Incontri e trasgressioni sul set fotografico

Adulti, contenuto erotico esplicito.
Un estratto dal nostro libro "Nora: incontri e trasgressioni sul set fotografico", disponibile su Amazon.
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Trama:
Dopo una folle corsa notturna a bordo della sua Lamborghini Aventador, la splendida Nora torna per qualche giorno nella sua amata Cannes, dove è attesa sul set fotografico come testimonial di un’importantissima campagna pubblicitaria.
Qui, incontrerà un’intraprendente ma insospettabile ragazza e un fotografo di fama internazionale che non sapranno resistere alla sua prorompente e lussuriosa sensualità...
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Un velo di rossetto e un soffio di profumo, poi indosso la mia tuta in pelle nera, aderentissima, con gli stivali tacco sette coordinati, perché una Lamborghini da 780 cavalli non si guida in minigonna e tacchi a stiletto.
Mi è stata sufficiente quella volta con mio padre, nei pressi della mia ex abitazione in Costa Azzurra, presenti due Gendarmi guardoni, per imparare la lezione.
Mi osservo un’ultima volta allo specchio, quindi vado in camera dei bambini che dormono già da diverse ore. Li bacio e do loro una carezza. “Angioletti…” penso, anche se, quando sono svegli, sono due pesti, come lo fui io alla loro età, e forse lo sono, a mio modo, ancora adesso.
Scendo nel salone. La governante e la babysitter rimangono pietrificate nel vedere l’immagine di una moderna e splendida amazzone del ventunesimo secolo.
Impartisco loro le ultime disposizioni, le saluto e sono pronta per partire.
Destinazione: ancora una volta Cannes, dove sono attesa l’indomani per gli ultimi accordi sul set fotografico. Il giorno successivo, verrò fotografata per la nuova campagna pubblicitaria della Compagnia armatrice della LightStream, che mi ha voluta, per l’ennesima volta, come testimonial, anche se non sono più il loro comandante da circa cinque anni.
Apro l’enorme portiera ad ala di coleottero e mi accomodo sul sedile. L’auto mi accoglie accendendo tutte le luci di cortesia, buona parte del cruscotto e della plancia. Mi infilo i guanti senza dita da guida sicura, sollevo lo sportellino che protegge il tasto di accensione del motore e lo premo. Il bolide si sveglia completamente. Per fortuna, abito in una villa abbastanza isolata, altrimenti, a quest’ora, si sarebbe svegliato anche l’intero vicinato.
Il motore, al minimo, emette un suono molto cupo, abbastanza inquietante, che mi fa vibrare tutte le ossa del torace. Poi, diventa un urlo improvviso e agghiacciante, appena si sfiora l’acceleratore. Chiudo la portiera, innesto la prima marcia e percorro il vialetto al minimo, sperando di non aver svegliato i bambini.
Appena fuori dal cancello, mi fermo un attimo per caricare, dalla chiavetta USB, la playlist di musica che ho preparato nel pomeriggio. Durante il viaggio, dovrò selezionare i brani che mi accompagneranno durante le riprese fotografiche, mettendomi nel giusto stato d’animo e dandomi l’ispirazione.
Infine, imposto il navigatore che effettua il calcolo del percorso:
‐ Como – Cannes (Francia): 394 chilometri. “Ok.”
‐ Traffico: scorrevole. “Perfetto.”
‐ Durata prevista: 4 ore e 30 minuti. “Staremo a vedere!”
Mi immetto sulla stretta e tortuosa strada che da casa mia porta in paese.
Sempre, quando percorro questo tratto, sento il motore della ragazza che sembra soffrire, per non potersi sfogare subito. “Tranquilla, tra poco ti faccio divertire.” la rassicuro mentalmente.
Vi sembrerò pazza o fissata, ma veramente sono tutt’una con la mia Lambo: la sento come un’estensione del mio corpo, tanto che riesco a percepirne perfettamente ogni vibrazione e ad anticiparne ogni reazione. E lei mi risponde sempre sinceramente, anche se ha un carattere molto ruvido e, talvolta, parecchio scontroso. Ma mi piace proprio per questo: l’accomodante mansuetudine e la prevedibilità della mia Bentley mi annoiano da morire, come accade con la maggior parte degli uomini che incontro.
