L'Oracolo dell'Inchiostro
Nel crepuscolo d’ambra, ove l’orizzonte si dissolveva in un velo d’indaco e porpora, un uomo sedeva sul ciglio d’un’antica balaustra. Il suo volto era celato da un tomo, non aperto per l’ardore della lettura, ma posato su di esso come maschera di un’identità smarrita. I fogli, come ali di farfalla strappate da un soffio impetuoso, si libravano nell’aria crepuscolare, dispersi nel vento come oracoli dimenticati.
Era costui un viandante della mente, un pellegrino dell’arcano sapere, che nella silente attesa del verbo divino cercava risposte celate nei sussurri dell’aria. Il suo nome era Efraim, e da tempo immemore percorreva i sentieri dell’ignoto, inseguendo il senso ultimo dell’esistenza. Ma quella sera, seduto sull’orlo della città addormentata, sapeva che il mondo stesso gli avrebbe parlato.
Le pagine strappate non erano soltanto pergamene cadute dal firmamento della sua immaginazione, bensì frammenti d’un sapere antico che sfuggiva alla prigionia dell’inchiostro. Volteggiavano nel cielo, danzando con la brezza serotina, e nel loro turbinare parevano comporre arcane scritture, effigi di un linguaggio perduto che solo il cuore degli eletti poteva comprendere.
Efraim tese l’orecchio al respiro del vento, e fu allora che udì la voce.
Non era suono, né eco di parole umane, ma piuttosto un sussurro d’eternità, un fremito d’invisibili labbra tessute nella trama dell’universo. Gli parve che il cielo stesso fosse un’immensa pagina bianca, e che le nuvole fossero le lettere d’un poema incompiuto, scritto da una mano invisibile che ancora narrava, ancora sussurrava, ancora sognava.
D’un tratto, una pagina si posò ai suoi piedi, come colomba che torna al nido. Egli la raccolse con reverenza, scorgendo parole scolpite in un inchiostro che pareva pulsare di vita propria. Lessero i suoi occhi, e il cuore gli sobbalzò nel petto.
“Tu che cerchi oltre il velo dell’illusione, ascolta il verbo che il mondo ti offre. Il sapere non è scritto, né posseduto, ma colto nel fluire degli istanti, nel battito d’ali d’un pensiero, nella voce del vento che scompagina i dogmi e scioglie le certezze.”
Efraim comprese. Il libro che aveva tenuto chiuso sul volto era il simbolo della sua ricerca vana, dell’illusione che la verità fosse racchiusa nelle pagine anziché nel tessuto stesso del reale. Sollevò lo sguardo verso il cielo, e per la prima volta non cercò risposte, ma ascoltò il silenzio che le conteneva tutte.
Allora il vento tacque. Le pagine, ormai prive di vincoli, si dissolsero nell’aria come fossero fatte di luce. L’uomo si alzò, e con passo lieve s’incamminò verso l’ignoto, non più pellegrino dell’inchiostro, ma viandante dell’essenza.
E mentre la notte avvolgeva il mondo, la città riposava ignara che, per un istante fugace, un uomo aveva decifrato il canto dell’eterno.