Jammin' with memories
L'estate che finisce.
Te ne accorgi una mattina ai primi refoli di vento che ti infreddoliscono muovendo le foglie beige che iniziano a riempire la strada.
Non so, ma questo tempo finisce ogni volta per farmi venire voglia di ballate dei Pearl Jam.
Ti tornano in mente certe estati... e i juke‐box.
I juke‐box.
Dove diavolo sono finiti i juke‐box?
Come fa a essere estate senza un juke‐box che suona fuori da un bar?
Se faccio caso a quello che passava nei juke‐box durante quelle estati lunghissime, mi accorgo che sono state segnate in una parte considerevole da una marea di tormentoni e musica che ora verrebbe considerata trash, insieme agli immancabili classici epocali.
Questo finché arrivò anche per me quel momento dell'adolescenza in cui invece di subire la colonna sonora della tua estate, te la scegli.
Come quell'estate, la mia prima al Ginnasio.
Poteva capitare di sentire in giro cose come "Coimbra Portugal" (peropappero), di sicuro non era un gran momento per il rock.
Ma io un bel giorno ero rimasto folgorato dal Boss, o meglio da quella valanga torrenziale di grinta, rabbia e suoni muscolari che era "Born in the USA": ascoltavo quel disco di continuo.
Così una mattina di giugno, appena iniziate le vacanze estive, finii per comperare la cassetta (già...) di "Born to run".
Lasciamo stare la mitologia, non fu amore a prima vista: il suono era terribilmente diverso da quello degli anni Ottanta, suonava vecchissimo, anche la voce era molto diversa.
Non sapevo che farne, ma dopo la delusione iniziale iniziai a usarlo come sottofondo mentre disegnavo.
E un bel giorno accadde la magia.
La corsa dell'album è quasi finita, siamo all'ultimo pezzo, e lui sussurra: "...in Harlem late last night".
In quei due o tre secondi non sta cantando, ti sta bisbigliando un segreto all'orecchio, quasi come se gli pesasse dirtelo, ti fa una confessione delicata in un soffio...
BAM!
Preso in fronte.
Potrebbe ruggirtelo, ma te lo mormora appena.
Ti fa sentire complice della storia che ti sta raccontando: ci entri, e a quel punto hai altra scelta se non essere della banda?
E così quelle due cassette diventarono le mie inseparabili compagne di viaggio, insieme ad altre ma in cima a tutte.
E qui si chiude il cerchio: quel disco mi parlava di tutto quello che possono promettere la notte e l'estate a un adolescente.
L'ascoltavo di notte nelle cuffie, mentre dalla finestra si sentivano i grilli, le onde, le voci dei ragazzi che facevano il bagno di notte, le risate delle ragazze che facevano festa in spiaggia.
Non esiste una colonna sonora migliore per quei suoni che sentivo venire dal lungomare.
Era vita, profumata come la brezza marina notturna, sapeva di corse in auto coi finestrini abbassati, sesso, balli sulla spiaggia, afa, albe assolate in casette di legno americane, auto cromate con le fiamme sulle fiancate, giacche di pelle, atmosfere fra James Dean e i Guerrieri della notte... tutto così epico e grandioso, così diverso dalla musica usa&getta che si sentiva in giro!
E poi quell'assolo di sax: enorme come l'esistenza, gigantesco e maestoso ma al tempo stesso intimo e soul fino al midollo: era come salire sull'aliante di Iena Plissken e planare sui grattacieli, e sentire il suono dell'anima della città.
Ancora oggi se dovessi scegliere le due cose più emozionanti della musica degli anni Settanta, una sarebbe sicuramente il sax di "Jungleland", (l'altra sceglietevela da voi, io un'idea ce l'ho, ma sarà per un'altra volta).
Ti cambia la vita.
E naturalmente me la cambiò.
Se torno più indietro nel tempo però c’era qualcos’altro che ha accompagnato un’estate (più di una) di molti anni prima, piantata com’era a ripetizione nell’autoradio di famiglia, e poi gli anni successivi, segnando la mia infanzia con i suoi suoni.
E cominciava con il rumore della risacca.
E poi un mondo di parole strane, intriganti anche se incomprensibili per un bambino.
