Il signore degli Anelli - Orgoglioso anonimato
Il taxi lo stava portando velocemente verso la sede del colloquio. Alla radio si parlava in termini non proprio da Accademia della Crusca della "Maggica" e di Zeman. Giorgio non tornava a Roma da quando l'allenatore boemo aveva guidato per la prima volta la squadra giallorossa. Quella sensazione di déjà vu gli infuse un minimo di sicurezza, e ai suoi occhi, gli conferì anche un'aria più giovanile. Ormai aveva trentaquattro anni, millemila colloqui alle spalle e mai nessun lavoro stabile. Quasi rassegnato si apprestava a sostenerne un altro, che, alla pari dei precedenti, era solito definire "un tantinello standard". Era anche un po' stanco: aveva fatto le 3 giocando al poker online: ventiseiesimo su 2550 persone e 120 euro di guadagno. Sei ore per quella miseria. Ogni volta si chiedeva perché cazzo continuava a giocarci. Eppure continuava.
«Dotto’, ma lei sta co’ Zeman?»
«Guarda, a me non è che mi interessa poi molto di Zeman. Io sono juventino».
«Mamma mia! E com'è st'insana scelta?»
«Non so, non credo sia stata una scelta. Da quando ho la memoria mi ricordo bianconero».
Giorgio non riusciva a non rispondere seriamente a qualsiasi tipo di domanda, anche se dentro di sé aveva sempre una risposta alternativa a quella classica. Era fatto così, e non poteva farci nulla. Come sarebbe stato bello dirgli veramente ciò che pensava. Ma poi cosa avrebbe pensato di lui quello sconosciuto? Era questa la tristezza del mondo secondo la sua opinione: porre dei filtri all'intelletto, alla fantasia e alle meraviglie che si potrebbero instaurare fra le persone se solo non ci limitassimo a risposte automatizzate, pronunciate senza pensare, senza interesse per il discorso e per il nostro interlocutore.
Decise che era il momento di cambiare atteggiamento e avrebbe iniziato proprio da quel colloquio. Beh, magari avrebbe tentato, di dare una risposta spontanea. Quantomeno provare a farla spuntare dalle sue labbra, “…per vedere di nascosto l'effetto che fa”, pensò lo Jannacci che era in lui!
«Dotto' sono 16 euro... Faccia 15».
«Grazie».
Giorgio si ritrovò in una megasede deluxe, ricoperta da vetrate, specchi e un ampio open space in cui sedeva, dietro una scrivania, una solerte segretaria che lo fece accomodare in una stanzetta dove gli chiese di aspettare qualche minuto.
Alle pareti bianche erano appesi due poster. Il primo ritraeva Einstein con la scritta: “I migliori talenti li abbiamo scoperti noi” mentre nell'altro era raffigurato un bambino in sella ad un triciclo su una strada impervia e lo slogan: “Ti seguiamo fin dall'inizio della tua carriera”.
“Madonna che ansia” pensò il malcapitato Giorgio.
«Buongiorno».
«Buongiorno».
«Come va? Ha trovato facilmente la strada?»
(Sono venuto in taxi) – «Sì sì»
«Allora. Benvenuto. Io sono il Dott. Magrin e prima di iniziare le farei una panoramica sulla nostra società, su chi siamo nel mondo e di cosa ci occupiamo. Allora, “aTTenture” è una società che...»
“Bla bla bla… Che palle… Quanto parla questo... Ma cosa me ne importa... Vabbè fammi annuire... Sì ok... Milioni di dipendenti felici in tutto il mondo, fatturato astronomico e meraviglie di ogni genere, diamanti grossi come cocomeri, falde di acque miracolose e pascoli verdi dove condividere beatamente un abbondante e succulento pasto aziendale. Andava tutto bene lì, nella Contea della Terra di Mezzo, lontano dal mondo cattivo che avevano organizzato altre aziende schiaviste.
Peccato che anche aTTenture non sarebbe stata esente dall'avere mezzuomini, con tutte le loro bassezze morali legalizzate e incentivate da dinamiche e policy aziendali” ‐ pensò Giorgio. E trovò l'osservazione abbastanza arguta.
«Tutto chiaro?»
«Sì sì!»
«Allora lascio la parola a Lei, ma prima una domanda. Lei non è del 1988? Mi sembra un po' piùùù... Maturo».
«No, sono del 1978».
