Il segreto

Era uno dei più famosi eroi del suo tempo. In un'epoca in cui le grandi imprese erano sempre seguite da fama e gloria, la sua vita aveva intrapreso la strada verso l'immortalità. Quell'onore concesso solo a pochi, che sopravvivono alla propria morte nelle canzoni dei menestrelli e nei sogni di avventura dei fanciulli. Tutti nel regno avevano udito il suo nome almeno una volta e gran parte delle persone potevano citare almeno due delle sue molteplici avventure. Schermidore senza eguali, cuore di drago, paladino della giustizia, messaggero degli dei, si potevano comporre libri soltanto elencando gli epiteti che il suo coraggio gli aveva fruttato. Egli era un esempio per la società e, come sempre accade, questa responsabilità opprimeva e appagava il suo animo, come una droga a cui ormai era impossibile rinunciare.
Era una notte estiva come tante, limpida e inondata dalla luce lunare che lasciava poco spazio all'immaginazione svelando ciò che l'oscurità voleva nascondere. Tutto all'interno della stanza era immobile, come assopito in un profondissimo sonno durante il quale il tempo pareva essersi fermato. L'unico a non dormire era Daneb, "il grande" come tutti usavano chiamarlo. Era in preda a quel genere d'insonnia molto cara ai poeti, perché porta con sè fantasmi del passato e ombre dei propri pensieri, che in un'interminabile parata sfilano dinnanzi agli occhi accompagnati da una musica magistralmente prodotta da un'orchestra di sentimenti. Tale sensazione, impagabile per chi è schiavo di una capricciosa dea chiamata ispirazione, è invece fonte di dannazione per chiunque abbia nell'animo un peso troppo grande per essere sopportato. Daneb apparteneva a quest'ultima categoria.
Si girò nel letto per abbandonare la posizione che aveva portato le coperte ad una temperatura insopportabile e, posizionandosi sull'altro lato, sperò che questa forma di sollievo potesse finalmente accompagnarlo fra le braccia di Morfeo. I minuti passavano e il sonno non dava il minimo segno di voler abbandonare quell'ostinata fuga.
Nella sua mente riviveva ogni singolo istante della giornata appena trascorsa. La festa in suo onore, come ogni anno, si era rivelata un successo epocale. Poteva ricordare uno per uno i volti delle persone che al colmo dell' ammirazione si accalcavano per il solo desiderio di poterlo toccare, di poter sfiorare con la punta delle dita un sogno inarrivabile. Desiderò ardentemente che insieme ai pensieri tornasse il sole della giornata appena trascorsa a scacciare i fantasmi che non gli davano pace. Desiderò trovarsi ancora una volta in quel bagno di folla che lo faceva sentire vivo e potente, in grado di sconfiggere qualsiasi nemico. Desiderò sentire di nuovo l'affetto della gente, ed essere acclamato come il più grande eroe mai esistito.
Ripensò a quando era bambino e ingenuamente fantasticava su un futuro simile a questo. Egli era figlio di un fabbro e da piccolo aveva imparato a maneggiare la spada più per diletto che per interesse. All'epoca non sapeva nemmeno cosa volesse dire uccidere una persona e la spada, più che un'arma di morte, era un giocattolo come tanti. Crescendo dimostrò un'abilità innata per la scherma e il suo arruolamento nelle guardie fu qualcosa di automatico. Per un giovane privo di educazione con una spiccata propensione alla guerra, le alternative sul futuro non erano molte: o continuare l'attività di famiglia, oppure entrare a far parte delle guardie. La seconda scelta oltre a garantirgli un'istruzione di base, appagava il suo indomito spirito adolescente promettendogli grandi avventure e una carriera emozionante.
La sua vita nelle guardie trascorse veloce e più di una volta dimostrò il suo valore sia in battaglia che fuori. Era dotato di una spiccata intelligenza logistica che, combinata al suo spirito altruista, gli permetteva di eccellere nel suo lavoro. In pochi anni arrivò a ricoprire ruoli sempre più importanti e il tutto fu coronato da una bellissima storia d'amore con una donna di nome Elsa, da cui ebbe una splendida figlia. La fama e il successo giunsero pochi anni dopo, quando fu inviato insieme ad una manciata di guardie a investigare su strani assassini nelle pianure ad ovest della città.
