Il mondo che vorrei (love&dreams)

 ‐ Ho una sorpresa per te, Sam, amore ‐ disse la mia donna: mentre entrambi eravamo sdraiati su una scogliera a Plenty, una delle tante che popolano il litorale di questa magnifica cittadina, in cui nascemmo, io e lei, trent'anni prima, posta all'estrema punta nord dell'insenatura della grande isola di Greenland, nella baia di Aaron, sotto la calda luna d'agosto.
L'aria profumava di limpido ed il mare, luccicante e piatto come una tavola da surf, sapeva di pulito in quella magica e strana notte di san Lorenzo: magica perché noi due eravamo finalmente di nuovo insieme; strana perché eravamo soli, soltanto noi due, ancora insieme, un'altra volta dopo immemore tempo, sdraiati e mano nella mano, però, come agli inizi della nostra storia, a rimirar la luna piena ch'era quasi occidua rispetto alle nostre teste, in tutto il suo accecante splendore di astro donna e misteriosa, e in attesa delle stelle cadenti, ovvero (del) la lieta e speciale stella!
‐ Ho una sorpresa per te, Sam, ‐ ripetette Baby Jane, la mia donna; ‐ proprio una gran bella sorpresa: sta arrivando una bambina!
‐ Come una bambina? ‐ domandai allora io, esterrefàtto e lieto all'unisono.
‐  Certo Sam! ‐  rispose lei. ‐ Una bambina tua, tutta nostra in carne ed ossa; e la chiameremo "Fortunata"! 
‐ Fortunata? Sì,è molto bello! ‐ esclamai contento e poi le chiesi: ‐ Ma perché proprio quel nome?
‐ Sta arrivando una creatura tutta nostra, davvero, ed avrà gli occhi azzurri come il cielo, ‐ rispose Baby Jane; ‐ sarà "Fortunata" di nome e di fatto, perché quando verrà al mondo la nasconderò; sì, dovrò fare proprio questo: nasconderla a tutti loro quando verranno...(si trattava dei soldati dell'Anagrafe dei Governi). Sì, la nascoderò quando verranno per portarsela via ed arruolarla nell'esercito della vergogna, la nostra bellissima bambina: la preserverò dalle loro dannate grinfie. Non metteranno mai le mani su di lei, quelle mani grondanti di sangue, quelle sporche e fottutissime mani che sanno di morte; non glielo permetterò: dovremo farlo insieme, amore mio, dovremo proprio...dovremo farlo insieme, dovremo salvarla insieme: da quell'esercito che manda al macello uomini e donne inutilmente. La salveremo, Sam: è vero? Promettimi che lo faremo, dai fallo; promettilo, sì, che mi aiuterai?
‐ Sì! ‐ le dissi allora io. ‐ Lo faremo insieme: te lo prometto! (Pronunciavo quelle parole ma non sapevo ancora, dentro di me, come avrei fatto a mantenere la promessa!). Lo faccio quì, davanti a te, prima ancora che nasca Fortunata, prima ancora che arrivi la nostra stella e scompaia la luna. Ma ora calmati,  Baby, calmati, sei tutta sudata, vedo, sì...e stai piangendo; dai, calmati. Tremi dal freddo: su, dai, calmati, amore mio!
Baby, infatti, tremava tantissimo nonostante la notte fosse afosa ed umida (neanche un refolo di vento soffiava nell'aria, quel vento che viene sempre dall'oceano a rinfrescarla, ogni estate ‐ lo chiamiamo "Hot Lenny", dalle nostre parti, per via della dolcezza e della durezza che ha ‐ insieme alle grandi balene azzurre: porta il nome dell'uragano del 1926, di cui mi parlò ‐ anni addietro ‐ mio nonno Frank, e quello devastò la baia e l'arcipelago circostante; porta sempre refrigerio, però!): sembrava un pulcino uscito da una pozzanghera; i suoi denti battevano ed il loro ticchettìo addirittura rimbombava sulla scogliera quasi come se avesse l'eco!
