L'allegra quarantena
Il giorno seguente la morte di Luigi XV una piccola imbarcazione risaliva la Senna diretta al castello di Choisy, per consegnare spezie, piante, frutta esotica e semi di ananas coltivato nelle sue serre dai tempi del re Sole. Era una chiatta che riforniva le dimore aristocratiche della mercanzia più rara, tortuosamente arrivata anche attraverso navi negriere che da Nantes e Bordeaux facevano scalo in Nuova Guinea per scambiare fucili, polvere da sparo e acquavite con uomini di pelle nera da rivendere nelle Antille, soprattutto a Santo Domingo, dove la nobiltà francese aveva bisogno di schiavi per le proprie colonie. Un gabbiano la seguiva nella speranza di cibo e quando, dopo aver scaricato, lo lasciò a digiuno, sfrecciò gridando stizzito oltre i giardini, dove un sole primaverile splendeva su gelsomini, violacciocche e lillà, al cui profumo quella mattina si era svegliata la corte in fuga dal vaiolo.
Al tavolo del nonno, i gomiti poggiati sul ripiano di marmo, il futuro sovrano stava pensando cosa scrivere al segretario di stato, il duca di La Vrillière, che prima di lasciare Versailles lo aveva scocciato con richieste circa i nuovi incarichi, sui quali non aveva idea. Unica cosa ormai assodata, che avrebbe regnato nella tradizione dei suoi avi col nome di Luigi, il sedicesimo.
Quand’era in dubbio Luigi XVI rimuginava, per questo prima di decidersi a vergare con grafia tondeggiante temporeggiò come un gatto. Finalmente intinse la penna d’oca:
Luigi XVI al Duca di La Vrillère
Choisy 11 maggio 1774
Signore, nel doloroso momento nel quale ieri ci siamo trovati, non ho potuto dare ordini riguardo Madame la Contessa du Barry. E’ necessario, poiché è a conoscenza di troppe cose, che sia rinchiusa il più presto possibile. Mandatele una lettera col mio sigillo affinché vada in un convento di provincia e ordinatele che non veda nessuno. Lascio a voi la scelta del luogo e dell’appannaggio (perché viva onestamente) che gli do in considerazione della memoria di mio nonno.
Chiuse con la ceralacca e sentendo un tramestio si volse verso la porta. Furono annunciate la regina e la contessa di Artois che entrando si inchinarono. Abbandonate le carte, Luigi andò loro incontro: poco credibile nei nuovi panni lo osservarono divertite.
‐ Non avete ancora smesso di ridere? ‐ domandò Luigi infastidito.
Il giorno prima infatti, dopo essere partiti da Versailles la cognata savoiarda, che parlava male francese, aveva storpiato una parola rendendola indecente e la comitiva dei parenti si era sbellicata fino alle lacrime dimenticando il morto.
‐ Maestà siamo venute a chiedervi se volete che si predisponga per il grand couvert ‐ disse Maria Antonietta
‐ Non ci penso nemmeno!
‐ Sono d’accordo con voi ‐ asserì la contessa di Artois ‐ allora ci vediamo da mia sorella come al solito… o preferite pranzare al Petit Choisy?
‐ Il Petit Choisy no, domani arrivano le mesdames tantes…
‐ Non dovevano andare al Trianon? Se ci attaccano il vaiolo? ‐ chiese allarmata la regina
‐ In attesa di essere vaccinate staranno nel padiglione del parco.
Maria Antonietta, che sperava nel ritorno del ministro che aveva trattato il suo matrimonio, quel Choiseaul esiliato da Luigi XV, sapendolo inviso alle zie, sbuffò:
‐ Cosa vengono a fare?
‐ Non lo so madame… ‐ il re deviò il discorso ‐ ho appena scritto una lettera per far rinchiudere la Du Barry…
‐ Benissimo…
Lei pensò che era già qualcosa e, presa sotto braccio la cognata, uscì dallo studio con la sensazione che diventar regina volesse dire realizzare finalmente tutti i desideri.
