Il rapace e la fanciulla 1
Erotico. Comico. Adulti. Descrizioni porno.
Premessa:
Un diabolico fantasma si aggira per il web! Una figura oscura e svolazzante... ma non è Paperinik.
La sua preda preferita (l’ho scoperto troppo tardi) sono le indifese scrittrici di racconti erotici e così, l’uccello che non perdona ha ghermito, purtroppo, anche me.
Con quell’eleganza che non gli si può negare, il figlio della notte mi ha trovata, mi ha riempita di parolacce e poi, non pago, mi ha anche dato un saggio della sua bravura, giusto per reiterare i maltrattamenti che mi aveva appena inflitti: una specie di firma del M A L E !
Il realtà mi aveva offesa a oltranza, è vero, ma spinto da una precisa motivazione: “scrivo una merda e mi dovrei solo vergognare di pubblicare le mie cazzate!” cit.
Alla fine, giusto per dimostrarmi come si tratta un romanzo, proprio per darmi una lezione di stile, di sagacia e di originalità LUI mi ha voluto donare un suo scritto. Giusto per mortificarmi ancora; per umiliarmi e per mostrarsi in tutto il suo splendore.
Dopo aver letto le sue righe, constatata la perfezione della sua prosa, avrei voluto bruciare ogni manoscritto pubblicato... non era che robaccia al confronto del “novello Pirandello dal fantasmagorico pisello” (almeno lui asserisce di avercelo così). Comunque, non potevo rifiutare l’onore che lui mi aveva ha concesso! La sfida era stata lanciata.
Mi ha scritto:
‐ Ecco come si scrive, stronzetta! Prova a misurarti con la mia prosa celestiale e la sapienza sottile del mio costrutto!
Avrei voluto baciargli le mani ma mi tremavano le labbra!
Lui, l’essere notturno, l’uccello che eccelle, mi donava un’opportunità, una speranza... Lui si era accorto di me e mi dava l’ultima chance e io sapevo che non potevo perderla perché: il Falqui, non perdona.
Ops! Chiedo venia... volevo dire il Falco, non perdona!
Allegato:
Per vostra illuminazione e conoscenza allego documento storico: Il manoscritto del Maestro.
Capitolo (e anche unico, perché sprecare tanto talento?)
“Te sei a una festa con il tuo ragazzo. Ci sono tutti i tuoi compagni di scuola. la festicciola e' per festeggiare il tuo ragazzo che compie gli anni. Gli hai preparato una festa con i fiocchi. Ti stai divertento. Sei innamoratissima di lui e non potresti mai tradirlo. Lo ami alla follia. Peccato che durante un ballo con il tuo ragazzo noti Me (un estraneo di 33 anni che alcuni dicono che il mio nome sia "IL FALCO") in piedi, in un angolo, che ti sta fissando con insistezza. Sei imbarazzata, ma ti accorgi che sei anche molto eccitata. Ad un tratto mi vedi andare in bagno e finito il ballo dici al tuo ragazzo che devi andare in bagno. Una volta li non mi trovi e cominci a disperarti (gia' ti manco). Ad un tratto sbuco io e ti prendo da dietro ti sollevo la gonnellina, ti strappo le mutande e ti sfilo le ballerine che annuso come un cocainomane sussurrantoti "Ti puzzano i piedi lercia puttanella". Mi inginocchiai e ti lecco le piante dei piedi mentre tu mi dici che ti scappa la pipi' da quanto sei eccitata. Io ti dico di pisciarti addosso e cosi' la fai nelle mutandine* (allora si forma una pozza di pipi' sulle mattonelle del cesso...pensa a chi verra' dopo...che vedra' la tua pisciatina da adolescente stordita) Io ti infilo due dita in quel culetto stretto finche' non me le ciuccio assaporando l'afrore della tua cacca. Poi te le infilo in bocca e tu ciucci avidamente e ti prendo da dietro... cacci un urlo (ti avranno sentita...la santarellina puttanella) e ti scopo come un treno fino a sborrarti nel culetto. Alla fine ti lascio scalza, smuatandata e sudata (mi sono fregato anche le ballerine e le mutandine) fino a quando non esci che dici al tuo ragazzo che non trovi piu' le tue scarpe (e quando lui ti chiede perché quell'alito di "merda" tu per giustificarti gli dirai che ti sei sentita male e hai vomitato).