Ma lui lo conoscevo.
Quel minatore Bruno che tornava.
E torna ancora ogni volta che la ascolto, perché vedete, quando ho dovuto pensare ad una persona forte, che ti dia l'idea della solidità e dell’affidabilità, in ogni senso, mi è sempre venuto in mente Bruno.
Incontriamo molte persone nel corso della vita: alcune scorrono senza lasciare quasi ricordo, altre che abbiamo la fortuna di conoscere ci sono d'esempio, ci illuminano la strada come fari; alcune sono come querce: forti, positive, piene di un’energia generosa e instancabile, che ci mostrano come al mondo si dovrebbe stare.
Bruno per me, per noi, probabilmente era questo e tanto altro ancora.
Nessuno di noi potrebbe mai scordare le lunghe, spensierate, meravigliose estati in cui le nostre famiglie erano una grande e gioiosa comune di bimbi, genitori, nonni e parenti vari, tutti insieme dall'alba al tramonto e oltre.
Ad uno scricciolo come me metteva quasi soggezione tant'era grande, sempre in movimento; dava l'idea di una persona severa ma buona, di quelle che non hanno bisogno di alzare la voce per farsi rispettare.
Della sua allegria e convivialità d’altra parte in famiglia si conserva una nutrita aneddotica, come durante quelle bellissime gite di tanti anni fa insieme a tutto il parentado che poi, più rade e con una combriccola molto meno numerosa, la sua e la mia famiglia hanno continuato a fare muniti di camper, appena gli impegni e le magagne lo consentivano.
Della sua enorme generosità ha dato prova altrettante volte, fino all'ultimo.
Dopo le estati sono venuti gli autunni, e di quest'uomo mi hanno colpito l'onestà, il coraggio, la dignità con la quale ha saputo affrontare anche i momenti meno felici... già, perché l'invidia degli Dei sembra proprio non permettere alle persone migliori una vita troppo serena.
Quando arrivò, che la morte non facesse differenze è un'evidenza che non mi rese meno triste il pensiero che ad andarsene dovesse essere una persona così buona.
Rícordo il pomeriggio in cui ho conosciuto esattamente la diagnosi che lo doveva condannare: pochi minuti dopo mi trovavo in macchina, c'era il sole e ad un tratto me lo sono rivisto davanti com'era quand'ero bambino, al mare, con lo stesso sole, e ho provato una pena, una tristezza incredule… non potevo capacitarmi del fatto che la fine di una persona simile dovesse essere proprio quella.
La sera del giorno in cui ci lasciò mi è sembrato la cosa meno inopportuna riguardare “Amici miei", in realtà soltanto per la scena finale, nella quale Noiret al capezzale viene visitato dagli amici e Tognazzi all'affermazione che il defunto non era nessuno protesta: " Ma bisogna per forza essere qualcuno?!".
Bruno è stato qualcuno, eccome, senza il quale la vita della mia famiglia sarebbe stata sicuramente meno piena, meno felice, meno ricca, meno intensa.
Incontriamo molte persone nel corso della nostra vita, ma solo alcune ci lasciano un senso di gratitudine per il solo fatto di averle potute conoscere, e queste persone, grandi o piccole, famose o sconosciute, sono "qualcuno".
Bruno per me, per noi, è stato e rimarrà sempre “qualcuno”, e meritava un tributo e un posto nelle migliori immagini di quelle estati.
Ma non mi va di chiudere la stagione con una nota tanto triste.
Le estati passarono, ce ne furono di memorabili, poi ne arrivò una in particolare, alla quale ripenso a volte con piacere quando le giornate si fanno più fresche.
Quell'estate me la presi comoda.
Di solito scendevo in spiaggia verso metà mattina fino all'ora di pranzo, e non ci tornavo prima delle quattro di pomeriggio.
Mi tenevano compagnia, oltre ai nonni, qualche libro e della musica.
Mi stendevo sull'asciugamano e aprivo le cuffie e un libro, quando iniziavo a grondare dal caldo scendevo in acqua, una nuotata e poi di nuovo a leggere.
Ho dei bei ricordi di Lovecraft e Heller misti a Creedence, Sepultura, Pistols, Lanegan, Primus.
