Il signor Lapo Mar
Il signor Lapo Mar, da poco in pensione, è un uomo tranquillo che ha lavorato tutta la vita come un travet del ministero del tesoro, a causa del diploma di computista commerciale e di un concorso vinto quando ancora non c’erano le folle a dar l’assalto ai posti pubblici.
Il signor Lapo Mar è un uomo moderato, non si è mai interessato di politica e il suo voto è sempre stato in perenne conflitto fra l’astensione e il partito dei conservatori. Gli scioperi se può li evita, se no si dà malato o si mette in ferie.
Sfondare il picchetto? E perché mai, a rischio magari di prendersi qualche legnata da quei fanatici energumeni dei sindacati.
Cattolico concordatario, come la maggioranza assoluta degli italiani, è il classico praticante da feste comandate. Scapolo, vive in una grande città del Nord Italia, in un appartamentino fra centro e periferia ora di sua proprietà, dopo aver acceso ‐ e, per fortuna, anche spento ‐ un mutuo trentennale.
Legge un giornale fin dal giorno in cui venne fondato da un importante giornalista, famoso per turarsi il naso a ogni elezione.
Quando quel toscanaccio, magro magro, essendo entrato in conflitto con la proprietà, se ne andò sbattendo la porta e ideando un altro quotidiano, il signor Lapo Mar diede fiducia al nuovo progetto ma nonostante la pregevole qualità quella sfida giornalistica non decollò.
Questo fu nella sua vita il gesto di maggiore temerarietà ma, mesto mesto, tornò ad acquistare le antiche pagine, non fosse altro che per i titoli a caratteri cubitali.
Il signor Lapo Mar non guida l’automobile, anzi non ha mai voluto prendere la patente. Ha sempre utilizzato i mezzi pubblici (treni, tram, metropolitane), qualche rara volta i taxi.
Se si trova in vacanza gli capita talvolta di prendere l’autobus per recarsi in località limitrofe al luogo in cui è situato il suo albergo.
Il signor Lapo Mar soffre, da qualche tempo, di una singolare affezione, ardua a raccontarsi, alle vie aeriformi superiori insieme a uno dei cinque sensi: l’olfatto.
Nel mentre che non riesce ad assaporare la gustosità e gli aromi di ciò che mangia e che beve (ma anche il profumo del dopobarba o del bagno schiuma della doccia e perfino dei fiori della riviera) gli succede con una certa frequenza di fiutare un pervicace odore di me…, ehm, di… letame. All’improvviso, quando meno se lo aspetta.
Siffatti episodi gli si sono palesati in ufficio (quando ancora lavorava), sui mezzi pubblici, per la strada, leggendo il giornale o guardando la televisione. Quasi sempre quando qualcosa lo turbava facendogli salire il sangue alla testa o, come si dice, volare la mosca al naso.
I mezzi pubblici non sono quasi mai dei fulmini e non di rado gli è successo di attenderne l’arrivo. Le autolinee delle riviere estive non sfuggono all’assioma.
Accade che un giorno, salga a una fermata un attempato signore e si rivolga all’autista con questa frase: «Per la Saar si vede che la puntualità è un optional…». Di colpo, l’autista blocca l’autobus, si alza in piedi e si mette a gridare: «Adesso chiamo i carabinieri».
L’attempato signore non è per nulla turbato e invita l’autista a chiamare chicchessia, lui non ha nulla da rimproverarsi e l’autobus è in ritardo di oltre 10 minuti pur essendo il luogo di partenza a soli 5 chilometri. Una mora assurda.
L’autista non chiama nessuno ma inizia a sproloquiare dicendo che lui è dalle 6.00 del mattino che sta lavorando (in quel momento sono le 10.50), da del tu in modo aggressivo al signore, poi all’analoga replica del suo interlocutore si inalbera e intima che non gli si dia del tu.
La gente alle spalle, quella stessa marmaglia che quando è in attesa alla fermata ne dice di tutti i colori, inizia a rumoreggiare. A quel punto, l’autista inscena la finta di sentirsi male, scende dall’autobus e cuore alla mano si sdraia sulla panca della pensilina, una parte degli astanti si butta a sorreggerlo e, nello stesso tempo, si mette a insultare l’attempato signore che risponde a tono con la forza che gli viene dalla ragione. C’è chi vuole chiamare il 118 (l’autoambulanza) ma chissà perché nessuno mette in pratica questa ulteriore sceneggiata. Perfino, le grasse donne africane dagli abbigliamenti sgargianti che vendono le loro mercanzie sulle spiagge della riviera si permettono di redarguire in malo modo quel signore.