FINE (... e si: idee poche ma ben confuse)
-
‐ Probabilmente la signorina ne aveva due paia...?
LA CENERENTOLA E L'UCCELLO RAPACE
“Il Falco, pur orrido nelle tenebre, con l’avvento della luce si trastulla il passero, solitario!”
Anonima
Capitolo primo
Quelle scarpette, oh!
Quelle scarpette erano il regalo più bello che avessi mai ricevuto da sempre.
Arrivarono come per magia: non avrei mai creduto possibile possederle. Persino su Zalando, costavano na’ cifra! E invece, Papy (il mio primo e unico amore, anche se spesso non si rende conto assolutamente delle esigenze vitali di una “raga”) aveva dato un calcio alla tirchieria e aveva investito un sacco di soldi in una causa… diciamo pure “planetaria”!
Ora, esse erano tra le mie mani, con il loro colore, talmente evanescente che non aveva un nome… forse potrei definirle: color sogno!?
I piccoli strass segnavano una virgola iridescente, stellare, sui punti essenziali. Un’ombra di tacco, nascosta dalla stoffa, nella soletta segreta, di seta pura, rappresentava la loro alchimia: pur essendo “ballerine” non ti appiattivano i piedi per terra, facendoti procedere a “Nonna Papera”. Grazie alla loro metafisica fattura davano al piede un costante, preciso anelito verso l’alto, verso il cielo: come fossero una preghiera.
Allora, la tua gamba si slanciava, permettendo alla minigonna quel lievissimo, impercettibile, sollevamento sul di dietro. Da qui, da questo tocco di classe indicibile, nasceva una differenza impercettibile: solo quei pochi millimetri che la sollevavano di più dal lato del culo.
Quei pochi millimetri che facevano la differenza!
Da quei pochi millimetri nasceva tutto “l’arrapamento” di decine di “raga” che non avrebbero potuto più staccare gli occhi dal mio sedere, dalla mia minigonna nera... raffinatissima.
Quei pochi millimetri, infatti, permettevano a chi avesse guardato dalla giusta angolazione, il “vedo non vedo” sulle parigine, spesse e nere, che finivano in quello spazio misterioso sotto la gonna ma non abbastanza misterioso da nascondere, all’osservatore allupato e fantasioso, uno spicchio, più o meno sostanzioso, delle mie cosce chiare come il latte, che filtravano come romantiche mezze lune nella notte oscura e misteriosa, sotto la gonna.
“Tutto, per la mia Principessa!” aveva detto babbo.
“Si, si… le scarpette di Cenerentola! Ridicolo!” aveva aggiunto, schiumante, la mia sorella più grande: ma che lei è invidiosa e mi odia lo sanno tutti!
‐ Scappiamo, è tardissimo! – dissi scendendo le scale; mio padre era pronto, in cucina, e non osò lamentarsi anche se mi aspettava da un’ora.
La sua pazienza era frutto dell’addestramento che, negli anni, gli aveva inferto mia mamma.
Capitolo secondo
La festa era meravigliosa.
La family di Gianfilippo (il mio Fidanzato) era quello che era, in città.
Ricchi stratosferici, grazie alle firme che portavano addosso sembravano più dei cartelloni pubblicitari che dei normali esseri umani. Il papà di Gianfilippo, aveva comprato l’Hammer da pochi giorni; ora era parcheggiato, lucente come una stella, al posto d’onore, fuori da Villa Pomposa, la location al top.
Un giorno, forse, i miei piedini avrebbero scalato il predellino di quella specie di carro armato con l’interno “animalier”. Dipendeva solo da me e io dipendevo solo dalle mie scarpette da favola.
