Io, il mare e i sette anni nuovi

Come si inizia: Si arriva fino alla cima dopo dolorose e faticose scalate. Dopo esser caduti e feriti, dopo aver calmato il sangue che sgorga dalle ferite, e della benda insanguinata se n’è fatto il proprio vessillo, ti fermi a guardare la bellezza dal piccolo spazio sulla cima, e vivi la meraviglia. Inizi l’istante che si dilata e che contiene ogni pensiero fermo, immagini senza suono sfilano, e abbracciato dal senso di pace, guardi il silenzio nel silenzio.

Ogni momento di vita è davanti ai tuoi occhi e si lascia guardare, scrutare, capire.

E tu, buon osservatore guardi, guardi te stesso nella luce della cima e ti capisci. Capisci te e la tua vita. Ma dove inizia il tremore del luogo dove sei poggiata?

Capitolo I

Io, il mare e i sette anni nuovi

A. D. 2007

Cancellavo con i passi l’asfalto che correva dietro me. Turista, mi ero persa, nella periferia della città dell’Arte, nel silenzio di un mezzogiorno di domenica. Palazzi chiari di sole, strade larghe come uno stretto abbraccio; mi fermai stupita del mio stupore e mi sentii leggera, aria dell’aria che respiravo e che mi avvolse. Guardai quel paradiso di quotidiano nascosto alla memoria. Si aprì ai miei occhi curiosi il frontespizio di una chiesa in tutto il suo splendore, lontana dall’eleganza rinascimentale, liscia e chiara, semplice, dai muri color paglia che sembravano pennellate di luce. Entrai.
Sentii il bisogno di far parte del silenzio sacro di quel luogo, di quelle fiammelle di candele che come mani di un pittore giocoso disegnavano sagome ballerine nella morbida penombra così piacevole e contrastante con la strada accecata dal sole dietro la grande porta. Mi sentii fusa nei colori bruni della chiesa e nel profumo di incenso appena percepibile, mentre da lontano mi raggiungeva un canto che pareva innalzarsi fino a superare il cielo.

Io, mi sentii in quel canto e come se volassi negli stessi cieli, mi vidi scendere e posarmi sugli scuri pavimenti di San Miniato. L’istante era lo stesso.
Gradini
Avevo salito tutti quei gradini arrivando col fiatone al portone, il sole accecante lambiva la scalinata facendola sembrare una gialla collina sbiadita dalla luce, e assonnata scivolava sulla città, l’interno per contro era fresco e piacevolmente ombroso, lo stesso profumo di incenso, lo stesso canto lontano, la stessa luce tremula e fioca di candele votive. La stessa aria disegnata dai giochi di luce. Era Firenze, era il mio viaggio alla ricerca del bello attraverso cui poi, poter vedere me stessa.
Con un sorriso mesto pensai all’Ara Coeli, ai suoi tantissimi gradini a picco che avevano fatto urlare i muscoli delle mie gambe per poi ripagarmi con l’incanto che fa vivere ogni meraviglia che ci concede di farne parte. Tanti gradini antichi da salire, a Firenze come a Roma, come nella vita.
Salire i propri gradini antichi e poi dall’alto, guardare.
Mi abbandonai al presente. Circondata dal bello creato nel tempo grazie alla capricciosa intuizione di grandi artisti in luoghi diversi, mi spinsi nel mercato di San Lorenzo lasciando rotolare il mio corpo sballottato da altri corpi distratti, ubriacata da voci dai suoni ridenti e ondulate in lingue sconosciute.
Che strano, cercarsi tra la folla, nelle grandi città dove a ogni sguardo, un’opera d’arte si impone altera fra gente che frettolosa zampetta urtandosi. Suoni di clacson rabbiosi, visi deformati dalla tensione, bocche in continuo movimento, spalancate, tristi, ridenti. Voci, voci concitate, voci e rumori di città. Cercarsi tra la folla… forse che i rumori sono tanto forti da non concedere alla mente di formulare un qualsiasi pensiero, forse che il caos esterno ghiacci il proprio e restringendosi conceda spazio all’anima. È così che il vagare per la città tra frotte di turisti, sentendosi un giapponese fra giapponesi col naso all’insù a rimirare e fotografare ogni angolo partorito dall’Arte, può essere illuminante: il frastuono resta sospeso attorno al capo mentre tutto l’essere viene inondato dalla bellezza, il bello dilaga, come acqua pura, come restare immersi in un lago di montagna, come lasciarsi abbracciare dalle colline toscane. E abbracciarle. E si annulla ogni moto dell’anima confusa.
Ritorno nel rifugio della chiesa e guardo il silenzio che cade sulla città insonnolita della domenica mattina, in silenzio; e mi guardo dentro, nel mio silenzio, poi mi segue sulla strada allagata di sole e mi rende l’eco ovattata dei miei passi solitari in una delicata sinfonia.

 ....