L’autista agonizzante in un paio di minuti si mette in piedi e, sulle sue gambe, risale in autobus e riparte, ottenendo pochi applausi a scena aperta. Nessuno è morto, non è successo niente, alla fermata successiva gli utenti che attendono guardano l’orologio e quando salgono lanciano qualche critico commento, a bassa voce, all’indirizzo dell’autista.
Fu in questa occasione che iniziò a spandersi alle narici del signor Lapo Mar quello strano olezzo di fogne a cielo aperto che, seppure in modo meno accentuato, gli era già capitato di avvertire.
Le precedenti volte, bisogna puntualizzare, il fetore non sembrava così invasivo, le folate erano parziali, momentanee.
Gli accade di sfogliare il quotidiano, come ogni giorno, e di imbattersi in servizi e notizie che lo mettono per lo meno di cattivo umore fino a doversi interrogare sul senso di un acquisto la cui lettura dovrebbe fornirgli conferme e invece lo angustia in un ininterrotto disappunto.
Cosa dire di tutti quei poveri cristi che, sugli sfasciati barconi della speranza, fuggono dalle coste nordafricane lasciandosi alle spalle conflitti epocali e carestie, scontri tribali e tirannie? Migranti che mettevano in gioco se stessi, alla ricerca di una vita degna di essere vissuta, il più delle volte rimettendoci la ghirba, spesso a poche decine di metri dall’approdo sicuro.
Come si fa a non imbizzarrirsi all’ascolto delle canagliesche fesserie di chi per frenare l’invasione vorrebbe che gli si sparasse contro?
Ci sono poi le peculiari occasioni in cui la lettura di scoop odiosi e privi di qualsivoglia deontologia professionale ‐ tanto da fruttare al direttore del giornale periodi prolungati di sospensione dall’attività giornalistica ‐ gli procurano quell’irritante fastidio all’olfatto che si protrae ben oltre la schifata chiusura delle pagine.
Accade così ogni volta che qualcuno alza la voce per niente, solo per sparare raffiche di idiozie.
Il signor Lapo Mar, la cui timidezza già è un ostacolo insormontabile per ogni tentativo di entrare in confidenza, vorrebbe potersi confrontare con altre persone sul fenomeno, per verificare se solo a lui succeda di essere oppresso da simili puzze.
Il tema è oltremodo imbarazzante e non si presta ad agevoli scambi di opinione con i vicini di ombrellone.
Intuisce che non sembra accadere agli altri ciò che accade a lui: nessun segnale fra quelli che si prestano a essere interpretati come forte disagio, naso proteso alla sniffata schifiltosa, sguardo perso e interrogativo, occhio a palla che, circolare e prospettico, ispeziona e indaga senza trovare una valida risposta.
Solo una volta accadde che sulla spiaggia, espliciti commenti a voce alta si rimpallassero da ombrellone a ombrellone, da una fila di sdraio all’altra, sulle maleodoranti folate di “Ligusta Spurghi” che persistevano in quel lasso di mare. Questa volta però, al contrario degli altri bagnanti, il temprato naso del signor Lapo Mar non percepì nessun cattivo odore.
A osservare quello che succedeva sulla spiaggia attorno a lui, fra i lettini e gli ombrelloni, non ci voleva che uno storto niente affinché si diffondesse a grandi zaffate una fortissima esalazione di feci e altri miasmi escrementizi.
Una ragazza che il ciel l’aveva fatta scampare in tenera età a un brutto malanno ma non fu altrettanto benigno quel cielo con la sua figura lasciandole in dote un corpo sgraziato di cicatrici e di ossa non ricomposte a misura, una voce stentata e gutturale, idem per il volto di cui si salvavano solo gli occhi vivaci e alteri, neri e fieri, e una massa di capelli scuri dalle lunghe ciocche che lei soleva sciogliere per isolarsi dal mondo, dopo essersi infilata nei timpani le magnanime cuffie di un ipod.
Andare a bagnarsi neanche a parlarne e, ogni volta, era una lite con gli anziani genitori che la sollecitavano per il suo bene ‐ con le buone o con le cattive ‐ a farsi del male, confiscandole il suo prezioso dispensatore di armonia e di sogni ingannatori per obbligarla ad immergersi insieme a loro nell’attiguo specchio di mare.