Era la festa per i diciotto del mio raga. Doveva essere unica, indimenticabile!
Gianfilippo aveva apprezzato moltissimo le mie scarpette e forse anche l’effetto mini‐calze‐carne nuda, poiché appena poteva mi toccava il culo; si era accanito specialmente da quando si era accorto che, sotto, indossavo solo un perizoma. Per fortuna la festa era troppo divertente e gli amici lo tenevano occupato con una serie di scherzi troppo fighi; era troppo protagonista in quella magica serata, per cercare di incularmi alla prima occasione.
Per Gianfilippo era diventata un’ossessione. Quando scoprì che non ero più vergine non si lamentò più di tanto. E’ un ragazzo emancipato e, pur di scopare, gli va bene tutto. Ha creduto ciecamente che fosse lui, il primo, a cui lo prendevo in bocca. Ha creduto anche alla storia che non ero mai “venuta” veramente, con un ragazzo e ha bevuto pure il mio stupore, quando gli ho confessato che il suo cazzo era il più grande, il più duro che avessi mai provato.
Nonostante tutti questi "primati", non demordeva: continuava a cercare di farmi il culo. Anche i suoi amici, aspettavano la sua testimonianza a riguardo come la presentazione di un trofeo collettivo… ma nessuno ne parlava davanti a me, per fortuna.
Lory, la mia amica del cuore, mi aveva raccontato che il suo raga, aveva detto che il mio raga, aveva detto che, appena riusciva a farmi il culo, avrebbe filmato l’evento e postato il tutto su Ticche Tocche, così, giusto per condividere. Aveva anche detto che il problema nasceva da me: lo ispiravo perché ero troppo abbondante, troppo bona, diciamo.
Le altre ragazze, a scuola erano o filiformi o ciccione. Invece io, nonostante la giovane età, avevo un corpo da donna. Tutto prorompevava dal mio fisico: i seni quarta misura, tondi e sodi come due meloni e anche il culo, non scherzava. Lo avevo molto alto, “a brasiliana” come lo definiva la mia maestra di lingue, che spesso, con la scusa di controllarlo tecnicamente, me lo palpava (sì, anche lei, purtroppo).
Capitolo terzo
Avevamo una grande sala tutta per noi ragazzi. Credo che in quella Villa enorme, si stessero tenendo, contemporaneamente, altri ricevimenti. Dopotutto era la location più in della città. Stupenda, un tripudio di luci, fari e colori. C’erano persino i Bodyguard in smoking, che scortavano il festeggiato, dalla macchina al locale: che figata.
‐ Questo è il nostro, Baby. – Mi sussurrò Gianfilippo, tirandomi per il braccio per invitarmi a ballare.
Lo amavo una cifra! Fu un ballo spettacolare, era la nostra canzone eterna, per quel mese. Gianfi doveva essersi messo d’accordo col DJ, perché le luci si abbassarono e, romanticamente, un grosso riflettore illuminava solo noi, al centro della sala.
Gli altri ragazzi facevano cerchio intorno e, nei momenti clou, sottolineavano il nostro amore con i loro “Wow”; “Spettacolo”; “Ah, fanatici!!!” eccetera.
Qualche imbecille lo trovi sempre in una classe. Quelli che non si sentivano parlare, invece, pomiciavano approfittando del momento di buio. Eh, da “piccola” c’ero passata anch’io.
Le mie scarpette Zanocchi da 380 euro, sotto il riflettore, stavano ricevendo il giusto tributo. Avevo le lacrime agli occhi.
Pensai filosoficamente che era meglio morire in un momento così bello, tanto non sarei mai potuta essere più felice nella vita: tutto era perfetto. Persino l’erezione di Gianfilippo, che mi premeva sotto il pancino. Mi baciò davanti a tutti e io pensai che era fatta… al più presto mi avrebbero permesso di salire sull’Hammer di famiglia: ora ero, praticamente, una di “Loro”.
Un giro di ballo; un altro ancora...
Due occhi penetranti brillano, nella penombra.
Ancora un altro giro.
