Incontrando Alessandro
Leggendo “ALESSANDRO IL GRANDE” di Georges Radet, un libro, tra i tanti, che rischiavo di perdere, nella fase discendente della mia vita, mi è venuta a mente, quella mattina a Esfahan (Espadana), favolosa città iraniana; Ci si era appena affacciati dalla grande balconata reale dei Safavidi sulla Piazza Grande. Qui, 3000 anni prima, si giocava, a cavallo, il polo “inglese”. Un’antica miniatura, acquistata la sera precedente, in un negozietto buio e bituminoso, me ne aveva arricchita l’immaginazione. “Non pennello, ma setole di gatto” mi aveva precisato, un omino fasciato di stracci, mostrandomi i tratti accurati e microscopici del dipinto. La Moschea dello Scià, a destra della balconata, le sue cupole d’oro, riflettevano i raggi del sole, creando bagliori. Poi l’immergersi nell’oscuro suk, che contornava la piazza. Un budello nero, tra una folla di razze sconosciute, struscianti. Odori, sentori, aromi, profumi, suoni. Turisti, rari, se non coraggiosi. Oggetti esposti alla rinfusa, che richiamavano un’utilità agreste. Lo sguardo dei venditori, diffidente, curioso, penetrante. Tra montagne di oggetti, intravedo una mattonella che mi chiama. E’ una ceramica antica, sofferta, il fuoco ha lasciato tracce, non desiderate. Un giovane cavaliere sta per scoccare una freccia verso un cerbiatto. Ha una torsione elegante del corpo, sulla direzione del cavallo. Il suo vestito è elegante, ha macchie di colore, paiono fiori. Mi chiedo chi sarà mai raffigurato. Alle mie spalle un suono rauco di sillabe oscure, mi anticipa, in un rude inglese e con un pizzico di famigliarità inconsueta: “ Non vedete il colore chiaro della pelle? E’ Alessandro, a caccia!”