Il principe della notte
Fu trovato, dopo alcuni giorni di nebbia fittissima, all’interno di un capannone industriale. Era finito lì chissà come e mi venne subito affidato.
Non avevo mai visto così da vicino un barbagianni. Mi trovai di fronte un faccione bianco, una specie di maschera a forma di cuore con due occhi obliqui che mi guardavano seri. Mi dette l’impressione di un gatto più che di un uccello. Con il gatto aveva in comune il corpo robusto, il capo rotondo, la posizione di agguato. Oltre che, naturalmente, l’antica passione per i topi!
Era un esemplare assai bello, fortunatamente sano, lo sguardo intelligente, l’atteggiamento da persona importante, austero, aristocratico, quasi regale.
Il grosso volatile mi incuriosiva. Che cosa potevo fare se non cercare un buon libro di ornitologia o ricorrere a un’enciclopedia sugli animali?
Così venni a conoscenza, fra l’altro, che i barbagianni spesso sono costretti a vivere in cattività e addestrati, come le civette, a richiamare uccelli, soprattutto allodole, durante le battute di caccia. E, ancor peggio, seppi della barbarica antica usanza di uccidere crudelmente questi uccelli e altri rapaci notturni, inchiodandoli poi alle porte di casa. In passato la superstizione popolare li faceva ritenere infatti di cattivo augurio. Mi consolai pensando che una simile idea oggi farebbe inorridire, considerato il livello della nostra civiltà e tutti gli appelli per la conservazione della natura.
‐ Non voglio tenerti qui prigioniero. Meglio la libertà! ‐ gli dissi, e lui sembrò annuire socchiudendo gli occhi.
In quel momento squillò il telefono. Il barbagianni si mosse appena appena ma, chissà come, intuii perfettamente che aveva l’intenzione di volare.
‐ Addio! ‐ tremai ‐ Non sono stata previdente: e ora… la statuina di finissima porcellana di Capodimonte regalo di una vecchia amica, e… la splendida lampada antica, dono di nozze di una cara cugina, e il vaso che io stessa avevo dipinto a mano e portato a cuocere in un forno dall’altra parte della città, attraversando una fiumana di auto e sudando freddo per le difficoltà di parcheggio? Addio! Sarebbe stato tutto distrutto.
Risposi al telefono cercando di limitare al massimo i miei movimenti e di parlare a bassa voce:
‐ Oh, che fortuna abbiamo avuto, va bene… Certo che sono contenta! No, no… sono solo un attimo occupata, poi ti spiegherò. Tu, intanto, comincia a studiare l’itinerario…
E c’è ancora chi dice che il barbagianni porta male? Ebbene, la mia amica Paola mi aveva appena informato di essere riuscita a trovare i biglietti aerei per un nostro viaggio, un nostro vecchio sogno. Fino alla sera prima era stata un’impresa talmente difficile che ormai pensavamo di dovervi rinunziare.
Quindi, durante le prossime vacanze di Natale, avremmo finalmente visitato l’isola di Lanzarote con i suoi splendidi vulcani colorati e, soprattutto, io avrei potuto rivedere mio padre che viveva alle isole Canarie già da qualche anno.
L’uccello intanto era approdato dall’altra parte del salotto. Niente: era passato accanto agli oggetti più delicati senza romperne neppure uno. Il suo volo era leggerissimo e silenzioso.
Pensai quale fruscio rumoroso accompagna lo spostamento di un piccione, nonostante sia di dimensione inferiore. E perfino un minuscolo uccelletto fa sentire il frullio delle alucce, per non parlare addirittura degli insetti, ancora più piccoli, che producono il ben noto ronzio.
Il volo del barbagianni invece era un soffio. Né più né meno che quello di una farfalla.
Ora se ne stava sulle lunghe zampe divaricate coperte di piume e ondeggiava con un movimento molleggiato simile a una danza (solo dopo appresi che era indice di disagio e di agitazione), poi decollò nuovamente, ma ora sapevo che potevo fidarmi di lui!
Le ali erano molto ampie, il volo elegante. Si stabilì senza alcun danno sul televisore, e lì se ne stette bello tranquillo.
Abbassai un po’ la tapparella. Conoscendo le sue abitudini notturne, mi sembrava che la luce diretta lo abbagliasse.
Mi avvicinai all’uccello a piccoli passi. Mi feci coraggio e lo toccai. Il suo piumaggio era soffice, quasi lanuginoso, di un bel colore grigio rossastro nella parte superiore, candido nella parte inferiore.
Il barbagianni iniziò a lisciarsi e ordinarsi le penne con il becco curvo e giallastro. Sembrava tranquillo. Doveva avere un udito finissimo perché, ad ogni parvenza di rumore proveniente dall’esterno o dagli appartamenti vicini, si fermava bruscamente.
‐ E ora che cosa si fa con te? ‐ gli domandai mentre lui mi lanciava un’occhiata.
Presi contatto con un’associazione naturalistica e mi feci consigliare sul trattamento da riservare all’illustre ospite. Come avevo previsto, era necessario liberarlo. Sarebbe stato troppo complicato trovargli una sistemazione e soprattutto alimentarlo adeguatamente.
La mattina seguente collocai il barbagianni in una gabbia e lo trasportai nel grande giardino della scuola. Mi sembrava il posto più adatto e poi… immaginiamoci la sorpresa per miei alunni di prima elementare! Fui immediatamente circondata da una folla di piccoli curiosi.
‐ Perché non gli diamo un nome, prima di liberarlo? ‐ propose qualcuno.
‐ Proviamoci. ‐ risposi.
I nomi più graziosi, all’inizio, furono Cicciottello e Pennagrigia. Poi Nicoletta, la bambina più romantica della classe, suggerì Cuoricino perché il volto le ricordava la forma del cuore. Infine Luca, il grande esperto sulla natura, ci propose “Il principe della notte”. Mettemmo ai voti tutti i nomi e vinse l’ultimo.
Aprii la porta della gabbia. Il barbagianni restò un attimo immobile a guardarci come per decidere sul da farsi, poi prese il volo scomparendo dopo qualche istante nella foschia, mentre i bambini applaudivano.
‐ Dove sarà arrivato, adesso? ‐ chiese più tardi Nicoletta.
‐ In un’altra città o in America, oppure… ‐ si misero a fantasticare.
A qualcuno era rimasta l’illusione che il barbagianni, prima o poi, sarebbe ritornato “a farci visita”. Confesso che un po’ lo speravo anch’io e più volte quel giorno mi sorpresi a guardare fuori della finestra…
Poi mi augurai che il “Principe della notte” avesse trovato la libertà dei campi per sempre.