Quell’uomo.
Quell’uomo mi fissa!
Ha uno sguardo magnetico, mi entra dentro l’anima e la rimesta tutta: mai provato niente di simile! Con espressione dolce ma strafottente, come se si chiedesse che ci facevamo tra tutta quella gente, mi sorrideva in modo tanto lieve da lasciarmi perplessa. Una domanda si formulò nella mente senza che io potessi farci niente:
‐ Che cosa vuole lui da me? –
Continuammo a girare, seguendo la musica e io, frastornata, cercai rifugio tra le braccia forti del mio ragazzo, abbandonandomi a lui.
Ma non bastò.
Anche con gli occhi chiusi, rivedevo lo sguardo di quell’uomo. Uno sguardo ferino, che non ammetteva equivoci, inutile prendersi in giro: quello sguardo era inequivocabile come una dichiarazione di guerra.
La belva aveva posato gli occhi sulla sua preda… inutile chiedersi
“Cosa vuole da me?”. Quell’uomo voleva tutto, quell’uomo voleva me!
E io provavo i brividi a sentirmi tanto impotente davanti al suo evidente strapotere. Cercai la forza nell’amore infinito, che da oltre tre mesi, mi legava a Gianfilippo ma mi sentivo ancora molto debole, ero in pericolo.
Quando le luci si riaccesero cercai di riprendermi. Presi una coca dal buffet, poi rintracciai Marianna, la ragazza più pettegola della scuola, lei di certo avrebbe potuto illuminarmi. Intanto quell’uomo, andava e veniva dalla sala attigua, partecipava ad un'altra festa, forse. Era adulto: di certo aveva più di trent’anni, anche se i suoi occhi erano freddi, profondi come il tempo...
Marianna, che amava bere alcoolici, era poco lucida in quel casino. Prima non capì un cazzo, poi, quando l’uomo tornò nella nostra sala, glielo indicai e lei ebbe un sussulto:
‐ Quello, lo conosco di vista, non so come si chiama, però si chiama “il Falco”.
‐ Il Falco? – chiesi io, innocente.
‐ Si… gira per feste e locali, approfitta del buffet a sbafo e pare si scopi le ragazze più belle, così, all’improvviso… ha un potere forse, chissà? – poi qualcuno la chiamò e lei sparì nella ressa, stringendo tra le mani due flute di spumante.
Passarono alcuni minuti; mi davo un tono, chiacchieravo con qualche amica, sorseggiavo dal mio bicchiere… insomma cercavo di non pensare al Falco, anche perché sembrava sparito nel nulla.
Meglio.
No, peggio: non riuscivo a togliermelo dalla testa.
Era un uomo basso, abbronzato, il suo viso sembrava intagliato nel legno antico. Le sopracciglia spesse, scure, nascondevano la forma degli occhi, di cui si vedevano perfettamente le pupille, nere come la pece, infuocate, come sprizzassero dei piccoli barlumi rossi… ma sperai che fosse solo un riflesso delle luci.
Ad aggiungere ulteriore mistero al suo sguardo già sconcertante, contribuiva l’evidente strabismo, che rendeva impenetrabile ogni suo pensiero. Confondeva, insomma...
Nell’insieme era un po’ ridicolo ma, si sa, il cuore di una donna si conquista col sorriso.
Capitolo quarto
Il Falco, sotto la camicia bianca, aveva un fisico che non passa inosservato. Grosso, il petto un po’ villoso, con una pancetta da ragioniere stupenda, lasciva: una pancia da capobranco. Le gambe erano robuste e corte, davano un’impressione di solidità, di sicurezza, esprimevano saggezza e libidine, entrambe, contemporaneamente.
Come sfuggire alla morsa d’acciaio di un maschiò così?
Un attimo dopo me lo trovai di fronte. Saldo e sicuro mi era comparso praticamente davanti.
Non disse una sola parola. Cercò di fissarmi in maniera ancora più implacabile, per alcuni lunghi istanti senza che riuscissi a distogliere lo sguardo; soprattutto perché cercavo di capire se fissava me o una lampada Swarovsky, sulla mia destra.
