L'anima di sabbia
Dai vetri del pullman turistico è come un film, a cui sei abituato. Ci hanno volutamente abituato alla miseria, al degrado, al dolore, all’orrore. Piccole dosi quotidiane, qua e là, un telegiornale, un documentario, una discussione, tra gente in poltrona. Ora siamo quasi vaccinati, possiamo vedere membra a pezzi, mura macchiate di sangue, crateri di bombe, provando una modesta reazione. Socchiudiamo una palpebra, due sarebbero troppo, per un attimo, per cacciare un incubo: “Che non abbia mai ad accaderci”. Poi riprendiamo una commiserazione più ampia, più vigliacca. Postiamo su Face Book la nostra reazione e ci sentiamo migliori di chi non lo fa e parla dell’ultima zuppa di fagioli. E’ finito il Ramadan: oggi è festa. “Come la vostra Pasqua, per intenderci” ‐ mi dice la guida. Siamo fermi, in una fila disordinata, su quella che dovrebbe essere un autostrada, ma è più una pista di un deserto, data la quantità di sabbia che la ricopre, spinta dal vento del Sahara. ‐ “C’è un posto di blocco dell’esercito” ‐ Il paesaggio è grigio, in tutte le sfumature, sino ad accennare un rosa, a tratti. Su case sgangherate (le nostre peggiori periferie, in uno sfacelo inimmaginabile), accenni di monumenti incomprensibili, minareti decadenti, recinti di ovili, intuizioni di piazze. Gente di stracci, neri e bianchi. Nessun altro colore. Devono aver spruzzato sabbia e tu vorresti un enorme aspirapolvere per vedere di scoprire la realtà che c’è sotto. Ci guardiamo e ci salutiamo attraverso i vetri delle auto. Una vecchia Mercedes: la moglie, accanto al marito, al volante, lascia libera solo una striscia bianca con due occhi, il resto è un velo nero. Ma, nei posti dietro, c’è baldoria: conto sette bambini, di cui uno mi saluta dal vetro del portabagagli. Le auto sono piene di viveri, pentole, cocomeri. Sembrano sereni, inconsapevolmente felici. Dove mai andranno, in questo grigiore? Il mare migliore è per gli europei. Su qualche casupola scorgo, ai bordi della strada, una trincea di sacchi scuri. Cela un militare che ci osserva, puntandoci la mitragliera. Ne vedrò altre, prima di giungere al controllo del posto di blocco. A proteggere il nostro pullman, ci scorta una camionetta dell’esercito con quattro mitra a vista. Alla postazione militare si giunge con un tortuoso zig‐zag, tra cavalli di Frisia. L’invalicabilità è sottolineata dalla canna di un carro armato, ai lati della strada. Quando chiedo cosa temano, mi risponde: “La Libia è lì, a pochi chilometri”. Controllo la mia apatia, a ciò che vedo. Ho sabbia dappertutto, rosa la mia! Che mi abbia coperto l’anima?