L'eredità
Sofia aveva ereditato. Un gatto con un occhio solo, che si chiamava Nemo. Un portagioie pieno zeppo di cianfrusaglie da mercatino delle pulci. Una vecchia macchina da scrivere senza il tasto del punto.
Nemo, non appena entrato in casa, annusando tutto con cura, si era cercato un posticino: la sua nuova casa. Al portagioie aveva trovato un posto Sofia, invece. Lì sulla mensola in salotto. Non aveva il coraggio di buttarlo via.
Aveva appoggiato la macchina da scrivere sul tavolino e si era seduta sul divano a fissarla.
Chissà quante parole aveva battuto durante la sua vita quell'arnese caduto miseramente in disuso e impietosamente sostituito da attrezzi tecnologici più o meno complessi e performanti.
Sofia non riusciva a distogliere lo sguardo. Era come se si aspettasse che la macchina iniziasse a scrivere da sola. A raccontare quel che era successo.
Di scatto si alzò per andare a prendere dei fogli. Esagitata li infilò nella macchina e si rimise a sedere, fissandola, con il cuore che le batteva in gola. "Ma sei diventata matta?" gridò scuotendo la testa. Persino Nemo, che sonnecchiava con l'occhio buono semichiuso, si irrigidì e la interrogò con lo sguardo.
La macchina era una macchina e non avrebbe potuto mai raccontare quel che era accaduto. Nemmeno se lo spirito di Rachele, come in un film, avesse preso a battere i tasti per far sì che giustizia fosse fatta e poter lasciare finalmente il mondo da anima libera, non più in pena.
Nemo si, se avesse potuto parlare, avrebbe raccontato tutta la verità, ma da buon gatto si limitava a dormicchiare, cercando di dimenticare scene, che avrebbe volentieri fatto a meno di vedere.
I giorni prima del funerale erano passati dalla stazione di polizia all'obitorio e infine l'ultima fermata di Rachele: il crematorio.
Da quando la conosceva, le ripeteva sempre che, se le fosse successo qualcosa di grave, avrebbe voluto essere bruciata. Aveva visto fin troppi funerali di persone a lei care. Aveva visto fin troppi visi e corpi venire inchiodati in una cassa di legno e buttati sottoterra. Ogni volta si sentiva soffocare. Non ci voleva finire così. No. Meglio le fiamme, e se fossero continuate in eterno, come le avevano detto da bambina parlando di quelle religioni così diverse che usavano bruciare i loro morti invece che sotterrarli, almeno non avrebbe sofferto il freddo. Scherzava. O forse no.
"Morte per cause accidentali". Sofia aveva letto quelle parole sul rapporto della polizia. Quattro parole e un punto.
Il tasto che mancava sulla macchina da scrivere non era caduto da solo. Rachele, le aveva raccontato che, presa da un raptus, un giorno lo aveva staccato di forza.
"Cara Sofia, quando arriverai alla mia età lo capirai forse." Avrebbe compiuto novantanni il prossimo mese. "I punti non servono a nulla. Chi ti dice che in una storia i punti servono, si sbaglia. Tutti gli altri: le virgole, gli spazi, i punti esclamativi, quelli di domanda ecc., quelli sì che servono. E' vero, ho dovuto sacrificare i due punti, ma gli elenchi si fanno anche senza. Il punto, no, non serve che una sola volta. Nella storia, come nella vita, ne esiste uno solo. Quello che metti alla fine."
Quando le parlava così, spesso, Sofia non la sopportava. Le dividevano quasi due generazioni, ma non era quello il problema. Sofia non era come lei. Non viveva d'aria. Non si nutriva di emozioni. Forse la irritava proprio questo: non essere capace di vivere così.
Sofia voleva correre, scappare, andare via lontano. Vivere emozioni intense, ma le voleva cercare altrove. Rachele si era spostata di rado dal suo paese. Aveva avuto una vita piena di emozioni lo stesso. Sofia invece, viaggiava si. Tanto. Ma sebbene viaggiare le procurasse una gioia immensa e nuove sensazioni e scoperte, non riusciva a emozionarsi così come riusciva Rachele, anche di fronte allo sbocciare di una margherita sul ciglio della strada.