Allora presi l'asciugamano rossa su cui eravamo sdraiatie la avvolsi sulle sua spalle; poi le misi le braccia intorno al collo e le sussurrai nell'orecchio sinistro: ‐ te ne prego, calmati adesso, Baby!
Ma lei si alzò di scatto (l'asciugamano che le avevo avvolto sulle spalle cadde sugli scogli) e mi disse, agitata e tremante più di prima: ‐ No, Sam, lasciami parlare ancora, lasciami sfogare in questa notte di luna piena così pazza; lasciamelo fare ora, quì, con te. Siamo soli, tu ed io, lasciami parlare ancora con te.
‐ Va bene, amore, ‐ feci io per non contraddirla ed agitarla ancor più. ‐ Parla pure, dai, parlami quanto vuoi; dimmi quello che vuoi: sono quì, accanto a te, ti ascolto.
Al che lei tacque per un attimo eppoi si inginocchiò davanti a me, afferrò le mie mani e guardandomi dritta negli occhi esclamò:
‐ Sam, non voglio mettere al mondo la mia creatura, così, indifesa; la nostra creatura, no, non lo voglio...Per coprire losche faccende, per farli combattere sudicie e lorde guerre che non le appartengono; che non ci appartengono; proprio non voglio che ciò  accada...Voglio vederla crescere lontano, la mia bambina, la nostra bambina, sì, lo desidero con tutta me stessa...Lontanissima anni luce da tutto questo, da tutti loro. Portiamola via insieme, facciamolo insieme quando verrà al mondo!
Nel nostro paese, da alcuni decenni, oramai, accadeva che l'Anagrafe dei Governi governasse con ferocia e malvagità, terrorizzando la gente attraverso una tirannica forma di dispotismo; inoltre, accadeva che il suo esercito confiscasse ogni neonato ‐ maschio o femmina che fosse ‐ venuto al mondo: per portarlo nei "campi di addestramento" del nord; ed educarlo ‐ man mano che cresceva ‐ ed addestrarlo (appunto) all'uso delle armi, renderlo pratico ed avvezzo al combattimento e alla guerra. Il nostro paese, infatti, combatteva contro gli altri paesi confinanti per il possesso del petrolio (serviva per far funzionare le fabbriche che costruivano le armi per combattere, per produrne nuove e per ogni altra possibile attività economico‐produttiva atta ad alimentare la guerra) e dei diamanti (servivano per pagare sempre più uomini assoldati al servizio del governo, abili a combattere e nell'addestrare bambini e giovani nei campi).
Noi due, io e Baby, facevamo parte, invece, da molti anni, ossia da quando ci eravamo messi insieme, ai tempi del college a Frisco, dell'opposizione "rossonera": eravamo, per questo motivo, sempre alla macchia, ognuno con un gruppo diverso. Ci eravamo visti ‐ qualche ora soltanto ‐ settimane prima di quella notte: allora avevamo fatto l'amore, così, nature, sotto una secolare quercia nel bosco di Attenborough, proprio quello che circonda le colline sovrastanti il litorale e le scogliere di Plenty; e lì era successo tutto...la nostra bambina, di cui parlava Baby quella notte, era stata generata proprio allora. Le sue paure, quindi, quelle di metterla al mondo, non erano assolutamente infondate, tutt'altro: ma io restai freddo e lucido, come sempre!
Baby Jane smise all'improvviso di parlarmi (quale sollievo per le mie povere orecchie, pensai dentro di me!) per un po' restammo entrambi in silenzio, seduti sugli scogli ad osservare ancora la luna e respirare l'aria afosa di quella notte, davvero insolita e bastarda: il nostro pensiero, invece, mareggiava sui lievi flutti dell'oceano!
