L'idolo non è nulla
Eccolo il mio idolo, la mia ragione di vita, il mio tormento! Steso sul freddo marmo della cucina, indegno e volgare, un vuoto fantoccio senz'anima. Eppure non mi era apparsa così la prima volta in cui i nostri occhi si erano incontrati. Elena, non poteva chiamarsi in un altro modo, un nome da semidea, distruttrice dei destini, capace di passare anche sopra mille cadaveri in putrefazione, mantenendo il colore del sole sul viso. Elena... imprendibile, o meglio ' impossessible', per dirla alla francese. Quella sera ero andato senza mia moglie alla festa di Marco, costretta a casa a causa di un malore improvviso della baby‐sitter. Lei era lì, sbucata chissà da dove, nessuno sembrava conoscerla, apparsa dal nulla come solo una divinità sa fare. Le bastò poco: un sorriso, uno sguardo e io non ero più. Sì era trasferita da poco in città, era giunta lì con un'amica che ora sembrava introvabile. ‐ Come farò a tornare a casa?‐ Chiese con un broncio da bambina. Inutile dire che tutti i maschi che non avevano al seguito mogli o fidanzate si erano mostrati disponibili. Io solamente non avevo avuto il coraggio di risponderle. Me ne stavo lì, muto e idiota, a guardare qualcosa di troppo grande per me. Ma lei mi aveva sorriso e indicato, chiedendomi di accompagnarla. Ero dunque io il prescelto, quello che fra tutti aveva il privilegio di stare vicino al miracolo? Balbettai una risposta e lasciai che mi seguisse in macchina. Lungo la strada non faceva che parlare e parlare, raccontava del suo momentaneo lavoro come modella e hostess di congressi, e del suo sogno di fare l'attrice, e altre cose simili. Non aveva però importanza quello che diceva, ma come le parole uscivano dalla sua bocca, flautate e carezzevoli come velluto. La seguii frastornato dentro casa sua, come un cane randagio che spera in una carezza, e lei sembrava disposta a darmi anche più di questo. Mi baciò (dovette farlo lei, perché io non ne avrei avuto mai il coraggio) e la sua stessa bocca sapeva di miele. Tutto in lei era troppo, troppo perfetto, talmente da confondermi: le sue mani, la sua pelle, tutto era un inno all'amore. Perciò non potei... Non potei averla, né quella sera, né in seguito. Avrei voluto, Dio se l'avrei voluto, ma semplicemente non potevo. Ogni volta che dovevamo incontrarci mi dicevo che ce l'avrei fatta, ero un uomo normale che sa cosa si deve fare con una donna. Né ciò aveva niente a che fare con degli scrupoli verso mia moglie e i miei figli, dato che non ero nuovo ad avventure adulterine. Ma in lei c'era qualcosa che mi terrorizzava, quando stavo per prenderla temevo che la sua stessa aura mi avrebbe afferrato e bruciato. Non ero un Anchise o un Adone, non avrei potuto fare come loro, congiungermi con una dea e uscirne illeso. Lei sapeva il potere che esercitava, ne rideva e ci giocava, sapendo che da me avrebbe ottenuto qualsiasi cosa. M'indebitai per comprarle gioielli, pellicce, vestiti firmati, nonché l'affitto di un appartamento di lusso, doni che sarebbero serviti ad ammansire la sua feroce divinità, inducendola a rendermi quella grazia che tanto agognavo. Ma stavo per rassegnarmi, poiché ero quasi convinto che nessun uomo potesse possederla. ‐ Non puoi andare avanti così... Che sarà mai?! É bella, ma è una donna come tante. Pensala in questo modo, caricati e magari prendi una pastiglietta di Viagra... Vedrai che nottata...‐ Questo mi aveva detto Marco, il mio migliore amico informato del mio tormento, mentre mi porgeva la mitica pillola blu. Mi gasai, immaginai di prenderla in tutte le posizioni, e mi recai baldanzoso e 'viagrato' al suo appartamento. E ci sarei riuscito, se solo non le avessi guardato il viso, quel sorriso di sfida che pareva dirmi: ‐ Veramente pensi che basti una pillola per possedermi, per toccare la mia essenza superiore?‐ Perciò tutto naufragò in un senso di frustrazione ancor più intenso del solito. Lei rise di scherno: ‐ Lascia perdere... Evidentemente sei un caso senza speranza...‐ Allora fui convinto che ciò non sarebbe riuscito a nessuno, che dovevo accontentarmi della sua luminosa vicinanza e non chiedere di più. Avrei in qualche modo trovato serenità in questo, se non fosse che lei era una dea crudele, capace di trovare mille modi per tormentare i suoi fedeli. Quella stesa sera mi aveva raggiunto Marco, doveva portarmi urgentemente dei documenti dall'ufficio e sapeva di trovarmi lì (dove sennò, ormai sembravo essermi dimenticato di avere una famiglia). Lei lo aveva accolto, carezzevole come una gattina che fa le fusa, e gli era bastata un'occhiata per capire la mia bruciante disfatta. ‐ Mi scuserai, vero Franco? Ma devo far vedere urgentemente una cosa a Marco. Se vuoi seguirmi un attimo?