Il Petit Choisy l’aveva fatto costruire nel giardino vent’anni prima il Beneamato, nello stile galante e intimo che amava. Il 12 maggio 1774 suo nipote andò a incontrarvi le signore zie, appena arrivate da Versailles per una riunione importante: si doveva decidere chi designare come primo consigliere. A parte l’ inesperienza, l’ ignoranza e l’insicurezza, la scelta era resa difficoltosa dal fatto che ministri e segretari erano in quarantena e non potevano essere consultati. Poche le cose chiare a Luigi XVI fino a quel momento: lui non sarebbe stato un libertino quale il predecessore e per niente al mondo avrebbe dato incarichi, come la moglie chiedeva, al duca di Choiseaul. Figuriamoci: maman Marsan e La Vauguyon, bambinaia e tutore, insinuavano addirittura che avesse avvelenato suo padre! Non dubitava di lui a tal punto, però Choiseaul aveva capeggiato l’opposizione parlamentare: privilegiati, beneficiati di titoli nobiliari, che invece di essere riconoscenti arrivavano a voler modificare di testa propria gli editti e le ordinanze del re, tanto che Luigi XV doveva imporre la propria volontà attraverso il letto di giustizia, stratagemma che trasformava i decreti regi in legge dello stato. “Il potere del sovrano è assoluto…”, sbuffò, “mio nonno ha fatto bene a cacciar via quel parlamento… ”.
Fece ingresso con la scorta e grande fragore di tacchi. Le figlie di Luigi XV gli andarono incontro.
‐ Siete solo? ‐ madame Adelaide si guardò intorno circospetta
‐ Solo…
‐ Andiamo a tavola ‐ suggerì Vittoria.
Il seguito si fermò sulla soglia. Le vetrate della sala davano sul giardino lussureggiante, la gran maestra batté le mani e apparvero quattro dame, sei ufficiali della bocca e due valletti: servitù minima per un pranzo segreto. Poi, a poco a poco, affiorò cigolando dal piano inferiore la “tavola volante”, deliziosa idea dell’ingegner Guerin, rotonda, con al centro una composizione di fiori, imbandita per quattro dei dodici posti. Quando si fermò, si accomodarono. Arrivarono vassoi d’argento sui quali pesci di Senna e uccelli di bosco profumavamo di bacche. Vittoria, iniziando la preghiera, alleggerì la colpa per l’ appetito sproporzionato anche nel lutto. Si buttarono sul cibo.
Madame Adelaide parlò per prima:
‐ Avete già in mente qualcuno maestà?
‐ Non chiamatemi maestà ‐ disse Luigi succhiando un osso di pernice ‐ anche i miei fratelli non devono farlo…
‐ E come volete essere chiamato?
‐ Signore… monsieur…
‐ Ma non è mai successo! ‐ esclamò preoccupata Sofia
‐ Non sarà pericoloso? ‐ chiese Vittoria con la bocca piena ‐ C’è chi potrebbe non capire, ne va della vostra autorità…
‐ Volete distinguervi come Luigi il buono? ‐ Adelaide aveva l’aria di saperla lunga.
‐ Preferirei il saggio o il severo.
‐ Ma a chi pensate per il vostro consiglio?
Luigi la guardò.
‐ Non ho la più pallida idea.
‐ Vi serve un consigliere non tra quelli in carica, che abbia esperienza e sia fidato ‐ si raccomandò Adelaide ‐ che aiuti la vostra formazione politica e continui ciò che ha iniziato il re defunto… uno che vi segua dall’esterno…
All’improvviso lui scostò il solitaire dal collo e frugò nel frac traendone una cassettina che depose sul tavolo. Les mesdames si avvicinarono. Tolto il sigillo, ne uscì una pergamena.
‐ Cos’è? ‐ sussurrò Adelaide
La srotolò. L’ansia delle donne era palpabile, guardandole negli occhi disse grave:
‐ E’ il testamento politico di mio padre, me lo ha consegnato il vescovo di Verdun che era suo amico… c’è una lista di persone che raccomanda…
‐ Fate vedere! ‐ disse quasi strappandogliela dalle mani Adelaide e prese a leggere, scandendo bene le parole, a voce alta:
‐ Il signor di Maurepas “perché ha conservato il suo legame con i principi veri della politica, che madame de Pompadour ha misconosciuto e tradito…
Fatti altri nomi, si aprì una discussione controversa.
Luigi ricordava che La Vauguyon tesseva gli elogi di Jean Frédéric Phélypeaux conte di Maurepas e, per quanto stimasse poco il tutore, il suo giudizio pesava ancora. La Vauguyon gli aveva detto che a soli quindici anni Maurepas era succeduto al padre come segretario di stato del Beneamato. Poi della marina e delle colonie, dove si era adoperato per migliorare i porti e aveva soppresso, da uomo illuminato, l’arma delle galere fatta di schiavi e prigionieri. Sospettato di aver scritto una canzoncina contro la favorita pro tempore, madame de Pompadour, Maurepas era stato esiliato da Versailles nel 1749. “Sono passati venticinque anni”, pensò, “ma se questa è la volontà di mio padre…”. E le zie sembravano d’accordo.
