Il Rosso e Il Nero

Diana e Lea avevano atteso quella serata per tutta la settimana, preparandola e preparandosi con cura e dettaglio.
Le loro ampie scollature consentivano di intravedere più che generosamente ciò che le loro camicie contenevano a malapena, non tanto per l'esuberanza delle loro forme quanto per il loro desiderio, facilmente percepibile tra le risate fatue, di non passare inosservate.
Il locale prometteva bene, quella sera. Più particolare del gotico "Transeunt", più affollato del latino "Fiesta", “Il Nero e Rosso" era noto nel giro come un locale sottilmente trasgressivo.
Ma a giudicare dall'allegria generale e dal tipo di musica diffusa dagli altoparlanti, nonostante l’elegante arredamento a tema, avrebbe potuto essere facilmente preso per un altro pub alla irlandese per famiglie con bambini, cosa che, all'inizio, aveva deluso le due donne, in vena di un intrattenimento un po' più risqué del solito.
Inclinando sfacciatamente i balconcini sbottonati, chiesero al mescitore al bancone due bevande e un’informazione: in cosa consisteva la fama del luogo e se e quando avrebbero potuto sperimentarla.
Il mescitore, che, come il resto dello staff, indossava un gilet color vinaccia su camicia nera con attaccato un distintivo con la curiosa parola "Denti" scritta su, le guardò rapidamente dalla testa ai piedi, come chi è a lungo abituato a quegli atteggiamenti provocatorii, e, come pensando a voce alta, stirando le labbra in un mezzo sorriso da tagliola, tenendo lo sguardo basso, “più tardi”, rispose, “se avrete pazienza”.
Se per caso quello era un tentativo di scoraggiarle, quella frase fece alle due donne l'effetto opposto e, prese dalla loro allegra curiosità, decisero, brindando abbondantemente, che sarebbero rimaste fino a tarda serata al costo di arrivarci completamente ubriache.
Il mescitore al bancone, dietro di loro, continuava intanto a servire altri clienti, sorridendo sempre come una tagliola, con gli occhi socchiusi e facendo i suoi lavaggi, spingendo e tirando i vassoi di bicchieri e tazzine dentro e fuori dalla lavastoviglie.
Poco prima della mezzanotte, la porta girevole dell'ingresso girò e lasciò entrare una coppia davanti alla quale sia i camerieri in sala, coi loro vassoi carichi di cibi e bevande, che i clienti che la attraversavano, rallentarono il loro passo per lasciarli passare.
Diana e Lea hanno notarono quello strano comportamento e videro i due scomparire rapidamente oltre una pesante tenda di velluto rosso.
Così si volsero di nuovo, sorridenti e pettorute, al mescitore, posizionando i loro bicchieri sbavati di rossetto sul bancone
"Ehi carino, chi sono quei due e dove stanno andando?"
"Siete sicure di volerlo sapere, signore?", rispose “Denti”, ma l'espressione sui volti delle due donne non lasciava dubbi.
"È il proprietario del locale e da quella parte, c'è quello che chiamiamo Privé, un'area del locale in cui è possibile ritirarsi dalla folla della sala principale e consumare ciò che si preferisce".
Le due donne non avrebbero saputo come resistere all'idea di affascinare i loro colleghi raccontando loro della zona più riservata di un locale già noto per la sua fama ambigua. Eppure, guardandole, “Denti” poteva facilmente indovinare una ragione diversa.
"Come possiamo accedere al Privé?", Diana, apparentemente la più estroversa delle due, chiese.
"Dipende dal prezzo che siete disposte a pagare, mie adorabili signore", fu l’ironica risposta di “Denti”.
"Ma l’ingresso non era gratuito?", Lea, più introversa, chiese, allora.
"Nessuno ha mai parlato di soldi qui, signora, ma per ogni piccolo mistero che si vuole scoprire c'è sempre un prezzo da pagare", rispose “Denti”, laconico ed incompleto.