Un lieve impercettibile movimento della testa. Il Falco voleva che lo seguissi ma io, con tutte le mie forze residue, dissi dentro di me: "No!"
E fu il “No” più deciso e potente della mia vita!
Il Falco mi voltò le spalle e, incurante del mio diniego, si allontanò senza voltarsi con una sicurezza tale che mi dava i brividi.
Inciampò solo due volte nei pantaloni troppo lunghi e senza piega, ma la secondo fu la più rovinosa.
Ma si rialzava, sempre con un certo stile: si infilò nel vano delle scale che portavano ai bagni. Lo sentii rotolare una terza volta, mi parve di captare una bestemmia biascicata tra i denti... poi nulla più.
La musica riprese, incalzante e ritmata, al top.
Avevano messo “My name is Stain”: mitico!
Troppe emozioni, troppa Coca, troppo… Falco!
Lo stomaco brontolò ed io... non ebbi dubbi: dovevo correre al bagno! Nonostante avessi detto di no al mio persecutore occulto... quel WC mi attirava come una calamita, soprattutto adesso che stavo per farmela sotto.
Insomma era il fascino magnetico di quell’uomo ad attrarmi ma anche il bisogno di liberarmi rapidamente. Si sa, noi ragazze abbiamo il metabolismo veloce, e poi nell’eccitazione dei preparativi per la festa, non avevo avuto il tempo per evacuare a casa mia. Avevo bisogno di un momento intimo, solamente mio, per riprendere in mano le fila della mia vita e anche per fare i bisognini.
Il bagno porta consiglio!
Feci un cenno al Gianfi: strinsi i pugni agitandomeli davanti al petto e strinsi anche le labbra, rendendole sottili. Lui dovette capire al volo e mi rispose con un: “OK!”
Non gli sarei mancata, al porco, stava facendo lo stronzo con Clarissa, la più troia del quinto anno. Me l’avrebbe pagata, ma dopo! Ora un’attrazione fatale mi reclamava altrove…
Scesi le scale con attenzione e, finalmente, raggiunsi il bagno delle donne.
La musica arrivava ovattata. Trovai un posticino tranquillo nell’ultimo gabinetto e mi sedetti su un water, abbassando il tanga appena in tempo. Ci volle poco… dopo sono stata subito meglio.
La mia mente tornò al Falco. “Chissà dove sarà adesso, quel mattacchione!” pensai mentre cercavo la carta igienica che, naturalmente, era finita. Mi sentivo disperata, avevo lasciato anche la pochette al guardaroba. Poi, lentamente, la porta del cesso si aprì!
Come mi avesse letto nella mente, me lo trovai di fronte in tutto il suo tenebroso splendore.
Mi fissò (o almeno credo che intendesse fissarmi) ormai ci avevo fatto l’abitudine a quel suo sguardo strano: “vedo non vedo”.
‐ Sei disperata, vero? – disse il Falco con una vocetta querula che aggiungeva drammaticità a quei già difficili momenti. Volevo gridare di no, anzi volevo pregarlo di procurarmi della carta igienica o, almeno, dei fazzolettini ma lui fu implacabile.
Forse era anche un po’ arrapato, perché in realtà io dovevo essere uno spettacolo eccitante: avevo la mini tirata sopra e avvolta su se stessa, che mi lasciava completamente nuda dalla cintola in giù. Le mutandine, ovviamente erano sotto le ginocchia. Insomma lui vedeva perfettamente la fica, che avevo depilata completamente per una promessa fatta a Gianfilippo e il mio culo, grande e candido.
Poco più in basso la pelle nuda delle cosce veniva schermata dalle mie francesine nere, bellissime e semplici, arricchite da un solo fiocchetto di nastro bianco, di dietro.
‐ Piscia per terra! – disse il Falco, lasciandomi perplessa – Sai che ridere quando entreranno gli altri?
Non trovavo così divertente lasciare la pipì per terra ma forse erano cose che non potevo capire.
