L'eterno momento
Esiste l'aldilà? E' vero che c'è un'altra vita dopo quella terrena? Per quelli che si pongono il problema, esistono solo domande senza risposta. Mentre quelli che evitano di porsele, le rimandano finché non è più possibile farlo.
Esiste poi una terza categoria di persone, che, per uno strano scherzo del caso o per un dono non richiesto, non può evitare di affrontare l'argomento. Mai. Per tutti i giorni di questa vita. Persone dotate di una sensibilità tale da percepire ciò che altri non riescono neanche ad immaginare.
Chi possiede il dono, e ha il coraggio di seguirlo, può vivere una vita straordinaria, riuscendo talvolta a portare consolazione dove esiste disperazione. Chi decide di non farlo, invece, vive una vita da incubo, inseguito ovunque da ciò che la scienza interpreta come allucinazioni e alienazione. La strada che si sceglie a questo bivio è solo frutto di scelte personali, ma prima di arrivarci esiste il cammino verso la consapevolezza, verso la presa di coscienza, un cammino che mette a dura prova…
Janet T. era una di queste inconsapevoli persone. Venticinquenne all'epoca dei fatti, si trovava in Italia, ospite dell'università di Padova, grazie ad una borsa di studio sulla letteratura popolare e folkloristica. Britannica di nascita, era cresciuta coltivando la passione per le tradizioni della sua terra natale, nutrendosi di leggende popolari e storie gotiche. Aveva deciso di venire in Italia per completare la sua formazione. Ma non avrebbe mai immaginato come.
Una sera, Janet era in giro con alcuni amici, per le vie del centro patavino. Era mezzanotte passata e il gruppo stava facendo un'ultima passeggiata prima di separarsi, commentando il film che aveva appena visto. Passando accanto ad una finestra a pianterreno, chiusa da una robusta inferriata, Janet udì distintamente un cigolio, come di un grosso peso che oscillasse da un sostegno arrugginito. Un brivido improvviso la fece stringere nelle spalle, nonostante la temperatura primaverile. Quel suono le aveva fatto lo stesso effetto di un'unghia sulla lavagna… E di qualcosa di più spiacevole, che però, lì per lì, non avrebbe saputo spiegare. Ne parlò con i suoi amici per cacciar via quell'oscura sensazione, ma nessun altro sembrava averlo udito. Eppure era stato un suono sgradevolmente forte e chiaro… Decise che anche lei doveva averlo confuso con qualche altro suono.
Diverse sere più tardi, rientrando al convitto dopo aver passato la giornata a studiare in biblioteca, passò casualmente di nuovo per quella strada. Era sovrappensiero, stava ripassando mentalmente alcuni appunti che aveva preso, e non aveva neanche fatto caso a quale traversa avesse imboccato. Era solo cosciente del fatto che, passando da quella parte, sarebbe arrivata a casa una decina di minuti prima.
All'altezza della stessa finestra inferriata, udì ancora quello strano cigolio. Di nuovo sentì rizzarsi i capelli sulla nuca, mentre un'improvvisa voglia di correre via da lì le fece aumentare l'andatura. L'aveva sentito di nuovo e dalla stessa finestra, stavolta ne era sicura. Non era solo il suono ad esserle sgradevole, era la sensazione che quel suono comunicava a darle la pelle d'oca. Un attimo dopo il suo passaggio, il suono di colpo cessò, come un pendolo che di colpo si fosse bloccato a mezz'aria. Tornò indietro lentamente e con un accendino provò a dare un occhiata a quella strana finestra.
Era aperta, al di là dell'inferriata non c'era altro scuro né anta che ne bloccasse l'accesso. Con le mani che le tremavano irragionevolmente, introdusse l'accendino acceso tra le sbarre e guardò intorno. Ovunque, in giro, lì dentro, si vedevano solo contatori della luce, dell'acqua e del gas. Il soffitto della stanza era in cemento e non c'era nulla che facesse pensare ad un qualcosa di appeso. Fin dove arrivava la debole luce della fiammella non c'era la minima traccia di un gancio o di un sostegno. Perplessa, lasciò che il pollice mollasse la levetta del gas e che la fiamma si spegnesse, mentre la sua mano si trovava ancora oltre le sbarre.
Qualcosa di gelido in quell'attimo le sfiorò il dorso della mano.
Per lo spavento ritirò di scatto il braccio, lasciando cadere l'accendino. Lo udì cadere sul pavimento, mentre si allontanava di corsa. Si fermò sotto un lampione, trafelata, dopo alcuni minuti. La mano era intatta e non le faceva alcun male. Forse era stato un insetto o un pipistrello… Ma nessun animale, pensò, trasmette una simile sensazione di gelo. Era stato come sentire per un attimo tutta la mano diventare dura, fredda e insensibile. Qualche volta, riflettè, le era successo di dormire su un proprio braccio e di sentirlo intorpidito e informicolito per il mancato afflusso di sangue, ma il freddo, la sensazione di gelo che aveva provato no, quella non la conosceva. Quel tocco era stato… Come il tocco di qualcosa che si fosse avvicinato nel buio e avesse cercato di afferrarle la mano! Senza però riuscirci...
Era stato in quel preciso istante che aveva provato il desiderio irrazionale di scappare via…
Giunta al convitto si chiuse in camera, evitando di far parola dell'accaduto con chiunque avesse incontrato: non voleva passare per matta. Era stato già abbastanza difficile farsi degli amici in un paese che non era il suo, non voleva complicare la sua vita sociale. Ma quella stanza, per tutta la notte, rimase nei suoi pensieri.