Al pensiero di quei tempi provò una fitta al cuore. Un rimorso tanto potente da somigliare al dolore fisico. Si alzò seduto sul letto e si coprì il volto con le mani, come per calmarsi e scacciare i pensieri tanto insistenti da condurre la sua mente a sfiorare la follia. Scese dal letto per guardar fuori dalla finestra. La luna era ancora alta nel cielo, segno inesorabile che ancora molte ore lo separavano da un misericordioso mattino. Si voltò a guardare la sua stanza, silenziosa e immobile. Si trovava in una locanda al momento, non aveva più nulla che somigliasse ad una casa, abbandonata per il continuo bisogno di viaggiare e compiere le grandi gesta per cui era tanto famoso. Osservò l'armatura e la spada ammucchiati a fianco del letto che risplendevano di tenui riflessi lunari. Quei compagni di viaggio gli avevano salvato la vita centinaia di volte e ognuno di questi eventi era scritto con violenza sul metallo in caratteri che solo i ricordi erano in grado di leggere. Lasciò scorrere lo sguardo fino al letto completamente disfatto, come un fedele ritratto del suo attuale stato d'animo. Indugiò oltre in una veloce panoramica e vide pochi mobili, disposti strategicamente a ridosso delle pareti per nasconderne i fatiscenti difetti. Era solo. Questo era la cosa che più lo tormentava, il fatto di essere solo con se stesso. Nessuno che potesse onorarlo o che ne ricordasse i numerosi pregi. Nessuno che potesse difenderlo da quel mostro terribile chiamato coscienza, che periodicamente tornava a riscuotere un pegno di paure e rimorsi.
Si costrinse a pensare, a indugiare con i propri pensieri sugli aspetti piacevoli della giornata appena trascorsa per impegnare la mente. Ricordò l'affetto della famiglia che aveva salvato dalle grinfie di quella tribù di orchi. Gli occhi dei bambini colmi di ammirazione e i volti dei genitori che esprimevano una gioia difficilmente riconducibile a parole. Ripensò alla fanciulla che, per ringraziarlo di averle salvato la vita, gli regalò una torta il cui profumo lasciava intuire tutto l'amore che la ragazza aveva dedicato alla sua preparazione. Senza che se ne accorgesse si mise a sorridere. Quella riconoscenza nei suoi confronti era ciò che nutriva la sua vita, che illuminava le sue giornate. Per questo ora maneggiava la spada, per questo si lanciava in imprese disperate al limite del suicidio. Ogni vita strappata alla morte era per lui la prova di essere utile agli altri, di più, la prova di meritarsi il titolo di eroe. Soddisfatto di quei pensieri piacevoli ed avendo ritrovato la sicurezza in sé stesso fece per andare a letto, quando udì una campana risuonare nella piazza della città. Si affacciò alla finestra che dominava l'ormai deserto luogo della festa, ma non vide nulla, solo striscioni i cui colori avevano perso la vivacità del giorno e bancarelle abbandonate. Stava per considerare ciò che aveva udito un semplice scherzo dei sensi quando un sommesso vociare gli giunse alle orecchie. Di nuovo osservò con attenzione la piazza e questa volta vide le ombre della notte animarsi. Ognuna di esse, come su un immenso palco, recitava il ruolo degli spettatori che si erano avvicendati durante la festa appena trascorsa. Come colui che in piena notte viene colto dalle allucinazioni e incredulo sottopone i suoi occhi ad un attento esame del cervello, egli continuò ad osservare, incapace di farsi un'idea precisa su ciò che stava accadendo. Sentì un brivido dietro la schiena quando udì una voce dominare il vociare della folla.

Madame e messeri. Accostatevi, accostatevi a me poiché io conosco la verità. Venite e prestate orecchio al cammino che conduce un uomo al cospetto degli dei, facendone impallidire il nome!

Daneb trasalì. Non di nuovo. Non poteva sopportare un'altra volta il racconto di quella che per tutti era la sua consacrazione ad eroe, ma per lui che conosceva la verità non era altro che la voce del rimorso. Si costrinse a ignorare i sensi che volevano ingannarlo, si convinse che quelle fossero allucinazioni. Si allontanò dalla finestra e tornò a sedersi sul letto, cominciando a sudare freddo. La voce continuò tanto improvvisamente da farlo sussultare.