Al termine del nostro silenzio (era durato soltanto alcuni minuti ma m'era parso infinito!), mi alzai in piedi davanti a Baby e dissi: ‐ Dai, su, lo faremo insieme, ti prometto che lo faremo; ti ho detto che lo faremo; la porteremo via da quì quando verrà al mondo!
‐ Spero che tu dica sul serio, ‐ replicò lei, ‐ dimmi che lo farai? Promettimi che lo faremo insieme, veramente?
‐ Va bene, ‐ feci ancora io, ‐ la porteremo sull'isola dei gabbiani, quando verrà, Baby, e li la cresceremo insieme la nostra bambina; l'ameremo insieme e poi qualcosa faremo; si vedrà poi...insieme!
L'isola dei gabbiani  fu il primo posto che m'era balenato in testa da dirli, a Baby Jane, quella notte: sapevo, però, che quello, sebbene fosse solitario e in parte sicuro, non sarebbe potuto essere la definitiva sistemazione per noi tre. Quell'isola, un piccolo lembo di terra posto ad un quarto d'ora di scafo da Plenty, era sempre stata meta preferita di contrabbandieri e mercanti di uomini ed armi in passato ma da qualche anno, per via della vegetazione ostile ed impèrvia che la popola (una boscaglia fitta di mangrovie e arbusti spinosi immersa in malsane paludi, tutto l'anno frequentate da zanzare giganti e mosquitos killer!), non lo era più...Quel posto non sarebbe stato di certo adatto per una piccola creatura: entrambi lo sapevamo.
Baby Jane, però, dop'aver ascoltato le mie parole, si avvicinò a me, pi prese di nuovo per mano e guardandomi negli occhi scoppiò in un pianto a dirotto. Così restai in silenzio ad ascoltare le sue lacrime, soltanto per un attimo: poi, anch'io la guardai negli occhi, le accarezzai il viso con dolcezza e la strinsi forte tra le mie braccia.
Dopo qualche minuto, però, lei riprese a parlare con più impeto di prima (sembrava un colpo di cannone esploso da un vecchio galeone spagnolo!):
‐ Quando loro verranno, ‐ disse, ‐ noi non saremo ad accoglierli a braccia aperte; prima che accada la porterò via con me, non preoccuparti, zio Sam (a volte mi chiamava zio, proprio come quello del nostro paese prima dell'avvento della dittatura!); stanne certo che sarà così: farò tutto ciò che ho promesso, da buona madre manterrò la parola: per la nostra creatura che deve arrivare, la porteremo via insieme, vedrai.
‐ Okey, va bene, amor mio! ‐ le dissi ancora. ‐ Lo faremo insieme!
‐ Voglio veder crescere la mia bambina tranquilla, ‐ fece lei; ‐ vorrei vederla crescere felice, magari in una terra dove le stelle cadono giù dal cielo sempre, tutte le notti d'ogni giorno e non soltanto una volta all'anno.
‐ Credimi, Baby, lo vorrei anch'io, con tutto il cuore; con tutto me stesso vorrei fosse proprio così!
Nel frattempo una nuvola si frappose fra noi e la luna, caddero alcune gocce di pioggia (l'aria, però, era sempre afosa ed il vento restava una agognata chimera) ma lei ancora...Baby Jane non aveva sosta e fece: ‐ Andremo all'isola dei gabbiani, Sam, proprio come hai detto tu, eppoi...poi si vedrà, hai ragione, amore! Poi, chissà, troveremo un'altro posto, un'altra terra dove vivere felici insieme, noi tre!
Baby Jane non si fermava: sembrava proprio logorroica, quasi presa da una frenesia spasmodica.
‐ Dividiamo questa speranza! ‐ esclamò. ‐ Dividiamo questo progetto, questo proposito. Dividi con me questa speranza, Sam! ‐ ripetette. ‐ Dividila con me, se vuoi.
Al che la interruppi, riuscii a farlo per un attimo, dicendole:
‐ Va bene, Baby, lo farò ma...