Arrivo al semaforo in centro del paese. È rosso e mi fermo.
Accampati sotto ad un lampione sul sagrato della chiesa, un gruppetto di ragazzi si volta a guardare il bolide. Uno di loro si stacca dagli altri e corre nella mia direzione, salutandomi a voce alta, volendosi far sentire dagli amici: “Ciao, Nora!”
Lo riconosco subito: è Francesco, il ragazzo che qualche mese fa ho soccorso per prima, facendogli il massaggio cardiaco e chiamando l’ambulanza, dopo una bruttissima caduta con lo scooter che lo aveva portato quasi in fin di vita.
Abbasso il finestrino sorridendogli: “Ciao, Francesco. Come stai? Ti sei ripreso?”
“Si, grazie. Tu stai bene?”
“A meraviglia, caro.”
“Bellissima macchina! Dove stai andando?”
“Viaggio di lavoro, purtroppo.” Scatta il verde, ma mi attardo ancora un po’ con lui: “Come sta la tua mamma?”
“Adesso che si è ripresa dallo spavento, sta bene. Non perde occasione di dirmi che, se sono vivo, lo devo solamente a te e, tutte le domeniche, va in chiesa e prega per te.”
Gli sorrido ancora, senza riuscire ad evitare che una lacrima di commozione solchi la mia guancia destra: “Salutamela caramente. Dille che, se ha bisogno di qualcosa, io ci sono sempre.”
“Grazie, Nora. Fai buon viaggio!”
Ricambio il saluto mandandogli un bacio con la mano e chiudo il finestrino. È tornato il rosso, così mi soffermo ad osservare il gruppetto: Francesco sta raggiungendo i suoi amici con l’aria tronfia di quello che è in confidenza con una strafica. I ragazzi sono tutti gasati di avere nel loro gruppo uno che ha simili conoscenze e, tra le ragazze, un paio dimostrano ammirazione per lui, mentre altre sembrano essere meno entusiaste e un po’ gelose. Lo capisco degli sguardi che rivolgono nella mia direzione.
Finalmente, il semaforo torna verde. Riparto in direzione dell’ingresso “Lomazzo sud” dell’autostrada, a meno di tre chilometri.
Percorro la rampa con prudenza. Al suo termine, guardo attentamente negli specchietti: non arriva nessuno. Via libera!
Affondo il piede sull’acceleratore e la ragazza scatta furiosamente. Con il sequenziale, le cambiate entrano brutali come fucilate. Dopo ognuna, la spinta del motore mi fa sprofondare nel sedile. La percezione di quella potenza riesce perfino a darmi un piacere sessuale.
Amo immensamente guidare da sola, nella notte. Con la musica giusta, mi sembra di vivere in una dimensione diversa, tutta mia. Mi sento libera, soprattutto spiritualmente. Mi lascio trasportare dai pensieri più belli e dalla fantasia. Mi pare che, in quegli istanti, le soluzioni ai problemi si trovino molto più facilmente e il tempo vola.
La spia del carburante si accende: bisogna dar da bere alla ragazza, e anche velocemente.
In pochi minuti, arrivo all’area di servizio di Lainate. C’è troppa confusione nel parcheggio davanti al bar e temo per l’incolumità della mia macchina. Non fa niente, il caffè lo prenderò più avanti. Proseguo verso l’area del rifornimento carburanti.
Arresto il motore e, dallo specchietto, scorgo il gestore avvicinarsi. “Facciamo il pieno, dottò?”
Sollevo lo sportello. Mi vede e fa un salto indietro con gli occhi fuori dalle orbite. “Scusi, ehm… Il pieno, signorina?” balbetta intimidito.