‐ L’ho appena fatta, la pipì... – dissi, cercando una giustificazione.
Era contrariato ma incalzò:
‐ Allora fai la cacca! – disse perentorio
‐ Nemmeno, ho appena fatto pure quella… ‐
Mi interruppe, infuriato. Ero sempre più a disagio ma quello non mi faceva esprimere: era troppo uno volitivo.
‐ Ma che cazz’ !? – Imprecò il Falco – Allora ti strappo le mutande!
Quella frase era troppo cruda per tentare di resistere ancora. A parte l’irrefrenabile eccitazione mi ricordai che il mio perizoma costava una cifra e mi affrettai a togliermelo, consegnandoglielo anche piegato alla meno peggio.
‐ Ma cosa gli faccio alle donne? – borbottava il Falco fra se e se, mentre i suoi occhi roteavano liberamente nelle orbite; non lo volli contraddire, avevo fretta, ero sporca, impacciata. Il Falco non demordeva.
‐ Ora ti strappo le scarpe. – poi, dopo un momento di perplessità aggiunse (per fortuna) ‐ No, te le tolgo, senza strapparle.
Il terrore mi aveva percorso la schiena ma mi ripresi: le scarpette erano salve! Gliele consegnai con delicatezza e lui si mise a odorarle come un setter irlandese.
‐ Ah, ahhh … ‐ e sniffava nelle scarpe poi, non contento, si esibì in un numero che mi fece capire quanto ancora avessi da imparare riguardo ai misteri dell’eros estremo. Strofinò il mio slippino usato nelle scarpe, prima nell’una e poi nell’altra… e riprese a sniffarci dentro, tirando su col naso fino a sbandare lievemente. Credo cominciasse a girargli la testa.
Per un attimo ho temuto che inciampasse ancora una volta ma lui si ristabilì.
‐ Ti puzzano i piedi, piccola!
Arrossii. “Cazzo” pensai “ ho scordato di metterci il Timodore.”
Sorrise col sorriso di chi la sa lunga:
‐ E ti puzzano anche le mutandine... di piedi! – questa invece non me l’aspettavo, stavo per chiedere se l’avesse notato prima o dopo aver passato il mio perizoma nelle scarpe.
‐ Dai adesso, non farmi incazzare, fa una pisciatina da adolescente stordita.
“Come sei strano, Falco!” pensai in cuor mio: non riuscivo a immaginare a che tipo di pisciata facesse riferimento. Mi premetti un po’ la vescica per lui e aprendo bene le gambe riuscii comunque a lasciar andare, qualche piccolo scroscio di orina sul pavimento.
‐ E’ poca! – disse lui – Comunque non perdiamo altro tempo, stasera ne devo punire ancora un paio! Ho fretta. – Quell’uomo era oppressivo.
‐ Non ne ho più ti dico... non è che ti trovi un fazzoletto di carta, per caso?
‐ Taci, puttanella! – mi zittì il Falco – Fammi controllare.
Mi prese per i capelli, mi fece voltare verso lo sciacquone e poi giù, giù, fino a farmi mettere ad angolo retto. Avevo il viso proprio sulla tazza; per fortuna avevo tirato l’acqua.
Pregai con tutte le mie forze che quella storia strana terminasse. In qui momenti eccitanti e pregni di lussuria pensavo al bidet di casa mia... avrei voluto abbracciarmelo.
Il Falco intanto, si era inginocchiato dietro il mio sedere e mi studiava, mi scrutava, poi iniziò a esplorarmi la figa gocciolante con la lingua, mentre di sopra, con le dita affondò nel culo, senza troppi complimenti.
Non ero pulita e arrossii come un peperone, per non essere fraintesa ancora una volta, preferii sopportare aspettando gli eventi.
‐ Oh cazzo – esclamò il Falco – ma anche qui c’è puzza!
Me l’aspettavo, porca miseria, ma ci rimasi male lo stesso:
‐ Te lo sto ripetendo da...
