Il pittore e la modella
Aveva posato decine di volte per i servizi di fotografi, noti e meno noti, cui l'agenzia la inviava per questo o quel book, per la pubblicità di questo o quel prodotto, di questa o quella casa di moda.
Si spogliava e rivestiva con la stessa nonchalance di un tuffatore in piscina, che si tuffa e riemerge, si rituffa e riemerge ancora, finché, finito il lavoro, si allontanava, senza una parola di congedo.
Incurante degli obiettivi digitali e degli sguardi che cadevano sul suo corpo, lasciava che i riflettori illuminassero la sua indubbia bellezza e fascino e la fissassero in centinaia di scatti, in miriadi di sfumature di espressioni, da cui poi, come sempre, sarebbero stati estratti al massimo una decina di provini.
Abitudine, prassi, lavoro... Nient'altro.
Così non la stupì più di tanto il sapere di essere stata scelta come modella, direttamente dal catalogo dell'agenzia, da un oscuro pittore di cui poco trapelava dai media, ma del quale aveva sentito dire, nei vernissage che aveva frequentato fino a quel momento, che fosse piuttosto noto e quotato all'estero, più che in Italia. Il nome sul biglietto da visita non le suggerì nulla più di questo, era anzi un nome italiano ma poteva tranquillamente essere l'ennesimo figlio di emigrati naturalizzato all'estero.
Accettò l'incarico come da routine. L'agenzia fissò l'appuntamento e gliene comunicò luogo, giorno, ora.
Un villino in collina, poco fuori città, posto ideale per qualunque mente che avesse bisogno di concentrarsi lontano dal traffico del centro.
Il pittore, alto, brizzolato, sulla quarantina, fisico non troppo asciutto né particolarmente atletico, la accolse con educato e gentile distacco, cosa che la mise subito a proprio agio, leggendo ella in tale atteggiamento il fare di un professionista che non ha tempo da perdere...
"Vorrei dipingere un nudo, se per te non è un problema..." le chiese, ed ella lesse in quelle parole che lui non avrebbe avuto alcun problema a sostituirla se si fosse per qualche motivo rifiutata.
"Mi dica che posa vuole e stia tranquillo, sono una professionista", rispose, sottolineando l’ultimo dettaglio.
Le disse di sdraiarsi su un lettino dalle lenzuola scomposte, già approntato nello studio, e, come un regista, ne fissò accuratamente la posa...
"prona, busto sui gomiti, con le gambe piegate all'insù, i piedi ben in alto, come leggessi un libro o una rivista in un pomeriggio di relax..."
Lei seguì alla lettera le sue direttive, compiacendosi della propria impeccabilità, indovinando la forma che lui cercava al primo tentativo.
Rimase un pò piccata, però, quando il pittore, dopo averle dato un rapido sguardo complessivo, così distesa, nuda, con l'ampia schiena aperta a qualunque sguardo ed interpretazione, decise di modificare la posa, facendole indossare una camicia bianca e stiratissima, che sembrava appena uscita dalla tintoria, se non dal negozio. Una camicia da uomo sicuramente... Le chiese poi di riprendere la posizione precedente tenendo la camicia del tutto aperta. Dettaglio quest'ultimo che, risdraiatasi sul lettino, le mise in risalto le forme del seno, forse proprio perché parzialmente coperto...
Eppure ella avvertì ancora una punta di fastidio, quando sentì di essere per lui non una professionista al pari suo ma poco più che creta nelle mani della sua ispirazione. Lui le indicava cosa fare senza parlarle veramente. Lui prestava attenzione ai dettagli del lettino o della camicia sul suo corpo... Ma non al corpo, come se il suo corpo fosse la cosa più scontata, la parte più sostituibile di tutta l'immagine che quello lì cercava di esprimere. Non le lasciava alcuno spazio di libertà espressiva. La faceva sentire poco più di un manichino di carne.
Si concentrò sulla sua posa finché non lo vide sparire dietro la tela, poi, non potendosi muovere, iniziò a viaggiare con la fantasia.
Il pittore fece partire un cd sul lettore, un assolo di pianoforte che ella trovò immediatamente lento e melenso... Storse gli occhi per un momento in un'espressione di noia e disgusto...
"Ferma per favore!", fu il richiamo imperioso, al di là delle parole apparentemente educate. Ella sgranò ulteriormente lo sguardo concentrandosi mentalmente sulle parole "che palle!" che non avrebbe potuto pronunciare, se non voleva correre il rischio di far innervosire il cliente, cosa che sicuramente l'agenzia non avrebbe approvato.
"Ferma, ho detto!" fu l'ulteriore richiamo, da dietro la tela. Nemmeno s'era sporto a guardarla stavolta, come cavolo aveva fatto a vederla, si chiese lei.
Poco a poco però l'atmosfera cambiò... Man mano che il lavoro andava avanti ella sentì che lui iniziava a guardarla, a guardarla sul serio ‐ non avrebbe saputo spiegarlo diversamente ‐ come se la stesse vedendo veramente solo ora, per la prima volta, solo in quel momento, come se ella non fosse già da prima esistita ma cominciasse a nascere in realtà ora, su quel lettino, mentre lentamente veniva concepita, generata e partorita nuovamente dai suoi carboncini e pennelli...
