L’essere è, il non-essere non è
Paolo, in quel giorno uggioso, freddo, umido, cupo per le folti nubi che incombevano con il loro tenebroso grigiore sul mondo e che gli trasmettevano tristezza, sconfortato, tormentato e afflitto per il dispiacere provato, svogliato stava sdraiato sul suo divano, con le mani dietro la nuca, e con le gambe distese e incrociate l’una sull’altra. Aveva spento la televisione le cui trasmissioni aride nei contenuti lo avevano annoiato, e pensava a Parmenide, filosofo vissuto tra il VI e il V sec. a.C., che lo aveva sempre affascinato perché questi affermava che le vie della ricerca sono due “ l'una che ‘è’ e che non è possibile che non sia …. l'altra che ‘non è’ e che è necessario che non sia, … il pensiero ad esempio è essere”. Paolo era della convinzione che ambedue – l’essere e il non‐essere ‐ dovevano coesistere come la materia che è e il vuoto che non è. Non poteva esserci l’una senza l’altro e viceversa. Se la materia ‘è’ sarà necessario che ci sia il vuoto che è necessario che ‘non sia’. E in quel particolare momento poiché “pensava” egli “era”, concludeva che quando “non pensava” ovviamente “non era”. Il pensiero ‘è’, il non pensiero ‘non è’. Per questo, guardando distrattamente il soffitto, gli angoli, i quadri appesi alle pareti, il lampadario con la grossa lampadina, le sedie, il tavolo e il vaso con i fiori variopinti, i mobili, le varie imperfezioni sulle pareti, si poneva la seguente domanda e quindi pensava: “quando l’essere che è in noi è? E quando il non‐essere che non è in noi non è?” A queste difficili domande cercava di dare delle risposte “quando mi sveglio sono, e sono quando ho coscienza delle cose che mi circondano, quando mangio, quando faccio l’amore, quando ascolto musica, quando guardo un bel film, quando provo gioia o dolore, quando qualcosa che leggo o guardo mi suscita emozione e mi fa pensare. Quando dormo non sono, quando guardo la televisione non sono. Anche l’indifferenza, e questo può sembrare contrario all’opinione diffusa, mi porta all’essere perché in questo stato mi estraneo dal mondo ma penso. Come se il mondo fosse il vuoto e io fossi la materia. Quando invece sto nel mondo a scherzare, a parlare del niente, o intraprendo un’amicizia “virtuale” e mi lascio trasportare dal brio, non penso, e quindi non sono, cioè non‐essere, e quindi mi annullo. Deduco quindi da queste considerazioni che la solitudine, la riflessione, l’estraniarsi dal mondo portano all’essere. Il contrario è non‐essere perché tutto ciò che faccio è frutto degli altri e non mio”. Subito dopo Paolo si addormentò e passò al non‐essere.