‐ Zitta, bambina; ci può stare... non crederai che il Falco si lasci intimidire dalla tua scarsa igiene personale? – sorrise – Conosco il trucchetto, ragazza! Chi te lo ha suggerito, mammina?
Non lo capii e preferii non sforzarmi di capire. Preferii addirittura ignorarlo, quando incurante di ogni ostacolo, il Falco iniziò a leccare a tutta birra anche l’ano. Feci una smorfia di disgusto ma non mi opposi... dopotutto, pochi istanti prima, non avevo forse sognato di fare un bidet?
Forse era solo la mano santa della provvidenza o per meglio dire... la lingua, Bleah!!!
Dopo aver gozzovigliato nelle mie interiora il Falco disse:
‐ Sei buona. Adesso alza il piede!
‐ Quale? ‐ gli chiesi, remissiva.
‐ Non fare la furba con me, uno qualunque, basta che puzza!
Non potevo sapere quale puzzava dei miei piedi, sperando fosse una caratteristica comune alle due estremità, alzai il sinistro e, per mantenere l’equilibrio, poggiai le mani sulla tazza di ceramica.
Mentre gli porgevo il mio piedino da principessa cercai di avvertirlo:
‐ Ma, ho le calze...
‐ Meglio, puzza di più, non ci pensare e sta zitta, bambola.
Il maschione, già col muso imbrattato dai lavorii precedenti, si lasciò andare, enfatico sotto i miei piedi. Odorava e leccava le calze sporchissime; ero senza scarpe, in un cesso pubblico, da oltre oltre dieci minuti... due volte Bleah!!!
Ma poco dopo l’idillio terminò: il Falco reclamava la colomba e io, ero pronta a cedere: soprattutto perché ero fermamente concentrata verso il recupero delle scarpe.
Quando si alzò in piedi, appagato, ne approfittati per rialzarmi e guardarlo in faccia.
Non era uno spettacolo edificante, comunque... promisi a me stessa che, se avesse provato a baciarmi in bocca, dopo tutte le schifezze che aveva combinato, lo avrei steso subito con un calcio nelle palle.
Ma non lo fece: lento, studiato, inesorabile, la sua mano iniziò a fare quel gesto che noi ragazze temiamo e amiamo, contemporaneamente: slacciò la cintura e si abbassò i pantaloni, fino alle ginocchia.
Che spettacolo.
Il Falco non terminava mai di stupirmi: aveva delle mutande mai viste se non nel cartoon di Spoonge Bob.
Slipponi bianchi, anni trenta, Fantozziani, con la cucitura al centro e uno spacco laterale a V capovolta: forse serviva a passarci il pisello, come una cannola.
Il Falco allora, per rompere il ghiaccio, si stava avvicinando per baciarmi ma io gli gridai:
‐ Fermati, Falco... ho l’herpes sulla lingua!
Arretrò inorridito.
‐ Hai l’herpes anche al culo? – chiese con un certo stile e io, irresponsabilmente dissi di no ma poi me ne dovetti pentire.
Il Falco, allupato come una iena, prendendosi un po’ di tempo fece passare il suo uccello attraverso lo sfiatatoio del mutandone.
‐ Non hai le palle? – dissi scioccamente, lui la prese come un’offesa e riprese ad armeggiare: soffriva ma non demordeva. Alla fine riuscì a far passare anche i due coglioni attraverso la stretta asola.
In fondo tutto l’apparato genitale, onestamente, era ben poco “ingombrante”.
‐ Ora te lo metto in culo! – disse a effetto quel maschio imprevedibile.
Valutai il suo cazzo; mi resi conto che, adesso che era barzotto, aveva uno spessore simile a quello di certi wurstel di pollo che avevo provato a infilarmi nel sedere da piccola, giusto per vedere che cosa si provava.
Insomma, decisi tra me e me: non temevo il Falco né la penetrazione del suo uccelletto, l’importante era sbrigarsi e recuperare le scarpette. Quindi mi voltai senza fare storie.
Il Falco era impreparato a tanta sottomissione... (continua)