Ella cominciò inspiegabilmente a sentirsi vista, non solo guardata con gli occhi, sentì di esistere nella pelle, nella sua stessa carne, man mano che il rumore dei pennelli sulla tela si faceva ora incalzante, ora leggero e morbido, quasi impercettibile all'udito... Mentre il pianoforte dentro il lettore cd continuava a suonare melodie malinconiche che le facevano venire in mente impressioni di ricordi lontani che però non riusciva a mettere a fuoco... Ammesso che fossero suoi... Forse... Forse stava sentendo i pensieri del pittore e lei ne era solo l'inconsapevole interprete.
Si azzardò a guardare verso di lui con la coda dell'occhio e lo vide, posto di tre quarti, la tela in obliquo, prendere tutta la luce possibile che cadeva da un lucernario aperto. E ne vide le espressioni del viso, ora delicato, ora triste, ora rabbioso, quasi violento, mentre delicate, tristi, rabbiose, quasi violente divenivano le pennellate sulla tela che ella non riusciva a scorgere.
Sentì, ella, inesplicabilmente, quelle pennellate su di sé, sulla sua pelle, dentro il suo corpo, ora come carezze, ora come scudisciate... Carezze e scudisciate sulla sua stessa femminilità... Gesti d'amore e di odio che ella sentì di ricevere... E sentì di volere ancora... E ancora...
Ogni pennellata sulla tela era divenuto un colpo dentro di lei... Un amplesso misterioso, silenzioso e selvaggio che la stava portando inesorabilmente al limite ultimo, senza esserne nemmeno sfiorata...
Sul lenzuolo cadde qualche goccia di sudore... La sua fronte ne era madida... La camicia stessa pareva aderirle addosso, fasciarle il corpo, baciarle la pelle di un bacio umido e caldo...
Tra le sue gambe era l'inferno liquido... Le sue labbra erano gonfie di desiderio a stento represso... Il clitoride tirava e pizzicava come impazzito... Avrebbe voluto che lui la prendesse di colpo... Che lasciasse cadere quei maledetti pennelli e le entrasse dentro a fondo... Fin dentro l'anima... Che la abbracciasse, la stringesse e la prendesse in tutti i modi possibili... Sarebbe stata felice di rimanere ferma e immobile purché lui le facesse esplodere quella specie di bolla di voglia feroce che le si stava gonfiando paurosamente dentro... Avrebbe voluto che lui la lasciasse almeno da sola... Il tempo di una sigaretta almeno... Si sarebbe potuta sfogare, masturbandosi ferocemente... Tanto, ne era sicura, sarebbe stata questione di attimi... Di poche violente carezze... Ma da sola quella bolla non arrivava alla luce... Non esplodeva... E lei avrebbe voluto... Oh si, avrebbe tanto voluto esplodere... Avrebbe voluto che lui rendesse lei opera d'arte con la propria passione, passione che ora sentiva inesorabilmente addosso, come stava invece facendo con quella maledetta tela... Al posto di quella maledetta tela...
"Finito!" la parola le risuonò lontana, come arrivasse ovattata e riecheggiante dal fondo di un corridoio...
Alzò lentamente gli occhi annebbiati...
"Cos...cosa..? Ha detto...sc...scusi..?" la gola le si era seccata e si trovò in un attimo, priva di parole, a sentirsi davvero nuda... Nuda nelle proprie emozioni scoperte... Evidentissime... Dal calore che sentiva sul viso al sudore copioso che aveva reso la camicia semitrasparente...
Il pittore, ancora infervorato dalla sua opera, parve non farvi caso. Abbassò il volume dello stereo ed iniziò ad asciugarsi le mani con uno straccio che teneva sul treppiede.
"Ho finito, signorina, quindi ha finito anche lei. La ringrazio. Vuole vedere il quadro?"
Il quadro... A lui interessava soltanto il quadro... Voleva mostrarle il suo lavoro... Lei non esisteva già più... Era già opaca... Si sentì tornare opaca... Quasi trasparente... Invisibile.
Si coprì pudicamente col lenzuolo del lettino, avvolgendoselo addosso a mo di tunica e con passo tremante ‐ forse lei non avrebbe voluto davvero vedere quel quadro ‐ girò intorno alla tela.
Era bellissima! Le somigliava fisicamente in tutto... Capelli, espressione del viso, forme del corpo... Eppure non era lei..! La bellezza nel quadro esprimeva una sensualità tanto dolce e talmente prorompente al tempo stesso... Che le fece venir voglia di farci l'amore... Si sentì piccola ed insignificante... Se il pittore aveva pure preso spunto dalle sue forme, le aveva però riempite di qualcosa d'altro, era più che evidente... Qualcosa di più... Un calore che bucava, lacerava la tela e ti entrava nel sangue...
Si rivestì lentamente. Il pittore la accompagnò gentilmente alla porta e la congedò. Avrebbe spedito il suo compenso direttamente all'agenzia.
Lavoro. Prassi. Nient'altro.
Per le scale e poi fuori, attraversando il giardino, lacrime di mascara le scesero, silenziosamente lente, segnandole il viso...