Choco un po’ divertita e un po’ sorpresa.
‐ No, è che….
‐ E’ cosa? Stavi ascoltando quelli accanto, vero?
‐ Beh, sì lo devo ammettere. Mi incuriosiscono.
‐ Perché? Dice Choco ancora un po’ sorpresa
‐ Mah, sai, si dicono delle cose particolari…
‐ Ma che ne sai tu, se parlano un’altra lingua?
‐ Ma si capisce, si capisce…..
‐ Si capisce che? Mi tira un cuscino.
‐ Si capisce che Ana ci sa fare… lei…. E il cuscino mi colpisce sulla faccia e poi Choco tenta (simula) un omicidio per soffocamento, col suo cuscino che ha il suo profumo sopra e, in pochi secondi mi fa dimenticare i giochi di Ana e del suo stallone, del film, dell’uomo sotto casa e …..
‐ A che ora vengono stasera Katia e Andreas? ‐ Mi chiede Choco.
‐ Verso le otto. Prima devono andare a ritirare le foto che hanno fatto in vacanza.
‐ Possiamo preparargli lo stufato. Quello della ricetta che mi hanno dato l’altro giorno in ufficio.
‐ Va bene. Con loro possiamo fare un po’ di esperimenti culinari. A loro piace provare cibi nuovi, lo sai che lo fanno spesso quando sono in vacanza. All’estero soprattutto.
‐ OK. Però mi sono accorta che abbiamo poco pane. Ti va di andare a comprarlo?
‐ E anche se non mi andasse, ci dovrei andare comunque….
‐ Pigrone! Fai qualcosa anche tu, mentre io comincio a preparare la cena! E poi devo ancora pulire un po’ la casa.
‐ Che brava casalinga. Cucina, lava, pulisce e… borbotta sempre. E’ proprio perfetta!!!
‐ Sei sempre il solito scemo, vorrei vedere te a stirarti le camicie. Non sei capace a fare niente.
‐ Proprio niente?! Mentre l’abbraccio facendole il solletico dove so e atteggiandomi come negli spot pubblicitari dei profumi o dei liquori.
‐ E dai che è tardi – sorride e mi respinge‐ dai, vai a comprare il pane. E, se c’è, anche la birra scura e quella panna che abbiamo mangiato l’altra sera e…
‐ E nient’altro? – vuoi anche che butti l’immondizia, ti lavi la macchina e porti a spasso i cani – le dico prendendola in giro e prendendomi un’altra cucinata mentre cerco di chiudere la porta di casa.
Faccio pochi passi sul pianerottolo e vedo per terra una busta. Non si capisce a chi è intestata. Forse è caduta ai vicini e non se ne sono accorti. E’ aperta. La apro. Sono curioso come una scimmia, direbbe Choco. C’è una chiave rossa. Solo quella. Niente portachiavi, nient’altro. La prendo e mi macchio la mano. Sembra vernice, ma credo sia qualcos’altro. C’è un simbolo e un numero. Sembra quello di una targa di automobile. Rimetto la chiave nella busta e la poggio di nuovo per terra.
‐ Ciao, come va? – faccio un salto all’indietro con il cuore a stantuffo.
‐ Be… bene (credo).
‐ Non sembra dice Ana sorridente. Ti ho spaventato? Ride. Lo credo che ride. Vedo il suo “stallone” che la abbraccia mandando giù mezza Ceres in un sorso.
‐ No, ero soprappensiero. Non ti preoccupare. Buona domenica
‐ Anche a te, ciao.
E vanno via ridendo piano. Ho fatto pure la figura dello scemo. Però quella busta, quella chiave…e quella vernice (?) che mi ha lasciato sulla mano una striatura rossa … mah!!!
Scendo anch’io le scale e, fuori dal portone, per istinto guardo verso sinistra, dove ieri notte abbiamo visto lui, il tizio inquietante.
C’è la sua auto. Piove, non c’è molta luce, ma riesco a vederla bene oggi. Certo che è proprio in condizioni pessime. Cade quasi a pezzi. Chissà quanti anni avrà? Guardo la targa: i numeri sono quasi cancellati dallo strato di polvere, di grasso, e non so cos’altro, ma sono …. rossi. Sì sono rossi. Non si vedono quasi mai da noi delle targhe con i numeri rossi: 5,8,H, 13… guardo la mia mano e la macchia rossa, alla luce, lascia intravedere i numeri che erano impressi sulla chiave. Si riescono a leggere, “tatuati” sul palmo e … sono gli stessi. Un brivido mi corre lungo la schiena. Non sono un pauroso, uno che si lascia suggestionare facilmente, però… però il brivido che mi percorre mi ferma, mi gela più dell’umidità che c’è oggi. Non so cosa pensare. Sicuramente non al pane che devo comprare, né alla cena di stasera, né al film di ieri, ma voglio vederci chiaro. Mi muovo e il brivido non se n’è certo andato, e mi avvicino all’auto, misurando i passi. Cautamente come fossi un ladro, o qualcuno che è nel posto in cui non deve stare.
