Il professore
Il professor Mauro Rossi insegnava lettere e filosofia in un liceo classico intitolato a Carlo Goldoni. Viveva da solo in un umido monolocale alla periferia est della città, non si era mai sposato e con ogni probabilità non aveva mai nemmeno fatto sesso in vita sua, né era mai stato con una ragazza. Era una brava persona, di una umanità straordinaria, solo che della vita reale non sapeva niente. Tutto quello che conosceva lo aveva appreso dai libri. La sua vita sembrava dedita esclusivamente allo studio. Il professore era un tipo bassino, magro, con lineamenti severi ma belli; portava un paio di occhiali spessi e si era ingobbito a furia di star piegato su qualche antico testo di letteratura. Usciva di rado, in genere per fare delle piacevoli passeggiate nella villa comunale, dove scambiava quattro chiacchiere con alcuni conoscenti (pensionati che si ritrovavano puntualmente ad ogni giorno di sole in villa per fumare una sigaretta e parlare dei bei vecchi tempi) e respirava un po’ d’aria fresca. Il suo unico vizio era il fumo. A scuola erano in molti a ridere di lui, non solo tra gli alunni, ma anche tra i suoi stessi colleghi. La sua vita risultava noiosa e banale agli occhi degli altri, ma sembrava che a lui andasse più che bene. Era felice, o almeno così tutti credevano, ma dietro quella maschera nascondeva paesaggi di una solitudine sconfinata.
Di lì a qualche anno sarebbe andato in pensione e avrebbe così concluso una brillante carriera in cui aveva fatto ogni sforzo per trasmettere un po’ di cultura ad una massa di adolescenti irrequieti e indisciplinati. Era un pomeriggio soleggiato quando ripensò per la prima volta seriamente alla sua vita. Aveva sempre evitato tali pensieri, ma era arrivato il momento di fare un resoconto, un sunto della sua esistenza, di trovarne un senso, di convincersi. Non aveva una donna, non aveva amici con cui confidarsi, non aveva mai fatto esperienze che gli avessero serbato un ricordo piacevole, mai fatto quello che tutti i suoi coetanei avevano fatto quando avevano vent’anni, e cioè ubriacarsi, portarsi a letto donne dai facili costumi, partecipare alle proteste giovanili (il professore era giovane ai tempi della contestazione). Inesorabilmente si avviava verso la vecchiaia e non conosceva una sola persona che avrebbe pianto sulla sua tomba. Voleva lasciare un segno, voleva che qualcuno si ricordasse di lui. All’improvviso gli parve che la vita non avesse senso. Quel pomeriggio Mauro, assalito da un inatteso senso di vuoto e smarrimento, sentendosi solo come non mai, decise che era arrivato il momento di fare amicizia con qualcuno, di avvicinarsi ai suoi simili, di dare una svolta alla sua vita, di iniziare a tessere le tele per avere dei rapporti sociali… Era arrivato il momento di fare qualche esperienza di vita reale.
Si recò in un bar e ordinò un caffè. Al banco c’era una donna solitaria che sorseggiava un liquore. Era alta, anch’ella sulla sessantina, con un portamento altezzoso e nobile. Sorseggiava tranquillamente il suo liquore e leggeva un quotidiano. Il professore cercava di trovare le parole adatte per intavolare una conversazione, ma era assalito da una morbosa sensazione di paura che gli impediva di iniziare qualsiasi discorso. Gli sembrava di avere la lingua incollata alla gola. Osservava impotente quella donna, rosso in volto come un peperone, incapace di rivolgerle la parola. La donna però si accorse che un paio di occhi erano posati su di lei e si girò a guardare l’uomo. Mauro si trovò faccia a faccia con la signora e, non sapendo cosa fare, disse improvvisamente, meravigliandosi di se stesso: ‐ Posso offrirle qualcosa da bere?
‐ Oh, sì. Prendo un altro brandy, grazie. Prendine uno anche tu. Vedrai, ti farà bene.
‐ No, grazie. Non bevo.
‐ Oh, che sarà mai un goccio! Su, brindiamo insieme!
‐ E va bene. Se proprio insiste...
‐ Dammi del tu. Io sono Adriana. E tu, come ti chiami?
‐ Mauro. Mauro Rossi.
Il professore si sentiva la faccia ribollire. Era come travolto dalla scioltezza di quella donna.
‐ Ok, Mauro. E… cosa fai di bello nella vita?
‐ Insegno lettere e filosofia in un liceo classico.
‐ Ah, bene. Ti piace leggere? ‐ chiese Adriana.
‐ Certo.
