Ipotesi di miracolo
Una mattina come tante. La voglia di scrollarsi quegli anni, che ti zavorrano. Comandi alla schiena di star dritta, il passo, lo vuoi spedito. Il tuo vecchio ambulatorio ti aspetta, fiducioso. Il sole indora i Vergini, un anfiteatro di storia. Il mercato vende colori e profumi. Le prime massaie, attente, toccano ogni cosa. La corrente degli extracomunitari passa veloce, per non perdere bus o metro, diretta a Foria. Lassù, all’ultimo piano del palazzo del Principe di Traetta, la veranda del boss. Di mattina osserva il suo reame. Oggi non c’è. I miei occhi volano tra uomini e cose. Il traffico di auto e motorini è solido. Avverto improvvisamente una sensazione di disagio. Qualcosa sta succedendo. Cos’è? Il posteriore di quell’auto, in retromarcia si avvicina troppo a quel bambinello con cartellina, che si avvia per un vicolo laterale, S.Maria del Pozzo, ignorando il sopraggiungere dell’auto. Ora è un film al rallentatore, sequenze interminabili, in frazioni di secondi: l’auto continua la sua retromarcia, tocca alle spalle il bimbo inconsapevole. Il bambino cade in avanti, per la spinta, e scompare sotto le ruote posteriori. Un urlo di donna squarcia la scena. Giuro di aver sentito il rumore delle ossa schiacciate. Vedo il lago di sangue. Il mio cuore esplode in tachicardia. Possibile che sto fuggendo, io medico! Non voglio vederlo. Avverto il modo orrendo di essere padre. Altri urli si susseguono. La gente mi scansa con difficoltà, nel loro curioso accorrere. Il giorno dopo, mi soffermo presso un negoziante, vicino al punto dell’investimento. –“Del bimbo che ne è stato?”‐ Il cuore riprende a scalpitare. Lui, calmo, quasi incurante dell’accaduto:‐“ Ah! Il bimbo, dite? Non si è fatto nulla. Capirete, il telaio dell’auto era molto alto e c’è passata sopra, senza neanche un graffio”‐.