Guardo dentro l’auto, coi piedi bloccati che sono un tutt’uno con il marciapiede. Immobile, sotto la pioggia che non sento, guardo dentro l’auto. Sì, è vecchia, arrugginita, segnata dal tempo, ma ha dentro un qualcosa di vivo, di inquietante, raggelante. Sembra quasi che mi guardi. I fanali due occhi che mi chiedono di ascoltarla. Sono diventato matto? Ma sì, è solo suggestione. Faccio un respiro profondo e mi tolgo dalla fronte e dagli occhi le gocce di pioggia, ma non realizzo che piove. Guardo dentro l’auto. Non ha specchietto retrovisore, ha il cambio sul volante, ha delle foto sul cruscotto, una scatola di biscotti e un succo di frutta. E sui sedili anteriori ha due tovaglie vecchie, o strofinacci da cucina, usati forse come foderine. Rimango un po’ stupito. Poi sento dei passi e una voce.
‐ Chi è? – una voce cavernosa – mi gelo ancora di più. Non mi volto.
‐ Chi è? – di nuovo la voce, più arrabbiata che curiosa.
Allora mi giro, ma non ne avrei voglia, e vedo un uomo sul balcone poco distante che parla con un ragazzo.
‐ Sono il garzone del fornaio, signore. Le ho portato il pane che ha ordinato. Torno a respirare dopo un attimo eterno, bagnato di sudore più che di pioggia, sprofondato nella mia suggestione e nella pozzanghera dove sono ormai da qualche minuto, senza essermene accorto. Il signore dalla voce cavernosa e il garzone mi riconducono così alla realtà. E, inconsapevoli, mi ridanno coraggio e pure consapevolezza che piove, è tardi e…. non ho ancora comprato il pane.
‐ Non ti sei accorto che stava piovendo? – dice Choco
‐ Evidentemente no! Tu che ne dici? – rispondo un po’ acido
‐ Ehi, ma che ti ho detto? Cos’hai?
Le racconto della chiave, della macchina e di tutto il resto e conveniamo che se domani l’auto sarà ancora lì, avvertirò la polizia.
Stiamo bene a cena. Lo stufato è buono e Katia e Andreas sono, come al solito, molto carini. Ci raccontano del viaggio che hanno fatto poche settimane prima e ci “anticipano” la visione di alcune foto. Sì perché Andreas è un bravo fotografo e, prima di mostrare i suoi scatti, ne fa sempre una cernita, scartando quelli che non gli piacciono. E’ molto severo con se stesso, ma lo capisco, lo ritiene anche più professionale. A noi le sue foto piacciono sempre, soprattutto alcune in bianco e nero che ci ha regalato e che abbiamo attaccato nella sala con delle cornici adatte a loro e anche all’ambiente, che è un po’ colorato. Del resto Choco quando ha tempo, dipinge, anzi macchia, come la prendo in giro io, e qualche quadro variopinto è in bella esposizione. Mentre stiamo mangiando il dolce fatto (ahinoi) da Katia (ed io faccio brutte smorfie e Choco mi gela con lo sguardo perché ha paura di fare brutta figura), suona il citofono.
Rispondo, ma non si sente nulla. Chiedo di nuovo chi è: niente. Parlo più forte, forse con la pioggia il citofono non funziona bene. Ma niente. All’improvviso comincio a sentire di nuovo quegli strani brividi percorrermi la schiena e mi guardo il palmo della mano, ancora più macchiato.
‐ Oh, mi apri o no, che mi stò “inzuppando”? – urla all’improvviso una voce conosciuta nel citofono, che adesso funziona: è il “Brinzo”, un nostro amico. E’ vero mi aveva detto che forse sarebbe passato a salutare Andreas e Katia; me ne ero dimenticato.
‐ Ehi, mi avete lasciato un pezzo di torta? – dice simpatico e vivace come sempre.
‐ E come no? – dico doppiamente sollevato – e Choco mi gela di nuovo con lo sguardo – ma che si è capito che il dolce non mi piace?
‐ Oh, non c’era un posto per l’auto. Ho girato 20 minuti per trovare parcheggio.
‐ Dove hai posteggiato? – gli chiedo ‐ Vicino al fornaio?
