il sogno e la memoria
Era solo un bisogno. Nulla da dimostrare.
Un bisogno profondo, istintivo.
Emy sognava di cambiare la propria vita per contribuire a migliorare il mondo.
Nella Polizia di Stato cercavano tremila esseri umani disposti a farlo.
Emilia Soleddu fu una di quelli.
20 settembre 1989
Trieste. Città con poco sole e troppo vento.
Scuola per allievi agenti della Polizia di Stato.
Settecento neoallievi varcano l'enorme portone bigio.
Settecento vite da forgiare, settecento sogni da realizzare, settecento destini da compiere.
Strano mondo quello delle scuole di formazione della polizia di Stato: un po' scuola, un po' villaggio turistico. Animatori‐docenti ti organizzano la giornata tra lezioni in aula ed esercitazioni. E come in tutti i villaggi, nascono e si frantumano amori, infinite storie si intrecciano creando solchi nuovi nel destino di ognuno.
Emy guardava quel mondo passarle accanto con lo sguardo consapevole di chi sa che fuori sarà tutto diverso.
Né peggiore, né migliore, solo diverso.
E per quel mondo Emy studiò; cercando di assimilare più nozioni possibili.
Poi, tutto questo, un giorno finì.
19 marzo 1990
Aria tesa.
Neo‐poliziotti, seduti su poltroncine rosse, guardano con occhi timorosi il palco. E attendono.
Non siamo in teatro ma ciò che verrà rappresentato sarà una tragedia. Qualcuno salirà sul palco e sotto la luce intimidatoria di un occhio di bue, inizierà un monologo. Una poesia senza rima e, per molti, senza speranza: le assegnazioni alle varie questure e reparti d' Italia.
Nessuno di questi sconosciuti con gli occhi fissi nel vuoto e le dita incrociate sa in quale luogo inizierà la propria carriera di poliziotto.
Ognuno di loro sogna di ritornare, con indosso una divisa scintillante blu, nella sua città natale.
Le luci della sala proiezioni si abbassano.
In un’aria dilatata dalla sofferenza dell’attesa, un uomo dai modi garbati come un rappresentante della folletto entra in scena, dardeggiando sprazzi di plastica simpatia. Dopo i ringraziamenti di rito, il responsabile dell'ufficio corsi con sadica lentezza inizia a enunciare uno dopo l'altro, in ordine alfabetico, una nenia di nomi e le sedi ad essi associati.
Il terrore soffoca l'intera platea.
Emy, rassegnata cerca di pensare ad altro, sa che il suo nome inevitabilmente verrà pronunciato quasi per ultimo, quindi intreccia le dita e aspetta.
EMILIA SOLEDDU, COMMISSARIATO MONDELLO, PALERMO.
Emy è pronta e senza lacrime. Qualsiasi sede andava bene.
Del resto da qualche parte doveva pur cominciare a cambiare il mondo.
Alla fine del monologo la tensione in platea si azzera.
Neo poliziotti esplodono in salvifici pianti di delusione o gioia.
In tutto quel trambusto, sul palco sale un cicisbeo dai capelli fulvi con indosso un armani color mavì che, conquistata l'attenzione riverente del pubblico con una frase spiritosa, pronunzia un breve discorso a tutti gli ex allievi sulla deontologia del poliziotto. Poi, dopo gli auguri di una promettente carriera, si allontana veloce.
Era il direttore della scuola.
Il corso è finito. Volato via, leggero e professionale. Tutto ciò che resta sono attimi di gioia e aggregazione conservati gelosamente nella mente e nel cuore di ognuno.
Emy dopo aver salutato tutti coloro che l'avevano accompagnata e sostenuta in quei sei mesi, prende il suo borsone blu di prussia e si avvia alla stazione.
Voilà.
Essere un agente di scorta non significa stare in panchina e venir usato solo quando ci sono esigenze di servizio.
Tutt'altro, fare la scorta significa mettere la propria vita al servizio di personalità dello Stato o della Giustizia che per le loro idee o per le loro azioni diventano scomodi alla criminalità organizzata. È un lavoro per uomini duri. Un lavoro che dà soddisfazioni ma che chiede in cambio enormi sacrifici e totale dedizione.
È un lavoro per uomini duri, dicevo, e pertanto un lavoro per maschi forti e palestrati.
