L’ALBERO MAGICO E LO SCOIATTOLO
C’era una volta, in un immenso bosco fatato, un grandissimo albero di quercia.
L’albero era così grande che al suo interno vivevano molti animaletti, tra cui uno scoiattolo dal carattere molto particolare, di nome Furio.
Era sempre arrabbiato, gli davano fastidio i rumori degli altri abitanti della quercia e molto spesso litigava con i suoi vicini di ramo.
Era molto presuntuoso perché pensava di essere lo scoiattolo più bello di tutto il regno. In effetti la sua coda era molto folta e variopinta, i suoi occhietti erano furbi e vispi e il suo corpo era agile e sinuoso. Sgattaiolava veloce da un ramo all’altro, andava su e giù per il lungo tronco dell’albero, ma ogni volta che qualcuno gli rivolgeva la parola o voleva fare un po’ di conversazione con lui, lo scoiattolo rispondeva:
“Non ho tempo per parlare con te!” Oppure: “Vado di fretta, ho tante cose da fare!” O, ancora: “Non seccarmi, devo correre a fare provviste per l’inverno.”
Tutti gli altri animaletti, a poco a poco, si stancarono di tentare di essere gentili con lui e non lo considerarono più.
Viveva sul ramo più alto della bellissima quercia, una simpatica scoiattolina che si chiamava Elga, dai furbetti occhi scuri e dalla coda ancora più folta e più bella di quella dello scoiattolo Furio.
Un giorno, mentre la scoiattolina scendeva lungo il tronco per andare a fare provviste di ghiande per l’imminente inverno, Furio la vide passare e fu molto incuriosito da quella scoiattola che non aveva mai visto prima. Le guardò ammirato la folta e bellissima coda, ma Elga non si accorse nemmeno di lui e passò oltre. Così come lui aveva fatto tante volte con gli altri, adesso c’era qualcuno che non si curava di lui.
Furio la seguì, curioso di conoscerla un po’ meglio, lui che non voleva mai conoscere nessuno o tantomeno parlare con qualcuno. Ma gli sembrava davvero strano che in quello stesso albero abitasse una scoiattolina dalla coda più bella della sua, per di più che gli era passata accanto senza neppure degnarlo di uno sguardo. Come si permetteva di snobbarlo così! si disse Furio. Mai nessuno si era permesso di mancargli di rispetto! L’avrebbe sentito, quella piccola furbetta!
Ma Elga, indaffarata com’era di andare alla ricerca di ghiande, non si era neppure accorta di lui.
Quando poco dopo se lo ritrovò accanto, fece un salto per la paura.
“Oh, caspita!” esclamò lei. “Mi hai spaventata!” aggiunse muovendo la folta coda color nocciola e, con quel gesto flessuoso, distraendo la sua attenzione.
Furio era davvero ammirato da quella piccola e bella scoiattolina che gli stava davanti con aria altezzosa, guardandolo quasi dall’alto in basso, proprio lui che era solito fare con gli altri.
“Ma tu chi sei?” gli chiese Furio, incuriosito. “Io non ti ho mai visto sul mio albero!”
“Sul tuo albero?” ribatté la scoiattolina. “Ma l’albero magico è di tutti, non è tuo!” contestò poi, con assoluta certezza.
“Beh!” commentò lo scoiattolo, “io vivo lassù, quindi l’albero magico è mio.”
Elga era esterrefatta. Non aveva mai conosciuto nessuno così presuntuoso e antipatico.
“L’albero magico non è tuo!” ribadì nuovamente, stizzita. “E’ di tutti i suoi abitanti, e guarda, caro il mio scoiattolo arrogante, che sono tanti quelli che abitano lassù, molti più di quanto tu possa pensare!”
Furio sbuffò, indispettito. Quella sciocchina lo stava davvero irritando.
“Io sono Furio, e abito lassù da tantissimi anni!” disse, sicuro di sé, indicando col musetto scuro la parte più alta dell’albero. “Non c’è nessuno più bello di me e l’albero magico è mio!” insistette ancora.
L’albero magico, a quel punto, che pensava di aver già ascoltato abbastanza quella irritante conversazione senza senso, scosse velocemente i suoi grandi rami e con la sua voce burbera e tenebrosa, mormorò:
“Ehi, voi due, quand’è che la finite di litigare?”
Il suono cupo della voce dell’albero magico, li zittì entrambi, che corsero a nascondersi sotto le sue grandi radici sporgenti.
“Dentro al mio grande tronco e sui miei numerosi rami, vivono tantissimi animaletti, che sono tutti miei ospiti, ma io non sono di proprietà di nessuno” specificò il grande albero magico. “E adesso, per amor di pace di tutti, gradirei che la scoiattolina Elga facesse da maestra di buone maniere allo scontroso e poco educato Furio, in modo che anche lui impari a vivere bene dentro al mio tronco, rispettando gli altri e cercando di essere gentile con tutti.”
Furio per poco non si strozzò, a quella inaudita richiesta. Lui, così altezzoso, borioso, superbo e arrogante, farsi insegnare le buone maniere da una piccola scoiattolina altera e col nasino all’insù.
“Mah, caro albero magico!” cercò di dire Furio, nel modo più gentile che conosceva, “io non ho affatto bisogno di imparare le buone maniere, io sono già molto educato, molto garbato, molto…”
“Molto presuntuoso!” lo interruppe la grande quercia, e muovendo uno dei suoi tanti rami, piroettando vorticosamente le foglie e lanciando scintille dorate, gli fece scomparire la sua folta e bella coda.
