Il Respiro della Libertà
Il coraggio, la forza: a Carlo non mancavano.
Lo sapevano bene i suoi compagni di gioventù, perché lui alle sfide mai si sottraeva.
Come quella che si svolgeva là, dove i frastuoni della fabbrica si spegnevano per lasciare il posto al silenzio della campagna e subito dopo agli umori della palude: terra pregna d’acqua marcia ma anche di vita, che si faceva sentire prima che vedere.
La prova, rigorosamente riservata ai maschi, era molto impegnativa, senz’altro la più difficile da sostenere: parteciparvi era già un risultato.
Bisognava, superando paura e schifo, trovare una biscia e, prima che strisciasse via, afferrarla per la coda e tenerla il più a lungo possibile sollevata da terra.
Imbattibile Carlo: era sempre quello che resisteva di più.
Questo il racconto di Vincenzo a cui avevo chiesto di parlarmi di lui.
So che si conoscevano e che a un certo punto tutti e due entrarono nella Resistenza.
Fu lì che le loro strade si divisero: Vincenzo aderì alle formazioni della zona, mentre Carlo si unì a quelle dell’Alto Vergante, dove prese “Nuvola” come nome di battaglia.
Carlo fu tra i primi a salire in montagna; fu lui a insegnare a tanti ragazzi il coraggio di masticare la guerra.
Tra i tanti Guido: un giovane milanese aspirante partigiano, arrivato in montagna con il cappottino, le scarpette della festa e una pistola che ancora non sapeva usare.
Un giorno il ragazzo gli chiese perché aveva scelto quello strano nome di battaglia.
Lui molto semplicemente spiegò che guardando il cielo aveva visto una bella nuvola e quindi …
Ma a me piace pensare che dietro quel nome ci fosse dell’altro.
Una nuvola può apparire o scomparire, mostrarsi con orgoglio o discretamente nascondersi, presentarsi da sola o in compagnia, stare tranquilla in un cielo o scatenare l’inferno in terra: non per distruggerla ma per continuare a farla respirare.
Come loro che erano lì in montagna e che si battevano non per il gusto di combattere e fare del male, ma per ridare vita, speranza a una nazione asfissiata dalla dittatura e offesa dalla guerra.
Come le nuvole, anche loro a volte fuggivano e si nascondevano; altre volte erano loro a inseguire e a ferire.
Prima di entrare nella Resistenza, Nuvola faceva l’operaio; quando salì in montagna decise che l’azzurra tuta da lavoro sarebbe diventata la sua divisa, con l’aggiunta di un fazzoletto rosso al collo e di un fucile sulle spalle.
Anche quel giorno di fine marzo del ’45 portava quella strana divisa.
Alle brigate partigiane della zona era giunto l’ordine di scendere al piano e di ritrovarsi nelle vicinanze del paese di Invorio, dove c’erano alcune cascine in cui avrebbero potuto fermarsi.
La decisione di lasciare le postazioni sicure in montagna, a molti sembrò assurda, oltre che pericolosa; nessuno però mise in discussione l’ordine ricevuto, anche perché la guerra sembrava ormai all’epilogo e la vittoria sicura.
Fu un grave errore abbandonare la prudenza che sempre aveva accompagnato le loro azioni, e in guerra gli errori si pagano.
I fascisti arrivarono in massa alle prime luci di un’alba fredda e piovosa; quando i Partigiani udirono le prime raffiche di mitra l’accerchiamento era ormai completato ed era troppo tardi per cercare di opporre resistenza.
Ci furono comunque alcuni coraggiosi tentativi di reazione, che però ben presto mostrarono tutta la loro fragilità: dall’altra parte c’era un nemico bene armato e con il vantaggio dell’agguato.
Non restava altro da fare che cercare di uscire dalle cascine e attraversando il prato raggiungere il bosco, sfidando quel cerchio di fuoco.
Facile a dirsi, meno a farsi, perché anche per fuggire a volte ci vuole coraggio, soprattutto quando a inseguirti sono delle pallottole.
Il primo a uscire fu Mario, nome di battaglia Vento, le raffiche di mitra lo falciarono quasi subito; poi fu il turno di Nuvola che scattò in piedi e si lanciò in una folle e zigzagante corsa, alcune pallottole lo raggiunsero, lui però riuscì ad arrivare ai bordi del bosco.
Era ferito ma vivo, solo alcuni passi lo separavano dalla salvezza.
Poi quella tuta: troppo larga… quella maledetta tuta s’impigliò in un rotolo di filo spinato e lui perse tempo cercando di liberarsi dal groviglio di ferro e stoffa che lo bloccava.
Il coraggio, tutto il coraggio di cui era capace non bastava più e le forze gli mancavano.
I fascisti lo raggiunsero: e furono pugnalate e poi dolore, sangue e alla fine il nulla...
Certe volte, perso in uno sguardo al cielo, mi capita di pensare a Nuvola, al bel nome di battaglia che si era dato, a quella strana divisa e al suo ribelle percorso di vita.
Ne tratteggio l’immagine e sebbene non l’abbia mai conosciuto, mi ritrovo a pensare a lui con la stessa intensità emotiva che mi coglie quando ritorno a quei buoni compagni di viaggio che, prima di andarsene, hanno dato respiro alla mia vita, impregnandola di passioni, amicizia, amore.
Ma Nuvola è ancora qui, insieme a Ugo, a Nicola e a tanti altri.
Si ribella la mia mente a questo mondo di maestri della dimenticanza: sempre pronti a levare l’ancora alla barca dei ricordi per mandare alla deriva la memoria; si ribella e torna a pensare a Nuvola e agli altri, come a dei preziosi amici.
Lontananze che si annullano, anime che tornano corpi, assenze che si fanno presenze.
Sono ancora qui: sento il loro soffio vitale… respiro libertà.