Isabella, Tempo e Follia
Avevo intenzione di scrivere parole, di dare sfogo al cuore nel suo momento più delicato, la notte.
Ma non tutto mi uscì o, se proprio vogliamo, dovevo tenere conto che quello che frenava non era di certo la mente ma la mano stessa.
Dovevo aspettarmi di pensare che andando contromano qualcosa mi poteva ferire.
Mi sono fatto prendere dalla frenesia del cuore (oh, menzognero cuore!) e dalla follia e dal tempo:
Oh, no, dannata follia! Tu che accechi le nostre anime dandole in pasto alla reale virtù del tempo; tu che con la tua cotanta bellezza risplendi nera e furtiva nelle menti di noi giovani mortali, tu!
Oh, sì, tu, follia! Tu che hai mosso le brutalità e l'ingegno di cui la terra si macchia giorno per giorno, oh, sì, ti prego! Risparmiaci il tedioso momento in cui tu, sublime, esplodi nella mente e pervadi le membra arrivando alla mia mano che commette inganni, prosa e dolore per chi, a quel tempo, di follia mi cibava.
Tempo, maledetto tempo. Tu che togli piaceri e malori, oh, tempo!
Se t'ingannassero, tu, troveresti comunque il tempo di capirlo! E fingere che non esisti è come ripudiare che il mio stesso corpo abbia fine! E se pure credessi che tu fossi nullo, ci sarebbe comunque qualcosa che di preciso a te ci ricondurrebbe.
Oh tempo, maledetto tempo! Vittima e carnefice di te siamo e se ci fosse una terra senza tempo, uguale, noi lo inventeremmo! Perchè senza di te, amico tempo, tutto può sembrare più bello ma noi sappiamo quanto brutto può essere il non averti accanto e se le lunghe distese di erbe e di fiori, e il vivere e morire sarebbe nullo e nullo fosse tutto questo, allora noi non esisteremo.
Oh tempo, maledetto tempo, con l'aprire e il chiuder delle ciglia è come se rintoccassimo il primo e l'ultimo tocco di te stesso, in balia delle onde nere che contro l’anima si scagliano punendo la parte più pura per sino nel cuore dell’oceano!
Isabella, di certo non son qui a chiedere perdono; né a te ne ad altri, ma solo a me stesso. La volontà è infida e la realtà ancor di più; e tu sottratta al canto mio giovane, non m’appari che più bella e maestosa ti mostri con mera finzione.
E in alto si eleva il canto, il grido sordo del disperato chiarore del cielo, che con la mano dico addio a quei sogni di agonie e di puro impero.