“Certamente, grazie.” Sorrido compiaciuta per il “signorina”. Lo vedo indugiare, così scendo e gli indico dove si trova lo sportellino del tappo carburante. Mentre prosegue l’erogazione, guarda un po’ l’auto, poi mi squadra un paio di volte. Infine, per rompere l’imbarazzato silenzio, dice: “Certo che se ne vedono poche di donne alla guida di mostri del genere…”
Non so cosa rispondergli che non sia una frase di circostanza, così mi limito a sorridergli nuovamente. Pago e mi augura buon viaggio. Rimane a guardarmi mentre risalgo a bordo e riparto.
Imbocco la Tangenziale ovest che percorro nel limite imposto dei 90 km/h, per evitare di incappare nei frequenti controlli. Arrivo allo svincolo per Genova. La A7 è molto meno battuta dalle pattuglie e, questa sera, è quasi deserta. Bene, possiamo correre un po’.
Accelero, arrivo a 220 e mi ci mantengo, in un ottimo compromesso tra velocità e non eccessiva concentrazione, così posso iniziare ad ascoltare la musica con maggiore attenzione e pensare alle pose per le foto.
Le ombre delle campagne attraversate dall’autostrada sfilano veloci, dietro ai vetri che riflettono le decine di luci interne, dandomi l’impressione di essere immersa in un firmamento artificiale.
In poco meno di venti minuti, sono all’altezza di Tortona, dove, a farmi rallentare, trovo una BMW inchiodata a 180 km/h sulla corsia di sorpasso, nonostante non ci sia l’ombra di altri veicoli nel raggio di chilometri.
Mi accodo pazientemente. Macché! Dopo ben due minuti, non mi ha ancora dato strada. Lampeggio e, come risposta, ottengo che la BMW accelera. Siamo a 220, la velocità che voglio mantenere, così mi sposto nella corsia centrale. Si sposta anche lui e inizia a rallentare.
“Che palle!” penso, “Ho trovato il coglione che vuole farsi bastonare.” Faccio per superarlo, spostandomi nuovamente sulla corsia di sorpasso, ma lui accelera e mi si para ancora davanti.
“Cazzo! L’autostrada è quasi deserta e l’unico che incontro è un pirla!”
Rallento di parecchio e la BMW si distanzia di almeno trecento metri.
“Pensi di avere vinto, coglione? Stai a vedere…” Scalo due marce e affondo il pedale: il motore urla.
220, 250, 280, 300… Quando lo sorpasso, sono a 335 km/h. La sagoma della BMW mi schizza a fianco come se fosse ferma. Vedo nello specchietto che mi lampeggia.
“Che cazzo vuoi adesso?” Lo ignoro, imbocco la diramazione per Savona e me ne dimentico. Torno a 220, alla mia musica e ai miei pensieri.
Quando il tracciato inizia a diventare più tortuoso, rallento ancora. Le gallerie iniziano a farsi più frequenti, come i sobbalzi provocati dalle giunzioni dei viadotti.
Ecco in lontananza il mare, sul quale si riflette una splendida luna piena. Vengo pervasa da una leggera nostalgia e mi tornano i ricordi di quando, prima che la mia vita trovasse il suo sbocco inaspettato ma sperato, rimanevo per ore, di notte, sulla terrazza della mia cabina ad osservare l’oceano e la candida scia della LightStream che ne spezzava il nero profondo.
Ho voglia di un bel caffè e di fare pipì. Mi fermerò dopo Savona: mancano poco più di una quarantina di chilometri, posso resistere e darò nuovamente da “bere” alla ragazza.
All’Autogrill di Valeggia c’è un po’ di movimento. Scruto se trovo un parcheggio sicuro e… Toh! C’è una pattuglia della Stradale, ferma vicino all’ingresso del bar: ottimo, ma non ci sono stalli liberi.
I due agenti, fermi a fianco della loro auto di servizio, guardano nella mia direzione, si scambiano una battuta e uno di loro mi fa cenno di avvicinarmi. Mi fermo dietro a loro, spengo il motore e scendo.
Anche loro rimangono stupiti nel vedermi. Sorrido, vado loro incontro e faccio scintillare gli occhi, chiedendo: “Vi dispiace se la lascio qui per cinque minuti? Il tempo di andare in bagno e prendere un caffè…”
“Assolutamente… La lasci pure. Restiamo qui fino a quando non torna.”