Non propriamente quanto si avrebbe in mente per scelte balneari, tuttavia non posso negare che cose come "La spiaggia di notte" con lo sciabordio del bagnasciuga come sottofondo diventino letture abbastanza suggestive.
Quell'estate scoprii Mark Lanegan.
Successe perché ero andato a fare le ultime compere prima di andare in vacanza,qualche libro, una rinfrescatina al guardaroba e magari della musica nuova.
La copertina di quel disco mi intrigò subito: un notturno con tavolino ingombro di una Bibbia, una bottiglia di whisky e un posacenere pieno.
Il fatto è che manteneva esattamente quello che prometteva.
Ricorderò sempre la prima volta, quando giravo per casa ascoltandolo distrattamente e partì "Dead on you".
Fu una fucilata, un vero colpo di fulmine.
Naturalmente l'album venne in vacanza con me.
Così nei pomeriggi tardi a volte me ne andavo su una diga e mi gustavo la voce cavernosa e roca di Lanegan uscita da chissà dove... gli scogli e la sabbia insieme a me si coloravano di arancio e rosa, e mi immergevo nel mutare della luce, nel pulsare lieve dell'acqua che si mescolava a quella musica intensa e essenziale... mi univo al fluire delle cose e diventavo nient'altro che carne da musica su uno scoglio, quasi senza identità.
È bello sentirti addosso lo stesso profumo di salso che senti arrivarti dalla brezza marina, raccogliere in mano un mucchietto di sabbia fresca e asciutta e sentir scivolare lentamente i granelli fra un pensiero e l'altro, finché li svuoti tutti come una clessidra e restano solo la luce del tardo pomeriggio, il dondolìo pigro della risacca e i profumi delle piante e del mare.
Alle volte però me ne stavo a leggere fino a metà pomeriggio in spiaggia e poi tornavo a casa, prendevo la chitarra e scendevo sul lungomare, mi arrampicavo su una diga o mi piazzavo in qualche spiaggetta meno frequentata, e lì restavo a suonare fino al crepuscolo.
Lo chiamavo "jammin' with memories".
Il caldo pian piano scemava, la brezza di mare portava il salso e il fresco, e a volte i passanti, i pescatori e i turisti mi facevano compagnia.
Un pomeriggio con poco sole avevo raggiunto il mio scoglio preferito, abbastanza grande e liscio per starci comodo e abbastanza alto da non avere problemi con la marea, non c'era praticamente nessuno.
Me ne stavo beato a scoprire dove sarei andato a parare, quando sentii delle voci:sulla diga erano arrivate delle turiste.
Si misero in disparte bevacchiando e chiacchierando mentre mi ascoltavano.
Dopo un po' mi salutarono e si avvicinarono, iniziammo a chiacchierare fra un pezzo e l'altro.
Suonai per loro per un po', erano abbastanza simpatiche, e finimmo per parlare parecchio.
Erano tre ragazze polacche, tutte piuttosto carine.
Pian piano una si defilò e dopo un po' anche la seconda, nel frattempo senza accorgercene stavamo parlando fitto fitto con la terza.
Suonammo e chiacchierammo parecchio, poi iniziò a scendere il buio e mi salutò per andare a cena, non prima di avermi dato appuntamento l'indomani.
Così al pomeriggio me ne tornai sulla diga come il giorno prima, e dopo una mezz'oretta mi raggiunse.
Chiacchierammo per ore, un po' in inglese e un po' in tedesco... in qualche modo ci capivamo perfettamente, probabilmente più di quanto capitasse nella madrelingua con altre persone.
Ad un certo punto prese la chitarra e mi chiese: "Conosci Last kiss? No? Dovresti!".
Ci pensò lei.
Le ore passavano senza che ce ne rendessimo conto, finché mi disse che quello era il suo ultimo giorno lì e dovevamo salutarci.
Ci guardammo a lungo, ci abbracciammo e ci scambiammo un bacio.
Non la rividi più.
Sono tornato diverse volte su quello scoglio dove ci eravamo seduti per ore, e (serve dirlo?) "Last kiss" è diventata una buona colonna sonora di quei ricordi, quando mi va di suonarci su.