Immaginatevi ora la faccia del dirigente dell'ufficio scorte della Questura di Palermo quando nel suo ufficio si presentò una ragazza. Piccola, robusta, con infiniti riccioli in testa, sguardo intelligente e un sorriso sincero. Commenti sarcastici e maldicenze aleggiavano nei corridoi, ma Emy in poco tempo dimostrò a tutti la sua personalità forte e determinata, condita da una giusta dose di incoscienza, dote comune a tutti i giovani intorno ai vent'anni.
19 luglio 1992
Già dalle prime ore del mattino Emy capì che sarebbe stata una giornata calda e umida. Un pensiero laido le provocò un brivido lungo la schiena, ma lei lo cacciò via pensando che finalmente dopo questa scorta sarebbe andata in ferie.
Sole, salsedine e notti ubriache sulle spiagge della sua nativa isola. Ma adesso bisognava muoversi, bisognava rimanere pronti e concentrati. Il giudice non era mai in ritardo.
Indossò abiti comodi, adagiò la sua pistola d'ordinanza nella fondina, mise pochi, essenziali effetti personali nella borsetta e si proiettò in strada.
L'auto del giudice davanti a loro procedeva ad una andatura noiosa come il paesaggio che sfrecciava ai lati del finestrino. Emy lo guardava con il viso serio e attento.
Come ultima arrivata, ad Emy era toccato sedersi dietro l'autista, sono regole non scritte a cui è meglio abituarsi da subito.
Certo che oggi fa proprio caldo!
Non ci pensare e tieni d'occhio la strada. Dove te ne vai di bello, Emy?
Giacomo era il caposcorta. Poteva sembrare un uomo burbero ma era tutta scena.
Quando?
Domani non vai in ferie?
Si, è vero. Faccio questa scorta e poi me ne vado a Iglesias.
Vai da sola?
Noo, vado con il mio ragazzo...e futuro marito!
Ehi, mica ci stavo provando. Io ce l'ho già una moglie e ho anche tre figli, e mi bastano e avanzano.
See, dite tutti così, e poi ci provate sempre.
Comunque se posso darti un consiglio, non ti sposare. Ascolta chi ci è già passato. Salvati, sei ancora in tempo.
Giacomo lo disse con un leggero sorriso. Era una frase che diceva sempre ai futuri sposi. Credeva che lo rendesse simpatico. Ma Emy era troppo tesa per coglierne l'arguzia e rispose:
Da cosa dovrei salvarmi, non capisco. Gianni è una persona dolcissima ed io gli voglio un mondo di bene.
Giacomo, hanno pagato gli arretrati che stavamo aspettando?
Andrea aveva capito che c'era un po' di tensione nell'aria.
Non pensare ai soldi. Tu non ci devi pensare, devi solo guidare!
Si Andrea li hanno pagati proprio ieri. Se non li pagavano, io come andavo in vacanza?
Emy aveva subito ricambiato il favore, incrociando gli occhi azzurri di Andrea nello specchietto retrovisore. Giacomo si aggiustò le sue ray‐ban su i suoi folti capelli neri e con uno sguardo severo e il tono di chi non vuole intromissioni, apostrofò:
Emy non gli dare corda e lascialo guidare. E tu, hai visto che l'auto del magistrato sta rallentando?
Ho visto, ho visto. Se proprio volete farmi guidare in pace, provate un po' a stare tutti zitti.
Erano appena entrati in Palermo. Perla del mediterraneo opacizzata da una criminalità spietata. Emy, adesso si sentiva più tranquilla, erano quasi giunti a destinazione, guardava fuori e si sentiva felice. Pensava alla grande occasione che aveva avuto nel far parte di questo nuovo gruppo operativo nato dopo la strage del giudice Falcone. Il destino gli aveva dato una grande opportunità e lei voleva sfruttarla appieno. Emy voleva andare lontano, sognava di diventare qualcuno, ma la voce di Giacomo la riportò di nuovo al presente.
E così dal commissariato Mondello ti hanno mandato al nucleo scorte...
Già.
Hai fatto un affare...
Lo so che questa non è una città facile...Purtroppo ho scelto di fare la poliziotta e non potevo certo tirarmi indietro.
Quando si prende una strada, non la si abbandona più...soprattutto quando si ha la passione per quello che si fa. Tu pensa che io ci sono venuto volontario al nucleo scorte.
Andrea intervenne con tono cauto senza distogliere lo sguardo dalla strada. Anche nel primo pomeriggio Palermo è una città caotica.
Emy aggiustandosi sul sedile chiese:
Dove stavi prima?
Alla questura di Trieste. Ma tutto quel vento mi aveva scocciato. Avevo bisogno di sole, di calore e di donne dalla pelle abbronzata.