‐ Anche a me. Quali sono i tuoi autori preferiti?
‐ Oh, tanti, tanti.
Il cameriere servì i due brandy. Adriana levò il bicchiere in alto.
‐ Alla salute! ‐ disse. Mauro la imitò e gettò giù quel liquido che gli pareva avesse il sapore del fuoco. Arrossì ancora.
‐ Su, prendiamone un altro! ‐ propose Adriana.
‐ No, grazie. Mi gira leggermente la testa.
‐ Su, fai il bravo. Devi scioglierti. Hai l’aria di sprecato. Sei molto solo, non è vero?
Il professore evitò di rispondere a quell’ultima domanda. Si sentiva come psicoanalizzato. Si limitò solamente a dire: ‐ Beviamo un altro brandy.
Brindarono di nuovo. Il professore si sentiva sbronzo. Ok. Pensò. Questa è già una prima esperienza. Non mi sono mai ubriacato in vita mia. Ora l’ho fatto, ma questo stato confusionale non mi piace. Ma è pur sempre un’esperienza, e io ho bisogno di esperienze, esperienze reali. Adriana sembrava divertita da quell’uomo, dalla sua palese timidezza, dalla sua goffaggine, dalla sua aria spaurita. Lo invitò a casa per cena. Mauro accettò l’invito solamente perché era stravolto dall’alcool. Da sobrio non avrebbe mai acconsentito ad andare a casa di un’estranea.
L’appartamento di Adriana era carino e ben arredato. La mobilia era in perfetto stile moderno e in salotto c’erano diversi bei quadri che attirarono subito l’attenzione del professore.
‐ Ti piacciono i quadri? ‐ chiese Adriana.
‐ Sì, molto. Anche se non capisco niente di pittura.
‐ Anch’io.
‐ Mettiti comodo. ‐ Il professore si accomodò su un divano. ‐ Cosa preferisci per cena? Spaghetti al pesto?
‐ Sì… Grazie.
‐ Ti piacciono?
‐ Sì, per me va bene qualsiasi cosa.
‐ Ma ti piacciono gli spaghetti al pesto? Sei sicuro? ‐ insistette Adriana.
‐ Sì… Sì, parecchio.
Adriana si dileguò in cucina, dove mise a bollire l’acqua. Tornata in salotto, aprì una bottiglia di brandy e lo versò in due bicchieri. Mauro bevve tutto d’un fiato, sentendosi bruciare la gola. All’improvviso Adriana lo baciò sulla bocca, per pochi secondi, ma con una passione e un ardore che il professore difficilmente avrebbe dimenticato. Era stato il primo bacio della sua vita. Era bello baciarsi.
Quando la pasta fu pronta mangiarono entrambi con un certo appetito. Adriana stappò una bottiglia di buon vino rosso. Quando si alzarono da tavola, la mente di Mauro era annebbiata e confusa. Si accomodarono sul divano e iniziarono a parlare.
‐ Devi essere un uomo molto solo. L’ho capito subito. ‐ esordì Adriana carezzandogli una guancia.
‐ Sì, non sai quanto...
‐ Sei sbronzo?
‐ Sì… Sai, io non so niente della vita. So solo quanto ho letto nei libri, ma di reale… non so niente. Sono confuso.
‐ Lo so. Hai bevuto troppo. Sei sposato?
‐ No. ‐ Mauro esitò per alcuni istanti prima di rispondere. Poi chiese: ‐ Tu?
‐ Sì… ma mio marito non c’è. È fuori per motivi di lavoro. Torna tra un paio di giorni e… Ti confesso una cosa: io odio quell’uomo. È così… patetico, schiavo delle apparenze, della società, del denaro…
‐ E perché lo hai sposato?
‐ Perché? ‐ Adriana rise. ‐ Per i soldi. Si capisce!
‐ Ma lui ti ama?
‐ Non ne ho idea, e non mi interessa nemmeno. Ma di certo io non lo amo. Non l’ho mai amato, nemmeno quando eravamo fidanzati da appena due giorni. Ho solo fiutato l’affare. ‐ Guardò fisso Mauro in volto, tirò fuori un biglietto da cinquanta euro e glielo lasciò cadere addosso. ‐ Sono questi che fanno girare il mondo! Senti, ti andrebbe di scopare con me?
Mauro quasi balzò in piedi dal divano. Aveva paura.
‐ Cosa? ‐ chiese. ‐ Ma tu… sei sposata… E poi…
‐ Poi cosa? ‐ lo interruppe Adriana ridendo e passandogli un dito sulle labbra.