"Ti sembra che ci stiamo tirando indietro?", disse allora Diana, ironicamente minacciosa
"No, non direi", concluse “Denti”, sempre sorridendo come una trappola, poi chiamò "Bastone!"
Lo strano nomignolo volò sopra le teste dei clienti seduti e quelle del personale per raggiungere un altro cameriere che indossava la stessa uniforme ma che aveva l’aria di un sommelier. Un tipo alquanto magro e decisamente alto.
Era quello il motivo del suo nomignolo, si chiesero le due donne, o un altro tipo di bastone, aggiunse Lea, scoppiando entrambe in una risata che non passò inosservata agli altri clienti nelle vicinanze.
Il tipo chiamato Bastone si voltò a guardare Denti che semplicemente aggiunse mimando e scandendo il labiale: "Conduci queste due donne al privé". Bastone guardò le donne, poi di nuovo Denti, inclinando leggermente la testa come se non fosse sicuro di capire. Denti semplicemente annuì lentamente e il messaggio fu chiaramente ricevuto questa volta.
Indicandosi alle donne, Bastone si mosse verso la tenda di velluto rosso invitandole gentilmente a seguirlo.
Diana e Lea emisero gridolini di eccitazione tenendosi le mani a vicenda, intrecciando le dita come avessero appena vinto un premio e poi lo seguirono.
Passando davanti ai lunghi specchi vicino all’entrata per la zona dei servizi igienici controllarono al volo il trucco, le acconciature, gli abiti, i tacchi.
I capelli ondulati e scuri di Diana si abbinavano bene con il biondo lungo e liscio di Lea, così come la pelle color ebano di Diana era perfettamente abbinata all'avorio di Lea. Poi in modo cameratesco, si strinsero attorno ai fianchi scambiandosi un bacio sulle guance che quasi divenne altro, accompagnando tutto con risate acute e più che allegre.
Oltre il tendaggio, l'oscurità.
I loro passi risuonavano sul pavimento, quasi secchi, lontano dal generale vociare della sala grande, ora smorzato.
Una porta si aprì leggermente sul fondo del breve corridoio, lasciando filtrare una luce. Un tipo in abito scuro che sembrava più un addetto alla sicurezza che un cameriere comparve sulla soglia e chiese a Bastone chi fossero le due donne e perché fossero lì.
"Ospiti, Muro", fu la risposta della pertica umana, con voce calma. "le manda Denti".
Ci fu uno scambio di sguardi tra Muro e qualcuno all’interno, poi la porta si aprì ampiamente lasciando che le due donne entrassero in una stanza completamente dipinta e illuminata di rosso.
Seduta ad uno dei tavoli illuminati da paralumi rossi c'era una donna in un elegante abito nero lungo a schiena nuda. Persino troppo elegante per un posto del genere, pensarono le ragazze, guardandosi negli occhi.
"Non sa come vestirsi pur di essere notata", disse Lea a bassa voce. Diana non rispose immediatamente perché si stava chiedendo come mai la porta della stanza rossa venisse chiusa dall'interno e perché ci fossero così poche persone lì dentro.
"Quindi volete divertirvi, giusto?", chiese una voce maschile da un angolo della stanza rimasto in penombra. “Denti è il mio guardiano all'ingresso. Sa chi deve fare entrare qui ", disse la voce, avanzando verso la luce "e perché ".
"Tu!" Disse Lea, riconoscendo la fisionomia del misterioso interlocutore.
"Ci incontriamo di nuovo, mia piccola sgualdrina", disse Daimon, emergendo nel cono di luce di un faro del soffitto.
"No ... No ... No ..." cominciò a dire Lea, prima che qualcosa la costringesse a fare un passo indietro, stordita e confusa.
"Cos'hai che non va!" Chiese Diana all’amica "Conosci questo tipo?"
"Lui ... è ..." cercò di rispondere Lea quando la voce di Bastone la interruppe.
