L'albero delle caffettiere (favola)
Era inevitabile che arrivasse prima o poi il momento dell'addio. La mia caffettiera, l'amica fedele di ogni mattina da tanti anni non era più riparabile. Innumerevoli volte avevo riattaccato il manico con l'attaccatutto, ma ormai non teneva più. Dovetti decidermi a buttarla via, ma non mi sentivo di gettarla nella spazzatura, così la avvolsi delicatamente in un sacchetto di plastica e la seppellii nel giardino, all'ombra di un albero frondoso. Quel mattino scesi presto, quando le prime luci dell'alba illuminavano l'erba, e scavai una buca non tanto profonda. Mi rendevo conto che la mia amica fosse d'acciaio e perciò non avrebbe attirato la golosità di animali o uccelli. La coprii di terra con delicatezza e rimasi lì un po' a guardare. Soffrivo, e perciò me ne andai a casa. L'avevo seppellita però in un angolo che dalla finestra di casa mia si vedeva molto bene. La caffettiera nuova fu molto sensibile e discreta in tale situazione e cercò di annullarsi il più possibile per non farmi pesare la mancanza di una grande amica. Ogni mattina, appena alzata, mi avvicinavo alla finestra e, sorseggiando il caffè che l'altra mi aveva fornito, mi soffermavo a guardare quel mucchietto di terra, e ripensavo alla mia vecchia caffettiera alla quale non avevo mai dato un nome, contrariamente alle mie abitudini. Quante emozioni ci eravamo scambiate. Quanti occhi gonfi di lacrime notturne aveva visto sul mio viso al mattino, ma anche quante gioie avevamo condiviso! Stavo lì, dietro la tendina della finestra, e mi sembrava che lei ci fosse ancora vicino a me, a consolarmi e a offrirmi ciò che mi serviva per iniziare la giornata. Tutto ciò che passa nella mia vita lascia un segno, un segno indelebile, tutto lascia una traccia nel mio essere, nei miei sentimenti, nulla per me è inanimato, nulla per me è senza vita, nulla per me è senza significato. E credo di avere ragione. Passò l'inverno, nevicò anche un po', ma quell'angolo di giardino, io sapevo bene quale fosse, e nulla avrebbe potuto farlo sparire alla mia vista. E quando fu marzo, una mattina, mentre sorseggiavo il caffè, notai delle foglioline, proprio lì, sopra quella manciata di terra con cui avevo coperto la caffettiera. Mi misi addosso qualcosa e corsi giù a vedere, incuriosita. Santo Cielo! Un esile stelo carico di foglioline verde chiaro con venature marroncine era nato. Rimasi lì a guardare stupita e subito portai dell'acqua. Se una piantina era nata sopra la mia caffettiera per me era un grande evento. Ogni mattina scesi a portare l'acqua, sempre all'alba. Questa piantina cresceva in fretta e si irrobustiva, le foglie diventavano grandi e spesse. In poco tempo era diventata un albero già più alto di me. I colori delle foglie erano assolutamente straordinari con le loro sfumature dal verde chiaro brillante al marrone rossiccio. Non avevo mai visto niente del genere. Era un tripudio di vita, di leggerezza, era un miracolo di bellezza. L'albero cresceva e cominciava ad attirare l'attenzione della gente. Tutti mi chiedevano che tipo di albero avessi seminato. Io rispondevo che non avevo seminato niente, che era un'erba spontanea, ma quest'albero diventava sempre più bello e più robusto. Un mattino mi affacciai e vidi i fiori più meravigliosi che avessi mai visto: larghi petali che poi si stringevano in un cuore colorato. Un cuore? Sì era proprio un cuore. Ogni fiore un cuore di tanti colori, petali a forma di lacrime molli e frementi. I colori c'erano proprio tutti, i colori della vita, dell'allegria, dei sentimenti. Cominciai a pensare che qualcosa di straordinario stava accadendo. Ormai tutti si fermavano a guardare quella meraviglia ed io stessa rimanevo estasiata. Tutti sappiamo che ogni albero dà i suoi frutti, e quando il "mio" albero diede i suoi frutti, la mia anima si sciolse nella commozione incontenibile di chi è di fronte a un mistero e lo accetta senza condizioni. Erano tante piccole caffettiere che facevano capolino fra le foglie, tante piccole caffettiere color acciaio, lucenti e bellissime, che ondeggiavano alla brezza del mattino, sotto il mio sguardo attonito, e ormai anche sotto lo sguardo attonito di chi passava di lì. Nessuno riusciva a chiedere spiegazioni. Tutti stavano lì, col naso all'insù ad ammirare il bellissimo albero con tutti i suoi frutti. Il sole pian piano sorgeva e i suoi raggi si riflettevano sul metallo spandendo riflessi strani tutto intorno. Io non riuscivo a vedere niente: tutto ondeggiava oltre le mie lacrime, lacrime d'amore.