‐ Io… Beh, vedi, io… Non ho mai… Io sono un uomo molto solo, te ne sei accorta anche tu… Beh, io… Non ho mai fatto sesso in vita mia… Oh Dio! Non dovrei nemmeno dirtele queste cose… Ma sono ubriaco, o credo… Sai… i Latini… In vino veritas.
Le sue erano frasi sconnesse.
Adriana incollò le sue labbra a quelle del professore, poi disse: ‐ Non preoccuparti. Ti insegno io. Preparati alla più grande esperienza della tua vita, professore!
Mauro rimase muto.
‐ Io vado un attimo in bagno. Tu intanto spogliati. ‐ gli ordinò Adriana.
Tornata in salotto, Adriana trovò il professore che dormiva come un sasso. Non che avesse bevuto chissà quanto, ma non essendo abituato era crollato subito addormentato. Adriana lo fissò e notò i suoi lineamenti. Erano belli, le piacevano. Non era un uomo brutto, e non doveva essere nemmeno cattivo. Cercò una spiegazione alla sua vita, alla sua solitudine, e ricordò un suo compagno di liceo, timido, sempre chiuso in se stesso, che non sapeva giocare a calcio e non ci sapeva fare con le donne. Quel ragazzo in breve divenne lo zimbello della scuola, il bersaglio preferito di chi si credeva un duro e dei bulletti. Così lui si isolò ancora di più. Si chiuse in casa, nessuno lo vedeva mai in giro, e iniziò a leggere, leggere e leggere. Si laureò in lettere classiche a pieni voti e divenne uno scrittore di saggi. Forse la storia di Mauro era simile. Si chinò lentamente su di lui, lo baciò sulla fronte e gli sistemò addosso una coperta. Poi andò nella sua stanza da letto e si addormentò.
Alle sei del mattino Mauro si svegliò. Aveva la testa pesante da sbronza. Sulle prime non capiva dove si trovasse, ma poi ricordò tutto. Sì, era in casa di quella donna.
Oh, Dio! Cosa ho fatto! pensò. Io, il professor Mauro Rossi, che entra in casa di un’estranea e le racconta di non aver mai fatto sesso! Chissà cos’altro le ho raccontato della mia vita e non me ne ricordo. Del resto ero parecchio ubriaco... Si alzò dal divano per cercare Adriana. L’appartamento era piccolo, ma sembrava che Mauro non riuscisse ad orientarsi. Quando trovò la sua camera e si accorse che dormiva provò un infinito senso di sollievo, e cercando di fare il meno rumore possibile, filò via.
Arrivato a casa, si barricò nel bagno e vomitò. La nausea lo stordiva, il mal di testa sembrava stesse per ammazzarlo. Decise che forse era saggio dormirci su. Forse si sarebbe svegliato meglio, senza nausea, senza quel mal di testa. Si infilò sotto le coperte. Ci volle un po’ perché si addormentasse, ma alla fine ci riuscì. Si svegliò che era quasi l’una. Stava meglio, il mal di testa era quasi svanito, la nausea pure. Aveva però qualcosa nello stomaco che non riusciva a definire con esattezza, era come una sensazione di vuoto. Si affacciò alla finestra. La giornata era luminosissima. Guardò di sotto…
C’era il mondo lì sotto, il mondo che non aveva mai colto, il mondo che gli era passato davanti lasciandolo inesorabilmente indietro, il mondo che non aveva mai conosciuto, che non aveva mai voluto conoscere, dal quale era sempre fuggito, che gli era sempre stato estraneo. Di sotto le strade erano impregnate del sudore di tutte quelle esperienze che non aveva mai fatto; c’erano uomini e donne che si affannavano, che lavoravano, che viaggiavano, che si concedevano svaghi, che piangevano e ridevano e soffrivano e provavano emozioni. Lui aveva di rado provato emozioni. L’ultima volta che aveva versato lacrime era stato per sua madre, il giorno in cui le diede l’ultimo addio in chiesa.
Mauro aveva fatto un salto nell’altro mondo, ne aveva assaporato un pezzetto. Era stato con una donna, aveva bevuto, aveva visto con che facilità si tradiva un marito, come l’umanità fosse avida di denaro. Ora però era tardi, troppo tardi. Il suo mondo erano i libri, tutto il resto non faceva per lui. Forse ne aveva paura. Tornò in salotto, si sedette alla scrivania e continuò la lettura di un vecchio manoscritto del milleduecento. In quel momento alcune lacrime sgorgarono dai suoi occhi.
Tratto dalla raccolta di racconti “Polvere di diamanti” edita da Statale11 editrice. Tutti i diritti riservati.