«Ah, allora c'è stato un errore sul Curriculum Vitae nel mio database. Purtroppo per questa opportunità lavorativa non potrò prenderla in considerazione perché il nostro cliente cerca persone un po' più... Un po' menoooo... Mature. Però magari Le troviamo qualcosa. Mi parli della Sua carriera accademica e professionale».
Giorgio ultimamente sentiva un po' troppo spesso la parola "maturo" e visibilmente scoraggiato dopo tutti quei km e il denaro speso per raggiungere Roma, capì che non aveva nulla da perdere. Decise pertanto di tirare fuori tutto ciò che avrebbe voluto sempre urlare a quelle persone col sorriso di plastica e il colletto così candido da far impallidire la vecchina, pardo n, la donna matura, dell'omino bianco.
Si stupì di ciò che gli stava uscendo dalla bocca, ma gli piaceva, gli piaceva eccome.
«Sono Giorgio Maraschi. Trentaquattro anni. Nasco calcisticamente nel Caserta 1960. Dopo una breve parentesi da centrale difensivo scoprii la mia vera natura: attaccante di sfondamento. Dopo una caterva di gol ho avuto un infortunio che mi ha compromesso la carriera. Non lo ammetterei neanche sotto tortura, ma nonostante l'ernia del disco e i trentaquattro anni suonati, nutro ancora, in fondo, ma proprio in fondo al mio animo, il sogno di diventare prima punta del Real Madrid. El delantero delle merengues!»
“Olé!” ma questo non lo disse.
Il resto sì però, e il selezionatore sembrava quasi intimidito. Aveva paura che Giorgio avrebbe estratto un mitra e sparato all'impazzata contro di lui e contro tutti i suoi colleghi. Una carneficina annunciata. "Queste persone dovrebbero essere rinchiuse da qualche parte" ‐ pensò, ma non si azzardò a proferire parola.
«Allora... Selezionatore, vuole sapere i miei pregi e miei difetti?»
Giorgio non aspettò neanche la risposta e cominciò:
«I pregi è che sono un bravo ragazzo, non uno squalo da grande azienda, quindi non andrò mai bene per voi. Andrei bene solo per ruoli da bravo ragazzo e questo mi permetterebbe solo di vivacchiare con uno stipendio da fame fra stenti e bocconi amari alla base della piramide. Dovendovi anche ringraziare per l'opportunità concessami. Perché lo so che va così. Inutile descrivere posti incantati e amministratori delegati che dividono con generosità e magnanimità gli introiti con un consulente qualsiasi.
Dicevamo?!? Ah i difetti... Mi scaccolo e se mi fanno girare i coglioni posso anche arrabbiarmi. Di brutto. Ma non avere paura sono un tipo pacifico...io!»
Si sentiva Spud in Trainspotting, ma la differenza con lui è che Giorgio non gli disse mai: "È lei il tizio che comanda…" Perché “a Giorgio Maraschi” nessuno aveva mai comandato.
«E ora basta, vado via! Credo che per una volta rimarrò impresso nella memoria di un selezionatore! Ah un'ultima cosa: le persone che vengono qui non vengono per un lavoro dinamico, per una crescita professionale e perché gli piace questo tipo di vita. Le persone vengono qui perché devono guadagnare e se potessero scegliere farebbero un lavoro in cui si guadagna tanto e con meno rompimenti di coglioni possibili. E questa risposta non gliela dà nessuno. Per questo poi ci sono incomprensioni. Bisogna abituarsi a dire la verità. Il mondo sarebbe un posto moooolto più chiaro. Non a livello della Contea della Terra di Mezzo, ma un posto migliore sicuramente.
Arrivederci».
Giorgio uscì dalla porta. Non poteva credere a ciò che aveva appena detto e fatto pochi istanti prima. Avrebbe avuto una valutazione molto negativa. Ma in fondo cosa gli importava, anche lui si era fatto un'idea negativa di Magrin e dell'azienda che rappresentava: 1‐1 palla al centro.
Chiamò un taxi con il cellulare. Aveva voglia di un'amatriciana e forse avrebbe parlato di Zeman con un altro tassista, questa volta sciogliendosi un po'. In fondo la vita gli sorrideva. Non aveva nessun anello del potere a corrodergli l'anima e le cupi nuvole di Mordor con il suo occhio che tutto vede erano lontane. In realtà l'Occhio era disinteressato ad uno come lui. E quella certezza non poteva che farlo sentire meravigliosamente bene.