Dall’incontrollato effluvio di cloaca a cielo aperto da far invidia agli analoghi lezzi durante gli angusti camminamenti nella medina di Fes, il signor Lapo Mar ‐ un giorno ‐ perde i sensi e cadendo rimane a terra come morto.
Accade, come se, in una sola volta fossero insorte tutte le chiaviche universali che, stufe, di essere sottoposte a intasamenti fecali ‐ da sera a mane ‐ decidevano di ribellarsi e reagivano spandendo effluvi esiziali per l’aere, ammorbando il naso agli individui reattivi.
Si risveglia, è in un letto d’ospedale. I medici sono circospetti e reticenti, come capita ai medici. Tutto è bianco, pulito, asettico ma il puzzo di merda non l’abbandona.
Il signor Lapo Mar, ora, è a colloquio con un luminare che in piedi ‐ con una bacchetta in mano e un tono professorale da autentico luminare ‐ gli confida che come metodo lui ha quello di raccontare “tutto” al paziente. Al luminare, inoltre, piace essere comprensibile. L’olezzo diviene vomitevole.
«Le modificazioni della funzione olfattiva possono essere di due tipi:
- Qualitative
Parosmia o allucinazione olfattiva: percezione di un odore che non esiste nell'ambiente;
Cacosmia o percezione erronea di un odore reale che viene sempre percepito come sgradevole.
Le alterazioni qualitative dell’olfatto possono comparire nelle sinusiti (acute e croniche ), nei corpi estranei nasali, nelle tonsilliti criptico caseose, nelle bronchiti, in alcune affezioni gastriche ed epatiche, nel diabete grave, nelle affezioni del sistema nervoso centrale (sifilide, tumori del cervello, ecc. ecc.). - Quantitative
«L'iposmia e l'anosmia, ovvero la diminuita percezione degli odori, possono dipendere da varie cause e concause ma, nel nostro caso, da processi morbosi, neoplastici o degenerativi, del sistema nervoso centrale.
L'Iperosmia, ovvero l’aumentata percezione degli odori, può dipendere anche questa da malattie del sistema nervoso centrale.
La possibilità di un recupero della funzione olfattiva è però in ogni caso in diretto rapporto con l'entità del danno subito dal recettore, che è costituito da cellule nervose perenni e quindi non rigenerabili.
L'area olfattoria centrale è connessa con varie strutture del sistema nervoso centrale tra cui il talamo, l'ipotalamo, il mesencefalo, il ponte, il bulbo, il midollo spinale. Questo fatto spiega le numerose attività riflesse legate alla percezione degli odori. Tutto chiaro?».
«???», il Signor Lapo Mar è visibilmente dubbioso ma il luminare non se ne cura e prosegue diritto alla meta. Alle spalle del medico c’è una grande lastra del suo cranio. Con l’asticciola il luminare gli mostra una macchia nera che dal sistema nervoso centrale si irradia, dal bulbo olfattivo, poggiante sopra la lamina cribrosa nella fossa cranica anteriore, attraverso il nervo verso le vie nasali.
Gli dice che ha un carcinoma cerebrale al 5° stadio. Maligno e inoperabile. Aspettative di vita? Effimere. Cure? Palliative.
Stia certo che le offriremo cure adeguate, non deve preoccuparsi. Altre domande?
Il Signor Lapo Mar ne ha in mente una ma non la espone. Perché, fra tutti gli odori molesti, proprio quel tanfo ossessivo di merda? Del resto, cacosmia già di per sé la dice lunga su quello che ci si deve aspettare. Ma i motivi?
Era come se tutte le discariche, le fogne, i depuratori, i pozzi neri, le cloache, i tombini, le condotte decantatorie, i chiusini e i collettori del pianeta avessero smesso di funzionare e, invece del fango tipico delle alluvioni, l’elemento trascinante fosse il liquame da fognatura e tutto si scaricasse in mare il cui colore azzurro se il cielo è azzurro, a mano a mano, si convertiva in ripugnante marroncino. Come se, di fronte a tutto questo, si fosse adunata lì tutta la nausea e il disgusto del globo terraqueo.
L’autorità sanitaria non gli avrebbe fornito una spiegazione esauriente, quella delucidazione che invece il signor Lapo Mar, tardivo analizzatore dei fatti di questo nostro mondo, sul finire della propria esistenza forse avrebbe saputo darsi da sé.