Lo sai, un paio di giorni fa proprio sulla spiaggia di Mondello, ho salvato un bambino che stava annegando.
Si intromise Giacomo con puerile fierezza.
Lo hai raccontato cento volte, Giacomo.
Non sto parlando con te, Andrea. Tu devi guidare, devi guardare la strada e pensare solo a portare il culo a casa. Io lo raccontavo ad Emy. Allora...
Ehi, ho visto qualcosa luccicare sopra al castello!
Urlò Andrea, con il suo corpo emaciato allungato fuori dal finestrino. Sembrava un albero piegato dal vento.
Dove?
Lì sopra, Emy, vicino alla torre.
Saranno degli operai...
Forse, Andrea, o forse no.
Emy non stare a sentirlo, e tu Andrea pensa a parcheggiare. Tu invece di fare l'autista, apri quella bocca e dici solo caz...
20 luglio 1992
Cammino a passi lenti e cauti in questa notte senza luna, avvolto in una atmosfera brumosa e umida. Le carcasse annerite delle auto sembrano sfatte armature di gloriosi guerrieri che hanno dato la vita al loro paese in cambio di un sogno.
Sangue tutt'intorno.
Sono qui a vigilare macerie.
Guardo un orrore che ha l'odore della resa. Abitudini spezzate in un colpo solo, vite che sembravano eternamente monotone in pochi secondi si sono frantumate, dimostrando che tutto è costruito su equilibri precari. Tutto è fatto di polvere.
Polvere.
Mi guardo intorno, polvere.
Polvere che copre ogni cosa.
Polvere non testimonianza di un passato, ma di una assenza di futuro insidiato nel presente.
Sono notti lunghe, queste. Notti dove fuori non vedi nulla, solo macerie, e allora bisogna guardarsi dentro per trovare un senso a questa tragedia.
19 luglio 2009
Emilia Soleddu è stata la prima donna poliziotta a morire in servizio.
Triste primato.
Uccisa da persone, esseri umani che, sotto le divise, pensavano, ci fosse materiale sacrificabile.
Un po’ come le scorie dell'altoforno, perdite inevitabili messe in conto da menti lucide e folli.
Accusarono Cosa Nostra di quella strage che uccise cinque colleghi, ferito uno e, ovviamente, centrato il bersaglio: un giudice che aveva un sogno, semplice, neanche troppo originale se vogliamo: sognava un mondo migliore e più civile.
Il giudice è morto. Non il suo sogno.
Qualcun'altro la definì strage di Stato, sottintendendo una responsabilità morale da parte del Governo per l'accaduto.
Ma ciò che mi inquietò è che dietro queste sigle: Mafie, Stato, c'erano uomini. Esseri umani che decisero di uccidere altri esseri umani per il solo tornaconto personale.
Non fu per fame che uccisero. Non c'era vendetta, e neanche l'onore dietro quell'insano gesto, ma solo la paura di perdere una posizione sociale e un ufficio con una poltrona comoda e l'aria condizionata.
E così, quella mattina del 19 luglio 1992, su questo pianeta, in questa nazione che ha dato illustri natali, ormai troppo remoti e spesso dimenticati, c’era chi sapeva che sei giovani non avrebbero visto il sole tramontare. E non ha mosso un dito per evitarlo. Puro orrore.
Sono trascorsi diciassette anni e c’è ancora chi, come me, aspetta ancora che qualcuno dia un senso a quell'atto criminoso.
Tutto ciò che è rimasto di quel giorno sono nomi scolpiti su lapidi fredde sbiadite dal tempo, nomi impressi nei libri di scuola, ricorrenze da ricordare, dove politici di turno in giacca e cravatta, vomitano bugie corali da un palco improvvisato a rapaci giornalisti impegnati a fare il loro mestiere.
Politici il cui solo interesse è farsi riprendere dalle telecamere mentre spremono una lacrima a forza e la donano in nome del popolo italiano.
Un popolo, distratto da troppe notizie e nessuna informazione.
E' una notte lunga questa, una notte senza stelle e senza desideri.
Io ed Emy abbiamo frequentato lo stesso corso di allievi agenti della Polizia di Stato. Poi, un destino ostile ha voluto che Emy giungesse prematuramente in un mondo migliore ma senza possibilità di ritorno.
Ma a noi resta il suo ricordo e il suo sogno che il tempo non ha sbiadito.
E se io questa sera sono qui, genuflesso su questo foglio bianco, è per ricordare quel sogno e darne memoria.