“Grazie, gentilissimi!” rispondo, mentre mi incammino verso l’ingresso del bar. Sento addosso i loro occhi che mi stanno sbranando di desiderio.
Vado in bagno, poi rientro al bar e tutti i presenti sono voltati verso di me. Rimango indifferente e ordino tre caffè da asporto.
Torno alla mia auto, mi avvicino agli agenti e porgo loro due bicchierini. Si guardano increduli, mi sorridono e rimaniamo qualche minuto a chiacchierare, mentre sorseggiamo i caffè. Si complimentano più per il mio aspetto che per la mia auto. Molto discretamente, mi fanno qualche domanda sul mio lavoro e sulla mia destinazione.
“Di auto come questa ne vediamo spesso, dirette a Montecarlo o sulla Costa Azzurra, ma nessuna guidata da una donna. Di solito, le donne stanno a fianco di qualche stronzo pieno di boria e non fiatano…”
“Questione di gusti,” replico, “io non ci riuscirei proprio!” Ridono. Mi piacerebbe fermarmi ancora, ma non voglio allungare la mia tabella di marcia. Li saluto. Vogliono stringermi la mano e ricambio volentieri.
Salgo in macchina, metto in moto e abbasso il finestrino. Il più giovane degli agenti mi dice: “Aspetti che la faccio uscire io.” Prende la paletta che tiene infilata nello stivale, si dirige verso il centro del piazzale e segnala ad un paio di auto e ad un camper di fermarsi. Il collega mi fa segno che posso partire tranquillamente, così inserisco la prima, faccio una mezza inversione e mi porto verso l’area del rifornimento. C’è il self‐service attivo: meglio, così non devo interagire con un altro gestore invadente.
La prima parte del viaggio è volata. Ora il navigatore dice:
‐ 108 Km a Ventimiglia
‐ 174 Km a Cannes
‐ Tempo stimato all’arrivo: 2 ore e 11 min., “Seeè!”
Dopo un’ora e trentacinque, sono davanti all’Hotel che mi è stato prenotato dalla Produzione. Mi avvicino all’ingresso e mi viene incontro un tizio in livrea bordeaux e berretto coordinato. Sembra uno della banda musicale del mio paese. Abbasso il finestrino e mi saluta. Ovviamente, rimane interdetto alla mia vista.
“Ho una prenotazione all’hotel. Mi indica l’ingresso del garage, cortesemente?”
Mi spiega che devo imboccare la strada adiacente la costruzione, poi aggiunge: “Se lo desidera, posso portargliela io.”
“Neanche per sogno. Nessuno tocca la mia ragazza!” gli rispondo fredda, nel mio francese perfetto.
Chiudo il finestrino e mi avvio nella direzione che mi ha indicato. Attendo qualche minuto, prima che si apra la saracinesca d’ingresso al garage sotterraneo. Sono costretta ad azionare il sistema di sollevamento idraulico del muso, per evitare che lo spoiler anteriore tocchi il cordolo del marciapiede, sebbene sia smussato.
L’unico difetto di questa macchina lo si riscontra in questi frangenti, dove la ridottissima visuale è nemica di rampe e passaggi stretti, e a me viene sempre il patema d’animo, per il timore di raschiare da qualche parte.
“Fiuuu… Anche questa volta è andata bene.”
Terminata la rampa, in fondo all’ampio garage, scorgo tre persone: quello più elegante, di mezz’età, dev’essere il direttore dell’hotel, l’altro più giovane… Boh… Poi c’è un inserviente in divisa, che si tappa le orecchie a causa del rimbombo assordante che il motore della Lambo produce nell’ambiente chiuso.
“Comitato d’accoglienza al gran completo.” penso. Il valletto sul piazzale avrà certamente comunicato che razza di gnocca stava arrivando…
Mi fermo ad un paio di metri da loro ma lascio acceso il motore.
Il tizio, di cui prima non avevo compreso la presenza, si avvicina e mi dice che avrebbe effettuato lui il parcheggio. Come risposta, gli basta la mia occhiata algida e inferocita, così non aggiunge altro, abbassa lo sguardo e mi indica dove sistemare la macchina.
