Il Succhiasangue
Aveva preferito passare l'ultimo giorno di ottobre senza la compagnia degli amici, senza andare da casa in casa a chiedere il solito "dolcetto o scherzetto?". Eppure era già mascherato da succhiasangue, pronto per trovare il sangue adatto per rinforzarlo: ma se ne stava fermo. Rimase steso sul letto, con gli occhi concentrati sul soffitto che pareva opaco, il polso sinistro sulla fronte e la nuca sul cuscino. Ignorava le solite canzoncine giornaliere, quei rumori di casa e di strada che sentiva ventiquattro ore al giorno, quelle urla infantili, sangue non sufficiente per nutrirsi. Stava aspettando il momento giusto, agire nell'ombra, senza che nessuno lo vedesse. Pensava profondamente, parlava sottovoce, da solo, come se l'altra parte di se stesso fosse l'unica persona ad ascoltarlo. Sentiva la circolazione che passeggiava lentamente per il suo corpo, come se fosse un tragitto lungo e faticoso. Stava quasi per agire, ma era troppo tardi ormai: i succhiasangue, quelli veri, erano entrati nella sua stanza, l'avevano avvolto, bloccato, serrato, e gli avevano succhiato quella poca parte di sè che egli credeva fosse solo sudore, sudore che gli arrugginiva la pelle, la consumava, la finiva. La notte andò così: andarono per strada a spargere la cenere di quelli finti, e si tennero dentro tutto il sangue puro di quelli veri… e mentre stava per sorgere il Sole di un nuovo mese e di un nuovo giorno, i loro corpi andavano consumandosi per la strada, perdendosi tra l’asfalto freddo della notte appena passata.