Io dormo coi piedi di fuori

Tutto cominciò alla fine della terza media. Fui rimandata in matematica e l'insegnante si interessò a me e volle sapere quali scuole avrei frequentato dopo. Io le dissi che avrei frequentato il conservatorio. A settembre mi promosse. Il professore di pianoforte mi aveva illusa di poter entrare direttamente al terzo anno, dopo aver sostenuto un esame,ed io ci avevo creduto. Mi affidò ad un'altra insegnante la quale come mi vide posare le mani sul piano, inorridì. Qui bisogna cominciare tutto daccapo, sentenziò, dalla posizione delle mani. Seguì un'estate da incubo che mi fece passare ogni voglia di entrare in conservatorio. Non che io avessi tanta volontà, ma quella poca sparì a forza di rimproveri e correzioni. Abbandonai il progetto e mi iscrissi a ragioneria tanto per accontentare la famiglia che desiderava vedermi almeno diplomata. Una bestialità, iscrivermi a ragioneria, me lo disse chiaramente la professoressa di matematica delle medie che incontrai un giorno per strada. E aggiunse anche che ero un'incosciente, che lei mi aveva promossa solo perché sapeva avrei studiato il pianoforte, altrimenti mi avrebbe bocciata. Mi presi l'ennesima lavata di testa e passai oltre. Diventando adulta decisi che avevo bisogno di educare la mia volontà. Sarei stata inflessibile e così, visto che le lingue straniere mi stavano proprio sullo stomaco, decisi di frequentare un corso di inglese in una scuola di Torino molto rinomata e altrettanto costosa. Durante la pausa pranzo me ne andavo dall'ufficio e frequentavo il corso. Non ricordo, ma forse ci andai cinque volte, dopodiché continuai a pagare, ma non frequentai più. Pensai che dopotutto, un tentativo l'avevo fatto, ed era già un buon risultato. Passarono altri anni e mi riacchiappò la crisi: dovevo educare la mia volontà. Così, rapidamente feci un elenco delle attività che non potevo proprio sopportare, e una più di tutte era quella davvero educativa. Dovevo imparare a cucire, niente era più incompatibile con me del cucito, e quindi l'autoeducazione sarebbe stata ancora più meritoria. Mi iscrissi ad un corso di taglio e cucito, mi comperai tutto l'occorrente, e cominciai a frequentare, decisa ad arrivare fino alla fine. La fine arrivò presto, non del corso, ma della mia frequenza. Non andava neppure tanto male, avevo imparato a tagliare anche se non sapevo cosa stessi tagliando perciò quando l'insegnante mi mostrava come unire il davanti o il dietro degli indumenti, rimanevo sempre sorpresa nel constatare che io avrei fatto tutto diversamente. Amavo solo i punti molli. Che meraviglia i punti molli! Così lunghi, morbidi, mi piaceva il fruscio del filo spesso da imbastire quando attraversava il tessuto. Io li lasciavo ancora più molli, ricami rotondi che si adagiavano languidamente sulla stoffa, e restavo incantata a guardarli. Li trovavo bellissimi e odiavo il momento in cui poi venivano tagliati, e alla fine eliminati. Ma venne il momento della macchina per cucire. Un dramma. In pochi minuti riuscii a troncare diversi aghi. Capii in fretta che per me conciliare il movimento dei piedi con quello delle mani, accompagnare il tessuto sotto quella specie di mostricciattolo che faceva tutto per conto suo e poi si rompeva pure, era un'impresa impossibile. Più l' insegnante si spazientiva, più io sudavo e perdevo il controllo dei movimenti che diventavano una specie di ballo di San Vito. La macchina non ebbe problemi ad avere la meglio su di me. Quando si dice "vincere facile"! Quel giorno decisi che il mio corso finiva lì, e uscendo dalla scuola, mi sentii come quando da bambina uscivo dalla chiesa dopo essermi confessata. Libera e leggera. Naturalmente il corso me lo dovetti pagare tutto ugualmente. Passarono altri anni e decisi di seguire un corso di assistente sanitaria, questa volta non per autoeducarmi, ma perché mi interessava. Lo frequentai fino alla fine e diedi pure l'esame per poter accedere al diplomino. Gli esami per me sono sempre stati angoscianti: sudore, dita tremanti, amnesia, blocco della parola con balbettio, in alcuni casi addirittura singhiozzo. Quando entrai nella stanza, due insegnanti erano seduti dietro la scrivania, ed io mi resi subito conto che l'età non aveva affatto risolto i miei problemi con gli esami. Forse per mettermi a mio agio uno dei due mi sorrise e disse: intanto ci dica qualcosa di lei.Panico assoluto: in un attimo mi passarono per la mente tutti i fallimenti: pianoforte, inglese, cucito, studi superiori interrotti, e altre amenità.
I due mi guardavano, in attesa. Cominciai a sentire il sudore sulla fronte, il calore sul viso, segno di un rossore ormai violaceo che certamente mi colorava la faccia fino alla radice dei capelli. Dovevo dire qualcosa, assolutamente dire qualcosa, e dissi qualcosa.
‐Io dormo coi piedi di fuori.