"C'è qualcos'altro di cui ha bisogno, Signore?", Chiese, inchinandosi
"Niente, amico mio, solo un po' di privacy per trascorrere un po' di tempo con la mia vecchia e la mia nuova amica" guardando verso Lea, "Non è così, mia cara?", Quindi aggiunse, più bruscamente "Resta, comunque. Potrei ancora aver bisogno di te".
"Come desidera, Signore"
"E lei ... lei è ..." stava ancora farfugliando Lea, indicando la donna con il lungo vestito nero.
"Pantera. Mi chiamo Pantera”, disse lei, alzandosi e muovendosi verso di loro, oscillando le braccia scoperte lentamente e sinuosamente.
"Quindi sei dell'umore giusto per un po' di divertimento", disse, girando intorno a loro, mentre Daimon, sorridendo furtivamente, sedeva a un tavolo vicino, incrociando le gambe, mettendosi comodo, bevendo qualcosa da un elegante bicchiere blu. Vino, forse.
“Forse siamo finite per errore a una festa privata. Ci dispiace ", disse Diana, cercando ancora di capire cosa stesse succedendo.
"Nessun errore", Pantera obiettò rapidamente, "Vi prego, siate nostre ospiti...", quindi, esaminando profondamente gli occhi di Diana "...non era quello che desideravi, stasera?"
Diana si sentì improvvisamente a disagio e imbarazzata ma Pantera, come il felino il cui spirito lei incarnava, non le lasciò il tempo di pensare.
"Toccale la fica", le sussurrò all'orecchio. Diana era stupita come se non fosse sicura di aver capito.
"Perché pensi che la tua amica sia così nervosa", guardando Diana, prima, poi voltandosi e guardando Lea "Paura? No.… è semplicemente eccitata. Sa cosa l’aspetta”
Diana guardò Lea e si rese conto che, qualunque fosse stata la sua prima reazione, ora stava stringendo le gambe, premendo sul proprio inguine con i pugni serrati.
"Cos'hai che non va?" Sbottò Diana, "parla!"
"Non è quello che vuoi?", Pantera si stava divertendo a giocare al gatto col topo, "Non è quello a cui hai pensato tutta la sera, guardando come il suo vestito avvolge il suo corpo?"
Daimon sorrise, divertito.
Lea si inginocchiò lentamente, strisciando carponi verso le gambe di Diana, che provava ad obiettare e tenerla lontana mentre una strana agitazione le si dipingeva sul viso. Lea cercava di sollevare l’abito di Diana alla ricerca del suo sesso con una bocca improvvisamente ansiosa.
“Lea! Cosa stai facendo?", La lotta interiore di Diana era visibile sul suo viso.
Stava ancora cercando di fermare la sua amica, per quanto sempre più debolmente quando due paia di braccia presero le sue da dietro e la sdraiarono a terra. Diana urlò.
"Non avere paura!" Daimon disse: "Non ti faranno nulla, hai la mia parola"
Diana non riusciva a vedere i volti perché sembravano come muoversi nell'ombra. Non riusciva a vedere neanche la faccia di Daimon, ma poteva giurare che stesse ridendo. Le due paia di braccia la lasciarono andare scivolando via da lei.
"la tua amica si prenderà cura di te", disse, aggiungendo una voce bassa "a meno che tu non chieda altro..."
Lea, muovendosi come un ragno gigante sul corpo di Diana, le afferrò il seno allungando la mano, mentre con l'altra le spinse facilmente da parte il vestito e l’intimo. Ora la sua lingua era sul sesso di Diana, ne leccava le piccole labbra, ne succhiava il clitoride, ne deglutiva gli umori densi che stavano già cominciando a colare.
"È vero, allora", disse Diana, mentre il suo respiro diventava più corto, eccitato ed affannoso, le sue gambe tremavano sul pavimento e i suoi fianchi si spingevano verso la bocca di Lea, "Sei davvero una sgualdrina..."