Stanco, desideroso di chiudere il discorso e azzerare l’ansia con una soluzione, disse infine:
‐ Scriverò a Maurepas perché ci raggiunga subito, fate sellare il cavallo più veloce…
Così fu scelto il consigliere del sovrano, qualcuno disse il mentore: stesso carattere indeciso del re, gli rimase accanto sette anni, fino a che visse. Nipote del cancelliere di Luigi XIV, esperto di misteri e intrighi, di un potere succhiato con il latte, l’anziano aristocratico sembrava l’ esponente di un’età dorata e il più adatto a dividere il fardello della corona. Col senno di poi invece, si afferma che se Luigi XVI non lo avesse disgraziatamente scelto, la sua esistenza non avrebbe imboccato la china fatale. Tuttavia una sola persona non ha influenza su avvenimenti complessi e per la storia i “se” non contano.
Provando acuta nostalgia della caccia, vietata per lutto, nella foresta di Sénart, Luigi non vedeva l’ora di concludere la quarantena malgrado le passeggiate piacevoli con Maria Antonietta nei giardini di Choisy o lungo la terrazza dominante il fiume. Ma un nuovo avvenimento lo distrasse: il vaiolo aveva colpito anche le signore zie, pur se in forma benigna, e ciò obbligò la corte a rimettersi in fuga verso il castelletto di La Muette ai margini del bois de Boulogne.
Il “petit La Muette”, vissuto come un piéd a terre, in realtà aveva centinaia di logge, affiancate da padiglioni e dipendenze, ed era stato della regina Margot. Fattolo ristrutturare, Luigi XV vi aveva voluto un passaggio nel bosco di Boulogne per raggiungere la Senna da cui ammirare Bellevue, dimora della Pompadour. A soli otto chilometri dal centro di Parigi, La Muette era il luogo ideale per la cerimonia delle condoglianze delle dame presentate a corte e di molti altri, che oggi chiameremmo “vip”.
Le signore accorsero tutte, dalle più giovani alle più vecchie, dalle fidate a chi remava contro, ricercate, ingioiellate, sofisticate e vanitose, sfilarono rigorosamente in nero, porgendo un volto mesto, dilungandosi in salamelecchi. Con perle nei capelli, in sontuoso abito da lutto, Maria Antonietta attorniata da prime donne, al centro del salone come una divinità, da ore inclinava la testa, appena il busto, faceva cenno con le sopracciglia, rispondeva con parole graziose, ripeteva frasi di circostanza o rimaneva muta, in enigmatico sorriso, a seconda del rango delle mesdames e dell’opportunità. La fila delle contrite aumentava. Il tempo non passava. Doleva la stanchezza.
‐ Le più sincere condoglianze maestà…
‐ Dio ve ne renda merito…
‐ Volevo anche segnalarvi mio figlio, valoroso ufficiale dell’esercito…
La regina fingeva di ascoltare, annuiva con il capo, prometteva senza sapere cosa. Aveva bisogno di una pausa. Guardava le centinaia in attesa. Sbuffava. A un tratto le parve che la marchesa di Clermont‐Tonnere, obbligata a stare in piedi dietro di lei, fosse scomparsa. Un attimo di incertezza. La cercò con gli occhi. Si sentì tirare la gonna e guardò in basso: la vide seduta per terra al riparo degli enormi paniers.
‐ Non ce la faccio più, mi fanno male i piedi…
Maria Antonietta scoppiò in una risata che mimetizzò con il ventaglio.
‐ Che barba… mi siederei volentieri anch’io…
Lo scambio di risatine, gli incomprensibili ammiccamenti, non sfuggirono alle signore più anziane, più altolocate e più arcigne.
‐ La regina si sta prendendo gioco di noi ‐ sibilò una
‐ Ci tratta male perché siamo vecchie… come non l’avessimo mai avuta…
‐ Non metterò più piede a corte, che beffarda!
E l’indomani qualcuno inventò una canzonetta sarcastica, quasi un avvertimento, che passò di bocca in bocca:
Reginetta di vent’anni,
insolente e forestiera,
da rispetto e non far danni
o ripassi la frontiera!