Voi tutti ora abbandonate i vostri sensi in favore unicamente dell'udito. Cedete alla pazzia e abbandonate la logica, poiché in nessun'altro modo potrete partecipare al viaggio nel tempo in cui io sto per condurvi. Se farete questo, vi prometto che i sensi sopiti si animeranno autonomamente come per magia e la realtà che ora vi circonda diventerà il racconto, mentre il racconto diventerà la realtà.
Ogni storia che si rispetti ha un inizio ed è esattamente dove sto per condurvi. In questo momento ci troviamo nel passato, precisamente dieci anni fa, in un piccolo paesino poco distante dalla nostra bella città il cui nome è Senvel.

Daneb si allungò fino ad impugnare la spada, era certamente opera di un qualche creatura. Il fantasma di quel bardo doveva essere un trucco per ingannarlo, ma a quale scopo? Se avessero voluto fargli del male avrebbero creato l'illusione di qualcosa di più spaventoso. A che pro fargli rivivere il racconto delle sue gesta epiche? E se la creatura sapesse il suo segreto? Le forze cedettero a quell'ipotesi e la spada si abbassò, mentre invece la voce del menestrello risuonò più alta. Impotente riascoltò il racconto che già aveva dovuto sopportare quello stesso pomeriggio. La voce parlò dei misteriosi assassini che infestavano le campagne, ripercorse le sue indagini condotte per ordine del re, fino al fatidico punto in cui i ricordi si distaccavano nettamente dalla storia. Per tutti, quando Daneb scoprì che un malvagio demone era celato dietro a quelle brutali uccisioni sfoderò la sua spada e in nome della giustizia lo trafisse ponendo fine al massacro, ma realtà voleva diversamente.
Le sue difese crollarono mentre la voce del bardo svaniva nel suo inconscio e continuava quella della coscienza, a cui inutilmente aveva tentato di opporsi.
Quando finalmente si trovò al cospetto della creatura colpevole degli assassinii, provò una paura viscerale. Si trovava su di una piccola collina poco distante da Senvel. Si era recato li per investigare sull'ultimo crimine quando, d'improvviso, il giorno si trasformò in notte. Una notte spietata senza luna ne stelle e accompagnata da gemiti e lamenti che sembravano trasudare dalla terra stessa. Voltandosi vide il demone: alto quanto due uomini, la forma vagamente umanoide, le ali artigliate conserte dietro la schiena e il volto sfigurato in una maschera di zanne e corna. Con la disperazione degli animali in trappola Daneb si scagliò contro il suo nemico urlando e volteggiando la spada in una serie di fendenti menati alla cieca. La creatura evitò gli attacchi e lo colpì, con tale potenza da gettarlo qualche metro più avanti. Prima che potesse riprendersi il demone si era già avventato su di lui, cingendone l'intera testa con la sua enorme mano artigliata. Avrebbe potuto concludere la cosa di li a poco fracassandogli il cranio, invece gli rivolse la parola.
"Mortale. Attendevo il tuo arrivo."
La voce del demone era accompagnata dai gemiti e dai singhiozzi di Daneb che si trovava ora a dover fronteggiare una morte terribile, completamente impreparato.
"Le linee del destino sono per me un libro che posso leggere con facilità, tuttavia sono vincolato inesorabilmente al vostro libero arbitrio."
La guardia paralizzata dal terrore tremava e faticava anche a seguire quelle poche e semplici parole che, nella sua mente, apparivano inconsistenti di fronte all'orrenda fine che lo attendeva.
"Io ti pongo una scelta, mortale. La tua vita è vincolata a questo luogo del tempo e dello spazio. Spetta a te decidere se trasformarlo in un epilogo o in una svolta. Da una parte avrai una morte vana e ingloriosa compiuta in nome di quelle illusioni che voi mortali chiamate valori, affetto e giustizia. Dall'altra, io ti offro la vita e la gloria eterna, in cambio di un pegno di pari valore. In cambio di una vita, il prezzo da pagare è ciò che di più prezioso questa vita possiede."