La mattina dopo tornò a quella finestra, con una torcia nella borsa. La luce del giorno lasciava in penombra certe zone del locale, ma si capiva bene cosa fosse: uno scantinato dove erano allocati i contatori del caseggiato. La finestra stava quasi all'altezza del soffitto e non si vedevano ragnatele o altri insetti più o meno volanti. E nessun rumore che non fosse il ronzio dei contatori.
Va bene la suggestione, il buio e la paura, diceva fra sé, ma quel cigolio c'era stato, lei l'aveva sentito, così come aveva provato quella strana paralisi alla mano… O forse no? Era confusa. Ma se c'era in lei una caratteristica evidente, questa era la cocciutaggine. Decise, quindi, che doveva venire a capo della cosa.
Passò e ripassò per quella via tutte le volte che poté, finché c'era luce, senza vedere altro che un'inferriata. Nel tardo pomeriggio, infine, si arrese all'idea di sospendere una tale evidente assurdità. Tornando verso casa, sbucando dalla traversa, vide un'anziana signora venire nella sua direzione, portando borse della spesa un po' troppo pesanti per la sua età. Recuperando un po' della sua britannicità, si offrì di aiutarla, cosa che la donna accettò più che volentieri.
Camminando con le sporte in mano, probabilmente perché aveva tenuto la cosa talmente stretta dentro di se da avere voglia di sfogarsi con qualcuno, raccontò alla donna la sua strana avventura, con il tono più scettico ed autocritico che le venne.
La donna impallidì visibilmente e chiese più volte a Janet di ripetere il suo racconto, insistendo stranamente proprio sui particolari che la giovane, per vergogna, stentava un po' a rivelare. Ora che ne parlava a qualcuno, si sentiva piuttosto ridicola.
L'anziana le chiese la cortesia di portarle la spesa fin su, al secondo piano dello stesso caseggiato cui apparteneva il misterioso scantinato, con la promessa di restituirle l'accendino che le era caduto dentro. Anche se sembrava prendere tempo, mentre rifletteva su qualcosa…
Quando scesero, trovarono l'accendino per terra, esattamente dove Janet si sarebbe aspettata di trovarlo. Inaspettatamente la donna accostò la porta dello scantinato e rivolgendosi alla giovane "lei mi ha raccontato quella che lei stessa ha definito una storia assurda, signorina", disse, "lasci ora che io gliene racconti un'altra". Janet improvvisamente cominciò a sentirsi a disagio.
"Dodici anni fa mio figlio si suicidò, proprio in questa stanza", il tono della signora era serio e pacato, ma Janet sentì ugualmente la pelle d'oca su tutto il corpo. "S'impiccò ad una carrucola, che ora non c'è più, che era fissata al soffitto. Quando vennero, i carabinieri notarono, però, qualcosa di strano. Pareva che, sul punto di lasciarsi cadere, mio figlio avesse cambiato idea, ma fosse scivolato. Sul soffitto c'erano dei graffi, come se avesse cercato un appiglio senza trovarne". Janet ebbe come un senso di vertigine che la costrinse ad appoggiarsi ad una parete.
Intanto la donna continuava "io e mio marito, troppo sconvolti per rimanere, ci trasferimmo in campagna. Ma quando, qualche anno dopo, anche lui morì, decisi di tornare in questa casa. Non volevo stare da sola con i miei ricordi. Prima di rientrare, però, feci dare un'intonacata a questa stanza, rendendola così com'è adesso. Da quando sono tornata però, certe notti sento come un cigolare metallico", Janet spalancò gli occhi sulla donna. "Lei può anche non credere a queste cose, signorina, ma io sono convinta che quel cigolio sia il suono di un rimpianto. Un momento prima di morire, mio figlio aveva cambiato idea, non voleva più lasciare questa vita. Capisce, signorina? E' come se fosse rimasto incastrato in quell'istante tra la vita e la morte, in un ultimo tentativo di afferrare la vita che gli stava sfuggendo".
"All'inizio avevo paura, pensavo che mio figlio volesse punirmi perché non avevo saputo capirlo ed aiutarlo". Sul viso della donna scendevano ora lacrime silenziose. "Poi però, col passare degli anni, ho capito che mio figlio si fa sentire per dirmi che mi vuole bene e che non vuole lasciare del tutto questa vita perché mi sta aspettando. Mi creda signorina, non c'è nulla in questa stanza che giustifichi i suoni che si sentono in certe notti"
Janet era sbigottita, non sapeva più cosa credere. Balbettando obiettò "m‐ma io… cosa c'entro io?" "Non so cosa dirle signorina, ma è un fatto che lei abbia sentito ciò che pensavo di poter sentire solo io. Forse lei ha la capacità di sentire le anime dei trapassati. Se così fosse, se dovesse accorgersi che è così, non abbia paura. Cerchi solo di capire cosa le chiedono. Se si fanno sentire, è perché vogliono dire qualcosa a qualcuno, o hanno delle cose in sospeso. Non abbia paura. Adesso sarà meglio che vada, signorina. Credo di averle preso più tempo del necessario. Arrivederci e in bocca al lupo per i suoi studi".
Janet uscì in silenzio da quella stanza, da quella casa. Non riusciva a pensare a nulla. I suoi impegni, i suoi studi le sembravano improvvisamente cose così tanto piccole... Tornò al convitto, salì di filato in terrazza e rimase lì, a cercare di godersi gli ultimi raggi del tramonto. Diede una scorsa all'agendina che portava in borsa, fitta di impegni…
La chiuse e la fece volare dalla terrazza.