A La Muette però si trascorrevano gli ultimi giorni di una quarantena felice. Il re aveva disdetto il servizio degli “ufficiali della bocca”, fastidiosa etichetta a scapito di comodità e privacy, inaugurando la dolce abitudine di pasteggiare nelle stanze della regina, senza cerimoniale. A Luigi piaceva star solo con lei, erano ormai in confidenza, sebbene non ancora fisica. Fiero della moglie che tutti definivano bella come una dea. Fiero di poterla esibire, passeggiando per i giardini del castello senza scorta, a chi veniva ad ammirarli e applaudirli. Non conoscevano la canzonetta irriverente e, anche se lo avessero saputo, non avrebbe incrinato la loro fiducia.
Quel giorno a pranzo furono serviti da un solo cameriere che tagliò il filetto, servì il puré, versò il vino e si eclissò come avevano chiesto. La finestra spalancata lasciava entrare il sole e l’aria boschiva. Maria Antonietta indossava una semplice veste da camera ampia, scura, ricamata e aveva i capelli sciolti.
‐ Siete molto graziosa madame ‐ disse Luigi ‐ il lutto vi si addice…
‐ Grazie monsieur… ‐ sorrise portando il cucchiaio alle labbra ma subito si batté la tempia ‐ mi avete fatto venire in mente una cosa….
Si alzò dirigendosi alla consolle su cui poggiava un portagioie, lo aprì, ne trasse un astuccio, tornò a sedersi e lo consegnò al marito. Lui lo esaminò curioso: era una tabacchiera nera in oro e pelle di zigrino, su un lato, incastonata come un cammeo, l’ immagine di Maria Antonietta e la scritta “La consolazione nel dolore”. In francese la parola chagrin traduce sia dolore che zigrino.
‐ Bellissimo gioco di parole… perfetto per il lutto… ‐ commentò il re
‐ Me l’ha portata la principessa di Lamballe, ha detto che ha fatto la fortuna di chi l’ha messa in commercio…
‐ Il popolo vi ama, siete davvero la sua consolazione… ‐ la guardò come un innamorato timido.
Compiaciuta Maria Antonietta bevve un sorso.
‐ Come va con Maurepas?
‐ Non me ne parlate… vuole che scelga il ministro degli esteri e dell’economia tra persone vicine al vecchio parlamento…
‐ Quello soppresso dal nonno?
‐ Esattamente…
‐ Per riflettere e prendere tempo potreste sempre farvi vaccinare…
‐ Una buona scusa….‐ Luigi si asciugò la bocca col tovagliolo ‐ non sarà pericoloso? E’ proprio vaiolo quello che inoculano…
‐ I medici dicono che la novità stia facendo miracoli…
‐ Mmh… ‐ lui allungò la mano verso il Borgogna, fermando il valletto, e ne versò un dito alla consorte ‐ con Maurepas ho convenuto di tagliare il diritto alla cintura e quello alla successione…
Il diritto alla cintura, in riferimento alla borsa attaccata alla cintura della regina, era una tassa sui vini che serviva a mantenere i suoi dipendenti. Il diritto alla lieta successione una gabella che si pagava per ogni ascesa al trono.
‐ Farà una gran bella impressione e vi ameranno ‐ convenne Maria Antonietta ‐ ma i nostri soldi?
‐ Dopo si vedrà…
Così, il 30 maggio 1774 Luigi XVI fece rinuncia con un editto a ventiquattro milioni di luigi.
La notizia si propagò in un baleno tra la gente che, piena di speranza, uscì dalle case signorili, dalle topaie, dagli abbaini, dai vicoli sporchi e malfamati, dai caffè, dai mercati puzzolenti, dalle bettole, dalle bische, dai teatri, dalle fabbriche, dai postriboli, dalle grotte e dalle risorte “corti dei miracoli”.
Parigi corse al castello di La Muette inneggiando al nuovo corso:
‐ Viva il re! Viva la Regina! Lunga vita al re! Lunga vita alla regina!
Luigi e Maria Antonietta commossi e stupiti si affacciarono alla finestra per salutare una folla in luna di miele, che acclamava alimentata dal “passaparola”, dalle menzogne, dai rumori, dalle consorterie, dai fogli clandestini e dalle discussioni illuminate. Un fenomeno nuovo capace di critica: la pubblica opinione, la cui potenza, tutt’altro che effimera, anche i signori delle moderne democrazie temono e manipolano.