Lea sollevò il viso dal sesso dell’amica, la bocca circondata da filamenti lattiginosi. "Ti sbagli", disse, raccogliendo gli umori dell’amica con le dita e leccandole, "Sono una vera puttana e adoro ingoiare tutto", immergendo di nuovo la bocca tra le gambe di Diana, lasciandole il seno solo per toccarle la fica e il culo mentre continuava a leccare. Più gli umori di Diana riempivano la bocca di Lea più a fondo lei spingeva la lingua dentro il sesso dell’amica.
Diana iniziò a gemere muovendo la lingua nella bocca spalancata, allargando le gambe più poteva, afferrandosi il seno, stringendo e tirandosi i capezzoli. Non riusciva più a tenere la bocca chiusa, sembrava leccare e succhiare l'aria stessa, schiacciando il seno sempre più forte, quasi piangendo di piacere e dolore insieme mentre il suo sesso era intriso e si potevano vedere i suoi umori colarle lungo le cosce. Il suo viso alla fine stava esprimendo una lussuria non piu contenibile.
Il viso di Lea era impossibile da definire, così immerso nel sesso dell’amica da gemere dentro di lei facendone colare fuori gli umori. Il sesso di Diana sotto la lingua di Lea era spalancato e trasudava umori mentre umori biancastri più densi le colavano dal culo dove Lea continuava a spingerle dentro le dita.
"Bene, bene, guarda che, che sorpresa", disse Daimon, poi chiamò
"Bastone!"
Bastone si materializzò dall'ombra.
"Signore?"
“Avremo bisogno di aiuto qui, penso. Lascia entrare gli squali"
"Sì, Signore"
C'erano sempre clienti a tarda sera in vena di una scopata facile, nella sala principale, affamati come squali. Chiamarli al momento giusto era tutto ciò di cui avevano bisogno per essere coinvolti.
In pochi minuti, Diana ebbe due sessi che le si spingevano insieme in bocca mentre ne masturbava altri due, pronti a esploderle addosso.
Anche Lea venne rapidamente circondata, si ritrovò a cavalcare un membro che affondava nel suo sesso mentre un altro le stava spalancando il culo. Quando ricevette il loro doppio carico, ebbe un orgasmo così intenso che crollò a terra.
Il sesso di Diana non poteva più aspettare, prese rapidamente un cazzo dentro che la fece piangere quasi dal piacere, mentre ne cavalcava un altro accogliendolo nel culo. La sua bocca vogliosa non era ancora sazia, prese tre cazzi alternativamente spingendoli in fondo alla gola.
Era impossibile dire cosa le facesse eccitare e godere di più. Entrambe sembravano sperimentare una sorta di orgasmo lungo ed ininterrotto in cui ogni spasmo le faceva godere ancora... La loro pelle era così calda che potevi quasi vederle brillare al buio.
Daimon lasciò la stanza rossa attraverso l'uscita di servizio, dopo aver lasciato un ultimo ordine ai suoi uomini disegnando un cerchio in aria con un dito. Pulire tutto. Bastone si inchinò e fu tutto.
Pantera era accanto a lui, camminando nell'aria fredda della notte. Lei gli abbracciò il braccio, la spalla, il fianco, mettendo il suo corpo e il suo calore più vicino a lui.
Daimon avvertì il suo fuoco interiore e la abbracciò, accarezzando dolcemente il suo monte di Venere con la punta delle dita, trovando una via facile attraverso il divario laterale del suo vestito. Si fermò quando le sue dita trovarono la sua pelle e qualcosa di liquido correva su di loro.
Sorrise delicatamente.
"Che spettacolo piacevole, non credi?"
Fissò i suoi occhi scuri.
"Pensi che sia a causa loro che mi trovi così?"
Daimon la guardò, attentamente, aspettando la risposta ad una domanda non posta.
"No, mio Signore", disse. "È a causa tua. Per te sono sempre così”. Sentirono elettricità sotto la pelle. Dita che volevano diventare artigli. Pelle che desiderava diventare un campo di battaglia.
Molto più di molte parole vuote.