Faccio scontare a tutti e tre l’impertinenza dell’offerta, dando un leggero colpo di acceleratore che fa emettere un urlo acuto al motore. Ora, le orecchie se le sono tappate tutti e tre. “Ben vi sta!”
Molto disinvoltamente, effettuo le poche manovre necessarie a parcheggiare. Spengo il motore, apro lo sportello e scendo, apparendo a loro in tutto il mio splendore di femmina. Non si aspettavano che fossi così alta, tanto che il mio culo arriva all’altezza del tetto della macchina.
Recupero il piccolo trolley dal bagagliaio e la valigia più grande dal sedile del passeggero. Le consegno al ragazzo in divisa. Vorrebbe portarmi anche il beauty ma rifiuto. “Non ci sono dentro solo creme e cosmetici.” penso.
Mi stanno letteralmente divorando con gli occhi.
Il ‘parcheggiatore’, o tale gli sarebbe piaciuto essere con la mia auto, recupera un paio di piedistalli, li posiziona agli angoli della Lambo e ne estrae le fettucce avvolgibili, che impediranno che qualcuno le si avvicini troppo.
Il direttore mi invita a seguirli verso l’ascensore. Arriviamo al piano della reception, dove il concierge mi saluta con un mezzo inchino e mi consegna il badge che aprirà la porta della mia suite. I bagagli mi saranno recapitati a minuti. Vengo salutata ossequiosamente da tutti e quattro e ritorno nell’ascensore. Mentre si chiudono le porte, sono ancora lì a guardarmi imbambolati.
La suite è splendida e, certamente, molto al di sopra delle mie aspettative.
Appoggio la borsetta e il beauty, mi guardo un attimo intorno, poi mando tre messaggi. Il primo a casa, alla governante, se mai fosse ancora alzata a quest’ora, avvisandola che sono arrivata a destinazione. Il secondo, al presidente della Compagnia, ringraziandolo per la splendida sistemazione in hotel. Il terzo, al direttore di produzione, per informarlo del mio arrivo e confermare l’appuntamento dell’indomani, nel primo pomeriggio.
Ora è il momento di rilassarmi. Accendo l’impianto audio e imposto il canale “Lounge top hits”, apro l’acqua della Jacuzzi e scelgo, nella selezione di bagnoschiuma offerti dalla dotazione di cortesia, quello che mi farà compagnia questa sera.
Mi sfilo stivali, tuta e biancheria. Abbasso le luci, accendo un paio di candele e mi immergo nell’acqua tiepida e profumata.
Lascio che la mia mente si liberi da ogni pensiero e che le bolle mi massaggino dolcemente. Mi sento splendidamente e ripenso al viaggio appena terminato, ridendo al ricordo di tutte le facce stupite che ho collezionato questa notte.
Rivedo la mia immagine nello specchio di casa mia e mi viene istintivo portarmi una mano sulla passera che inizio ad accarezzare sapientemente. Mi immedesimo nelle menti e nei desideri lussuriosi di tutti quegli uomini che questa sera mi hanno involontariamente esternato la loro bramosia.
Due dita si fanno strada facilmente nella mia vagina mentre, con il pollice, sevizio il mio clitoride e, con il mignolo, non trascuro il buchino posteriore.
Mi faccio tornare alla mente alcuni dei ricordi più eccitanti di sesso che ho vissuto recentemente, prima fra tutte la scopata dell’altro giorno con il mio Amore. Al pensiero del calore del suo sperma nel mio utero, vengo in maniera devastante e incontrollata. Le contrazioni del mio ventre sembrano non voler avere termine, mentre la marea erotica vola più veloce della mia Lambo.
La parentesi piccante ha contribuito a farmi smaltire tutta l’adrenalina che avevo accumulato durante il viaggio, accompagnandomi in un piacevole stato di serenità e appagamento.
Resto nella vasca ancora qualche minuto, poi esco, mi asciugo velocemente e mi infilo nel morbido ed enorme lettone, dove mi addormento subito.

Continua...