‐ No, più lontano. Perché avevo anche trovato un posto, davanti al meccanico. Però un tizio mi ha detto che non si poteva parcheggiare perché ti fanno le multe…
‐ Chi te lo ha detto?
‐ Mah, uno strano tizio, vestito male. Non sembrava normale, aveva un naso enorme come Nicky…..
‐ Come? – dico un po’ agitato.
‐ Sì, un tizio con un naso molto particolare, che stava in una Golf bianca.. mi ha detto che lui era il meccanico e che lì era divieto di sosta. Gli ho risposto che sarei rimasto solo un’oretta e poi avrei lasciato libero il posto. Ma lui ha detto che avrebbe chiamato i vigili. Allora ho preferito spostare l’auto e parcheggiarla più lontano. Che ne so, era strano, sembrava arrabbiato… non si sa mai.
Choco ed io non diciamo niente per non dover raccontare le strane cose degli ultimi giorni. Magari ci prendono pure in giro…. La serata va avanti, parliamo, scherziamo, ma ogni tanto io e Choco incrociando gli sguardi, sembriamo ricordarci qualcosa. Qualcosa di inquietante.
‐ Dai, sbrigati, ti do un passaggio alla fermata dell’autobus.
‐ Ma no, mi devo ancora truccare, non farmi fare le cose di corsa, ho ancora sonno!
‐ Preferisco che scendiamo insieme. E’ ancora buio a quest’ora. ‐ Non ne abbiamo parlato della strana storia neanche ieri sera dopo che i nostri amici se ne erano andati.
‐ Comunque se stamattina la Golf sarà ancora lì, avvertirò la polizia dall’ufficio.Ciao, io vado.
Scendo. E’ lì. Il meccanico in genere apre verso le 9. Chissà se la noterà. In effetti è posteggiata bene. Proprio poco prima del divieto di sosta. In ufficio non faccio in tempo ad arrivare che già mi trovo segregato in una riunione noiosissima, però importante, che dura quasi tutto il giorno. Choco non la sento per telefono e mi dimentico del tizio e della macchina bianca. E non chiamo la Polizia. Me ne ricordo solamente quando più tardi sto parcheggiando sotto casa. Incuriosito mi avvicino al portone, ma vedo che l’auto è ancora lì, come stamattina. Vuota.
Allora vado dal meccanico, che sta per chiudere; d’inverno trova molto traffico per tornare a casa, mi ha detto una volta, e allora finisce un po’ prima di lavorare. Mi saluta cordialmente e anche il vecchietto che sta sempre con lui. Avrà almeno75 anni, ma fa l’aiuto meccanico. E’ buffo, ma gentile. Sorride sempre, mostrando i pochi denti che gli sono rimasti, spesso sporchi del grasso delle macchine.
‐ Buonasera – gli dico mentre vedo che sta arrivando Choco.
Volevo dirle una cosa, sì, cioè, insomma… ha notato qualcosa di strano?
‐ Di strano?
‐ Sì, questa macchina. E’ da 3 o 4 giorni che è qui e c’è un tizio…
‐ Ah, sì, sì.
‐ Lo conosce?
‐ Sì. Lo conosco – dice con una strana smorfia.
‐ E’ così, così…..
‐ Così strano, vuol dire?
‐ Sì, infatti.
Lo conosco almeno da 40 anni. Lavoravamo insieme in officina da giovani. Avevamo un padrone che era un vero tiranno. Dopo anni che lo pagava poco e neanche sempre, lo ha cacciato via. L’ho rivisto qualche giorno fa. Poveraccio. Ha la moglie che sta male. E’ all’ospedale qui vicino. Non hanno i soldi per prendere una stanza dove possa dormire anche lui, che, tra l’altro, non sta benissimo. Abitano fuori città, hanno quest’auto vecchia e scassata e lui non se la sente di andare e venire tutti i giorni.
Mi ha chiesto di poter posteggiare qui davanti quando l’officina è chiusa, mi ha lasciato pure una chiave per spostarla…
Ma la notte dove va? – dice Choco incredula.
Dorme qui. In macchina.
Con questo freddo? – diciamo in stereo e ci guardiamo.
Eh, sì, poveraccio. Ma che può fare? Lì in ospedale non gli hanno dato neanche una poltrona… poi diciamo che lo Stato assiste gli anziani. Ma fatemi andare. E’ tardi, piove, troverò molto traffico.
Buonasera – diciamo quasi sconsolati.
Buonasera – e tirano giù la serranda del garage, lui e il suo aiuto con i denti sporchi di grasso d’officina.
Io e Choco non parliamo e torniamo verso casa per mano ripensando a quel tizio, al suo sguardo inquietante. Alla sua storia inquietante.