‐ Aveva invitato il mio amico con un tono che rivelava mille promesse, di cui io, purtroppo, sapevo il contenuto e a cui, idiota, non sapevo oppormi. ‐ Tanto non ci riuscirà... É impossibile‐, m'incoraggiavo. Eppure loro non tornavano e i minuti scattavano roventi nella mia testa. Alla fine non sopportai l'attesa, dovevo sapere se esistesse qualcuno capace di compiere il miracolo. Mi fermai davanti alla porta della sua camera, era socchiusa e io l'aprii quel tanto che bastava per spiare. Sarebbero dovuto bastarmi i sospiri di Elena per capire, invece volevo vedere, farmi del male pur di sapere come fosse possibile quello che stava accadendo. Ed eccolo l'Anchise, l'Adone, colui capace di possedere una dea senza rimanerne nemmeno ustionato, in grado addirittura di renderla volgarmente umana e, udite udite, perfino d'insultarla trivialmente durante l'amplesso. E in effetti lei non aveva niente di supremo in quel momento, sembrava una qualsiasi sgualdrina da film porno di quarta categoria. Sapeva, sicuramente sapeva, che sarei andato a vedere, voleva mostrarmi quanto fossi mancante, incapace di darle ciò che qualunque mediocre uomo poteva fare, chiunque troppo ottuso per vedere la sua luce. Quando uscirono dalla stanza, io li stavo attendendo in salotto. Avrei voluto fare una scenata, picchiare lui e, magari, stuprare lei ( che ottimista, direte...), invece non riuscii a dire una parola. Marco sembrava non avere il coraggio di guardarmi negli occhi e se ne andò con una scusa, Elena invece era euforica, vivace e bellissima in modo impossibile. Tornato a casa non trovai più nessuno, non me ne meravigliai, dati i creditori alle porte e le mie continue assenze. Non era stata la mia famiglia ad abbandonarmi, ero stato io a cancellarla dalla mia vita, tutta tesa ormai verso un'ossessione impossibile. Non dormii tutta la notte, solo, nel silenzio di mura che una volta erano state piene di vita. Pensai a lei, alla sua essenza divina e a come essa era stata spezzata da Marco. Eppure non potevo convincermi che si trattasse solo di una mia illusione, così come un fervente credente non può accettare l'idea che Dio non esista. Dovevo capire per cosa avevo buttato via la mia vita. Mi recai di buon'ora a casa di Elena (nel cui affitto erano confluiti buona parte dei miei averi), pareva stanca e di malumore, ma sempre sublime. Mi chiesi se Marco fosse tornato da lei ieri notte. ‐ Perché mi hai fatto questo?‐ Riuscii a chiederle. ‐ Cosa?‐ Elena ostentava un'aria d'indifferenza, mentre tirava fuori dal frigo un cartone di succo d'arancia. ‐ Hai fatto sesso con Marco quando io stavo sotto lo stesso tetto. Perché questa crudeltà?‐ ‐ Nessuno ti ha detto di andare a sbirciare, se solo saresti stato più discreto...‐ Ma le dee possono dare risposte idiote e sgrammaticate? Perché questa ne aveva tutta la parvenza. ‐ Perché l'hai fatto?‐ Insistetti. ‐ Forse così hai capito come si fa...‐ Elena rise, ma non era la sua risata melodiosa, era qualcosa di basso, volgare, da donna di strada. E allora la guardai con più attenzione, c'era qualcosa nella piega della sua bocca e nel modo in cui sorbiva il succo del bicchiere che prima mi era sfuggito. ‐ Mia moglie mi ha lasciato... Se n'è andata con i miei figli... Ho perso tutto per te...‐ ‐ Doveva essere una molto noiosa tua moglie, se invece di stare con lei, stavi sempre dietro di me...‐ Mia moglie noiosa? Tutt'altro! Era sempre stata più attiva e vivace di me, un tipo creativo nel lavoro e nella vita, una donna che si era realizzata pur non facendo mancare nulla alla famiglia. Elena invece cosa aveva concluso? A venticinque anni sognava ancora di entrare nel mondo dello spettacolo, mentre si faceva pagare i suoi vizi dagli altri. Non aveva nemmeno pensato a curare minimamente la propria cultura, e si crogiolava beata nella sua ignoranza. E sapete di cosa mi accorsi? Non era nemmeno bella, non in quell'accezione che le avevo dato in quei mesi. Invece delle labbra sembrava avere dei salsicciotti mal rifatti ed emetteva un suono fastidioso quando cercava di sorbire il succo fino all'ultima goccia. Niente a che fare con la classe di mia moglie! Quella che avevo scambiato per maestosa regalità non era che dozzinale supponenza. Il furore mi prese contro quel mostro che mi si era appena rivelato, l'afferrai per il collo e strinsi, strinsi, e più stringevo più godevo. La sua vita così, tra le mie mani, valeva più di un semplice amplesso, si dibatteva convulsamente, ma ora che l'avevo presa, ora che ero il suo padrone, non avrei potuto rinunciare all'unica soddisfazione che era stata in grado di darmi. Continuai a stringere, anche quando ormai la sua pelle aveva assunto un tonalità bluastra e le sue braccia penzolavano. La lasciai cadere improvvisamente, orripilato da quello che avevo davanti agli occhi, un corpo morto che ora corrispondeva all'anima morta che vi aveva abitato.