Il progresso sì... ma va troppo forte
Certo è che si viveva da bambini senza tanti stress come adesso.
Ultimamente, però, e penso che sarà l’età, mi accade spesso di mettermi a letto la sera e di non addormentarmi subito e mi capita di pensare ai fatti miei e della mia famiglia e ai miei morti.
Certe volte , anzi parecchie volte, vado indietro nel tempo a quando ero bambino, proprio ai primi anni della mia vita.
L’altra sera mi è venuto in mente, parlando di un caro amico venuto a mancare ancora giovane, di come si viveva semplicemente e genuinamente a Melito, ma, soprattutto, al Paese Vecchio, quartiere a me caro, essendovi nato e avendovi vissuto l'adolescenza.
Ai miei tempi di bambino, il Paese Vecchio penso fosse abitato da più o meno un migliaio di persone e le case (allora di meno) sembravano, messe tutte in fila, quasi tutte uguali. Ricordo che a mezzogiorno in giro non c’era nessuno perchè eravamo tutti a casa intorno alla tavola.
Nella mia famiglia eravamo in nove e ogni giorno sembrava di essere in un asilo, tanto eravamo piccoli dato la differenza d’età minima.
Dal mio prozio Costantino, lo zio di mio padre che aveva anche la stalla, d’inverno eravamo tutti dentro a sgranocchiare granturco, a giocare a carte, a riscaldarsi, perché allora faceva più freddo, oltre che con il braciere anche con il respiro del vitello e della capra che mio zio ogni anno pasceva per venderli alla fiera di Porto Salvo, allora la più grande del circondario melitese.
Mio padre mi raccontava che tanti anni prima si era ricchi se si avevano due buoi e un cavallo, un carretto ed un carro per il trasporto dell’uva e del fieno che si vedevano ancora allora.
Dalle parti di mio zio, i cortili erano quasi tutti uguali e noi bambini scorazzavamo in mezzo alle galline e talvolta anche ai conigli.
Ricordo, con grande nostalgia, quando mio zio e mio padre e le sue sorelle preparavano il vino con l’uva della vigna che mio zio aveva in società con sua cognata, la zia Cata, come la chiamavamo, colona di una famiglia di Reggio della quale adesso non mi sovviene il nome.
C’era allora tanta allegria ma anche un gran movimento e si lavorava duro; anche noi bambini, tantissimi tra io e i miei fratelli, i cugini del Belgio, di Gallarate e di Milano che scherzando e cantando, insieme ai grandi ballavamo sui grappoli, scalzi, nelle tinozze nel largo davanti alla casa colonica fino a notte inoltrata, mezzanotte, più o meno.
E poi a lavarci le gambe con l’acqua calda a toglierci le bucce che ci rimanevano attaccate alle dita dei piedi, facendo un enorme baccano, di quanto ci divertavamo.
La zia Cata, nel pezzo di terra che aveva in dotazione, seminava anche il grano, i fagioli, piselli, pomodori, patate: un po’ di tutto insomma.
E non parliamo degli alberi di frutti di tutti i tipi che aveva e che per noi ragazzi erano la manna del cielo, certe volte attaccati agli alberi come le scimmie.
La cosa che mi piaceva di più, a quei tempi, era che ci conoscevamo tutti, essendo in un rione e noi giovanissimi davamo del “voi” agli anziani con più rispetto di adesso, e se c’era una ricorrenza o un decesso di qualcuno, eravamo tutti presenti, “randi, riddhi e picciriddhi”, come si soleva dire allora con più frequenza.
Era veramente un’altra cosa (rispetto ad ora che purtroppo non è più di moda) il fatto che ci conoscevamo tutti, ci davamo una mano l’un l’altro; ci si voleva bene, insomma.
E che tranquillità, che pace e che cordialità, cose che un pò adesso vanno scomparendo ad una velocità impressionante.
Ora, com’è sotto gli occhi di tutti, ci sono tutte le comodità. Ci si è arricchiti: cellulari, televisioni con parabole grandissime, computers, auto di lusso, eleganti ville.
Anch’io quasi mi annovero tra questi, a parte l’elegante villetta ed un’auto sportiva invece che di lusso.
Ci sono più case, poche vigne, il vino c’è sempre, quattro banche, tantissimi negozi.
Dove c’erano le stalle, lassù al Paese Vecchio, ora ci sono case nuove ed anche dei garage, da come ho notato ultimamente ed in più è stato, diciamo "abbellito", come il resto della città.
Il benessere, se così vogliamo chiamarlo, rispetto ad allora, ha cambiato la fisionomia del paese e, soprattutto, della gente.
Ho abitato in seguito al centro di Melito ed avevo notato che non eravamo più vicini come allora, neanche adesso per la verità e ognuno si faceva (e si fa) gli affari suoi.
Stabilire s’è meglio adesso o allora? Mah! Non saprei.
Io sono per il progresso, non esagerato tecnologicamente parlando, come ho detto, però ogni tanto ripensare ai miei e a tanta gente che tanto ha tribolato e lavorato mi fa salire un groppo alla gola e mi stringe tanto forte il cuore.