"Sarà inciampata, sa... l'età...". Le parole del medico dell'obitorio le ronzavano ancora nella testa. Inciampata? Sì, poteva ben essere successo. Ma una persona come Rachele non se ne va inciampando. Avrebbe potuto crederci se non avesse visto Nemo, lì per terra... accovacciato in un angolo con lo sguardo fisso sul mobile della cucina. Mancava una foto.
Rachele amava i mercatini delle pulci. Ci aveva comprato il portagioie e anche quasi tutte le gioie mezze rotte che conteneva.
Un giorno era tornata a casa con la macchina da scrivere e tre foto. "Me le ha vendute un ragazzo. Aveva un sguardo così triste. Tutti evitavano il suo banchetto perché dicevano che era matto. Ma da quando in quà un matto ha un banchetto al mercato?". La sua risata era così forte che, quando erano in un luogo pubblico, Sofia si vergognava a tal punto da evitare di raccontare qualsiasi cosa minimamente divertente. Per quanto forte, però, era contagiosa e alla fine Sofia, rossa di vergogna, non riusciva a trattenersi e cominciava a ridere senza riuscire a smettere.
Rachele scriveva tanto con la sua macchina. Tutto quello che scriveva, lo faceva leggere a Sofia e poi lo distruggeva. Erano racconti bellissimi, frutti di sogni di un'immaginazione che sconfinava nel geniale. Non le servivano posti nuovi, lei prendeva ciò che vedeva e lo trasformava in incredibili avventure al di fuori del tempo e dello spazio. Sofia divorava i racconti con avidità e soffriva nel vederli bruciare veloci così come li aveva letti, nel caminetto o nella stufa della cucina. "Perché non li pubblichi, nonna?" le chiese un giorno. "E' un vero peccato che vadano persi così".
"Non vanno persi... Li scrivo per te, li regalo a te. E finché saranno qui dentro," le batteva dolcemente l'indice sulla fronte, sorridendo "non andranno mai persi. Lo sai che non sono ricca. Non posso, come le nonne delle tue amiche, comprarti giochi o vestiti. Questo è quello che ho. Ed è solo per te. Tu e soltanto tu puoi decidere cosa farne, un giorno."
Fuori era buio ormai. Nemo si era addormentato. Chissà che sogni faceva. Chissà se sognava il giovane, che era entrato due giorni fa a casa di Rachele, per riprendersi la foto. Quella con il topo, in mezzo a quella del gatto e del serpente. Non poteva lasciare il topo lì in mezzo, sarebbe morto! E poi la porta non era chiusa a chiave!
Rachele era uscita dal bagno e lo aveva visto in mezzo alla cucina, spaventato. Gli si era avvicinata per chiedergli scusa del fatto che non l'avesse sentito bussare e se volesse un caffè e qualche pasticcino, visto che oramai era lì. Stefano, perché gliel'aveva chiesto quel giorno al mercato il suo nome, la voleva solo scansare per raggiungere la porta e fuggire.
Sofia aveva detto alla polizia che mancava una foto. Il poliziotto l'aveva guardata con un misto di apprensione e pena. Aveva annotato il fatto, ma non essendoci altri segni di furto tranne la presunta mancanza di una foto senza valore, comprata al mercatino delle pulci in un banchetto di uno sconosciuto, sul rapporto non l'aveva nemmeno accennato.
Sofia guardava la macchina e all'improvviso si ricordò.
"Tu puoi decidere cosa farne, un giorno".
Sofia aveva ereditato.
Un gatto con un occhio solo, che si chiamava Nemo, un portagioie e una macchina da scrivere. Quello che aveva già erano i doni di sua nonna. Li aveva accumulati negli anni ed erano tutti lì a portata di mano.
Benché fosse notte inoltrata, Sofia non era stanca.
Cominciò a scrivere i racconti di Rachele e usò il punto solo quando ebbe battuto l'ultima parola.
Qualche mese dopo, li pubblicò ed ebbero un successo inaspettato.
Sofia aveva ereditato Nemo, un portagioie senza valore apparente, una macchina da scrivere senza il punto e... un piccolo, grande tesoro.