Daneb incapace di una qualsiasi riflessione piangeva come un fanciullo e non accennava a dare una minima risposta. Il demone perdette quindi la pazienza e stringendo la morsa sulla testa dell'uomo urlò con una voce terribile.
"SCEGLI MORTALE! VUOI VIVERE O VUOI MORIRE?"
L'urlo disperato di Daneb che conteneva la risposta echeggiò per le valli circostanti fino a svanire del tutto. Quando l'uomo riaprì gli occhi si trovò nuovamente solo in cima alla collina. Era tornata la luce del sole che rinfrancava il suo animo, allontanando il freddo della morte con un piacevole calore. Si guardò intorno incredulo, incapace di ricordare cosa fosse successo. Ai suoi piedi vide la spada insanguinata conficcata profondamente nel petto della creatura demoniaca, ormai senza vita. La confusione l'assaliva ed era incapace di ragionare. Gli tornò in mente la sua missione e come qualcuno che si aggrappa con tutta la forza ad un impulso razionale per non cedere alla pazzia, stacco la testa della creatura e si avviò per ritornare dal suo re a fare il rapporto sull'accaduto.
Al suo ritorno venne accolto con grandi festeggiamenti. La vittoria di un uomo sulle forze del male è un impresa che non passa inosservata e in breve tempo, in tutta la città si diffuse la storia di Daneb "l'eroe". Ancora faticava a comprendere cosa fosse successo, ma lo scoprì poco dopo, quando giunto a casa trovò la moglie e la figlia brutalmente massacrate. Un lampo di bruciante lucidità lo travolse e d'improvviso capì cos'aveva fatto. Ricordò le parole del demone e comprese che questo era il prezzo che aveva dovuto pagare in cambio della sua vita. Cadde sulle ginocchia e vi rimase per ore in un fiume di urla e di singhiozzi tanto forte da attirare l'attenzione dei passanti e delle guardie. Scoperto l'accaduto il re lo convocò e gli assicurò che avrebbe dato la caccia ai colpevoli per punirli di quell'efferato crimine, ma Daneb sapeva che non sarebbe servito a nulla. L'unico colpevole dell'accaduto era lui.
Dopo quel fatto cadde in profonda depressione e perse ogni interesse verso il mondo. Più volte fu sul punto di togliersi la vita, ma i continui onori e l'ammirazione della gente servirono a consolarlo quel tanto che bastava a provare di nuovo timore nei confronti della morte. Tormentato dal senso di colpa e incapace di fare un passo coraggioso come dire la verità o uccidersi, approfittò di ogni opportunità che aveva per fare ammenda dei suoi peccati e tenere la mente occupata. Essendo la sua unica abilità quella di maneggiar la spada si gettò in imprese dove anche i più grandi guerrieri avevano fallito, ma egli riuscì a compiere ogni incarico. Più volte fu sul punto di incontrare la morte, ma ogni volta questa lo evitava, come se qualcuno le avesse proibito di cogliere quell'anima. Con un successo dopo l'altro la sua fama crebbe all'inverosimile e così l'affetto delle persone. Ben presto sviluppò una forma di dipendenza verso le sue onorificenze, perché grazie ad esse aveva l'illusione di essere una persona nobile e coraggiosa. Grazie ad esse poteva dimenticare il dolore, che puntualmente lo visitava per ricordargli a cosa era dovuta quella fortuna.
Si riscosse da quei dolorosi ricordi. Gli uccelli cominciavano a cantare per accogliere il mattino che tra poche ore sarebbe finalmente venuto in suo soccorso. Ancora una volta, come sempre, provò l'impulso di dire la verità, per liberare la sua coscienza da da quel peso terribile, per poter finalmente allontanare i fantasmi che lo visitavano la notte, per potersi lasciare alle spalle quel dolore che portava portava dentro di se, ma le paure lo assalirono. Temeva di perdere tutto quello che era diventato, temeva di dover affrontare la realtà che lo voleva unicamente come un vile assassino e temeva che tutto questo lo avrebbe ricondotto alla morte miserevole che aveva tentato di fuggire.
Daneb "il grande" decise ancora una volta di tacere, di sopportare silenziosamente le strazianti grida del rimorso che gli impedivano il sonno, in favore di uno splendente mattino che lo attendeva ogni volta al termine degli incubi.