Furio era senza parole. La sua meravigliosa coda era scomparsa! Com’era possibile. La sua enorme vanità ne avrebbe sofferto in modo incredibile. Senza la sua coda si sentiva perso e si vergognava tantissimo. Senza la sua coda, assomigliava ad un piccolo e insulso topino di campagna.
Alla vista di Furio senza coda, Elga scoppiò a ridere e lui ne rimase ancora più mortificato.
Cosa poteva fare per farsi ridare la coda dall’albero magico, se non accettare le sue condizioni?
“Così impari ad essere tanto saccente!” bofonchiò la quercia, con la sua voce tonante. “La riavrai indietro solo quando avrai appreso le buone maniere dalla scoiattolina Elga.”
Molto umiliato e rattristato, Furio fece cenno di sì con la testa.
“Farò come vuoi tu!” sussurrò infine lui, con aria sconfitta.
“Bene!” tuonò l’albero magico. “Elga, ti affido Furio. Fagli da maestra. Insegnagli tutto ciò che sai e tra quindici giorni mi dirai come sono andate le tue lezioni e se Furio ha imparato a comportarsi bene con gli altri.”
Elga fece cenno di sì con la testa, e con aria da maestra, tirò su le spalle, sollevò il nasino e mormorò, muovendo in modo leggiadro la folta coda:
“Seguimi, Furio! Ho tante cose da insegnarti.” Poi rivolta alla quercia: “Grande albero magico, ci rivediamo tra quindici giorni!”
“Bene, piccola scoiattolina” rispose l’albero. “Sono sicura che riuscirai nel tuo intento. Buona fortuna!”
La grande quercia li vide allontanarsi e scosse la sua folta chioma di uno splendido colore verde, sicuro che Elga sarebbe riuscita nel suo intento.
Non fu facile per la scoiattolina insegnare a Furio le buone maniere, perché lui era talmente vanaglorioso che a volte risultava davvero irritante anche per un animaletto buono come lo era Elga. Ma ogni volta che Furio ripensava alla sua coda, era così forte il desiderio di riaverla, che avrebbe fatto qualsiasi sacrificio.
Così imparò ad essere educato, a dire grazie, a dire prego, a dire scusa, a chiedere come stai, a preoccuparsi per gli altri, ad essere generoso, a rispondere cortesemente agli altri, a dire ti voglio bene, e alla fine delle due settimane, quando entrambi ritornarono al cospetto della grande quercia, Furio era diventato un altro scoiattolino.
“Allora!” volle sapere l’albero magico, “com’è andata, piccola Elga? Furio è riuscito a diventare un vero gentiluomo?”
Elga era più che soddisfatta del suo lavoro. C’era voluta tanta pazienza e tanta costanza, ma alla fine ce l’aveva fatta. Furio era diventato uno scoiattolo gentile ed affettuoso. Adesso si preoccupava per gli altri, ringraziava sempre, aveva, insomma, imparato le buone maniere.
Sollevando il capo soddisfatta, Elga rispose:
“Sì, grande quercia. Furio è veramente cambiato. Adesso è buono e gentile. Credo che abbia imparato la lezione. Sentirsi superiori agli altri non serve a niente, e lui ha promesso che non lo farà mai più.”
Soddisfatto da quella risposta, la quercia chiese:
“Allora posso ridargli la sua preziosa coda?”
Furio se ne stava in silenzio a testa china, aspettando col cuore in gola che la quercia si decidesse a ridargli ciò che era suo. Aveva fatto tanti sacrifici in quei quindici giorni; aveva ingoiato tanti bocconi amari, si era preso tante sgridate dalla sua maestra, ma alla fine aveva imparato la lezione: meglio essere gentili con tutti; forse non si ha nulla da guadagnare, ma sicuramente non si ha nulla da perdere, mentre lui, per essere stato arrogante e indisponente, aveva perso la sua coda, un bene per lui preziosissimo.
Elga guardò il povero Furio e decise che aveva già sofferto abbastanza per quella dura punizione.
“Sì, grande quercia” rispose dunque lei, “Furio ha lavorato tenacemente e si è meritato di riavere indietro la sua bella coda.”
Furio si trattenne a stento dall’esultare dalla gioia, attese invece pazientemente e con la testa china che la sua preziosa coda tornasse al suo posto.
Soddisfatto, l’albero magico prese a muovere tutti i suoi rami: le sue splendide foglie luccicanti iniziarono a mandare scintille tutt’attorno e una Rubino abbagliante si sparse ovunque.
Quando tutto ritornò alla normalità, Furio aveva ritrovato la sua splendida coda.
Felice come non mai, prese a saltellare felice e contento, piroettando e coinvolgendo nella sua danza frenetica, anche la piccola Elga.
“Grazie! Grazie! Grazie! Grazie!” continuava a ripetere Furio, tenendo le zampette di Elga che era contenta per lui, sia perché aveva riavuto la sua coda, sia perché aveva imparato qualcosa da lei.
Fu così che Furio divenne buono e gentile e ogni volta che pensava di trattar male qualcuno, gli veniva in mente a come era stato male per aver perso la sua pregiata coda, e subito rinsaviva e ritornava ad essere gentile con tutti. Fu così che ad un certo punto si rese anche conto di essersi innamorato della piccola Elga che lo aveva tanto aiutato. E quando le chiese di sposarlo, Elga fu felice di accettare, perché adesso Furio era diventato un bravo scoiattolo e avrebbe avuto tanto da insegnare ai suoi figli sulle buone maniere. Così sulla grande quercia venne fatta una magnifica festa con tutti gli animaletti che abitavano sull’albero magico, e tutti continuarono a vivere felici e contenti.