Lei, però, subito mi interruppe, a sua volta, e riprese a parlare:
‐ Quella terra esiste, Sam; noi la troveremo per nostra figlia: affinché la nostra bambina possa crescere tranquilla e felice, per diventare un nuovo combattente del sole e dell'armonia come noi due; combattere contro i despoti e la tirannia! Credo che ciò avverrà, se solo noi lo vorremo; la porteremo in quella terra se la troveremo. Quella terra esiste, sai? La troveremo, Sam, la troveremo insieme! Quella terra esiste davvero, amor mio: è una terra senza lacrime, è la terra di amore e sogni che sognamo, in un mondo di amore e sogni che abbiamo sempre sognato: senza lacrime. Quella terra esiste, Sam, credimi: ma non è la terra promessa!
‐ Ma dov'é, allora? ‐ chiesi. ‐ Dimmelo, dai, come si chiama?
‐ Credo proprio che esista, ‐ fece lei, ‐ credo che possa esistere ancora sulla terra un posto così, senza tempo: magari lontano da noi, da quì...forse si chiama Mirageville, Sam, chissà; o forse Neverland, o terra di nessuno, o delle verità nascoste, o magari si chiama terra...nuova: semplicemente e basta! E se esiste lo troveremo, vedrai.
‐ Certo, amore mio: e lo faremo insieme, te lo prometto: e lo cercheremo noi due insieme...no! no! Noi (tre) insieme!
Baby cominciò a piangere ed a singhiozzare per la commozione e poi, lentamente, si riebbe ricominciando ad essere logorroica e un po' "su di giri": 
‐   Sì! Sì! Credo che esista un posto così; sì, forse si trova a mille migliaia di chilometri da quì, da noi, ma esiste. Un posto, quello,in cui ci si possa sdraiare sugli scogli per ascoltare le onde del mare che cantano insieme al vento e...eppoi perdersi senza paure e limiti coi propri pensieri nell'orizzonte infinito davanti a noi, senza l'assillo di dover "ritornare"; o magari restare in silenzio davanti alla luna che ci osserva, anch'essa muta, in attesa della lieta stella. E se esiste quel posto lo troveremo; sicuro che lo troveremo: sì, davvero noi lo troveremo!
Alla fine, però, riuscii finalmente a interromperla, o forse, chissà, lo aveva fatto di proposito (a bloccarsi dal suo frenetico discorrere) per farmi parlare, per far parlare anche me, e allora le chiesi:
‐ A proposito, Baby, come mai non è ancora arrivata la nostra stella, questa notte?
(Era pur sempre la notte delle stelle cadenti e forse, chissà, lo avevamo dimenticato entrambi, presi dal nostro parlare ed ascoltarci a vicenda!).
Lei, così, con voce ora calma e sottile (Baby Jane appariva anche più serena ed aveva ripreso a sorridere) mi rispose dicendo:
‐ Questa notte non arriverà, Sam; lei, la nostra stella, arriverà fra nove mesi e si chiamerà "Fortunata"!
In effetti, era giunta quasi l'alba (le prime luci turchine e cremisi cominciavano a far capolino all'orizzonte) ma niente...E della stella, la nostra stella, non c'era ancora stata nessuna traccia: e non ci sarebbe stata, probabilmente, neanche se l'avessimo pagata a peso d'oro o avessimo ancora atteso, sdraiati sugli scogli, per altri mille anni1
Così, dopo le ultime parole pronunciate da Baby, io e lei, come prima, ci sdraiammo sugli scogli; adesso, però, più stanchi morti di prima (forse, chissà, più morti che stanchi!), tenendoci per mano, in attesa di addormentarci: all'esercito dell'Anagrafe e alla nostra bambina, all'isola dei gabbiani e a tutto il resto ci avremmo pensato l'indomani!

da: alcuni brani dei Jefferson Airplane, "l'unico aeroplano americano che non bombardò Saigon!".

Taranto, 18 giugno 2013.