L'ospite (Prima Parte)
Giuliana non abitava in paese. Per raggiungere casa sua bisognava percorrere la strada sterrata che si snodava solitaria in mezzo alla campagna, e dal paese portava alla frazione più vicina. Non c'era nulla che indicasse dove fosse l'abitazione, ma tutti conoscevano Giuliana, e tutti abbozzavano un sorrisetto malizioso quando venivano interpellati su di lei: ciò soltanto perchè era considerata una persona un po' strana. In realtà non c'è nulla di strano in una persona che ha scelto di vivere sola e di dare poca confidenza agli altri, ma si sa che la gente fa presto a etichettare qualcuno di cui non capisce granchè. Il marito di Giuliana se n'era andato da tanti anni e anche sua figlia Luciana era partita appena raggiunta l'età adulta. Al contrario del marito che non si era più fatto vivo, la figlia spesso le telefonava vincendo l'imbarazzo di lunghi silenzi in cerca di qualcosa da dire, che non trovava. Dopo aver pronunciato le solite parole di rito "Ciao come stai?" ed avere ricevuto la risposta "Bene grazie" lei non sapeva più cosa dire e il silenzio di sua madre certamente non l'aiutava. Daltronde c'erano periodi in cui quest'ultima sembrava indifferente a tutto, chiusa in un suo mondo personale che escludeva chiunque. Da quando poi la figlia era partita Giuliana non aveva più interferito nella sua vita, rispettando la sua riservatezza. Luciana però le voleva molto bene e spesso si domandava come fosse veramente, sua madre, sentendo un grande desiderio di conoscerla al di là dei loro rispettivi ruoli. Giuliana, da parte sua, aveva accettato senza discutere la partenza del marito ed anche quella della figlia. Riempiva le sue giornate al massimo in modo da non avere alcuna residua energia per pensare troppo, specialmente prima di dormire. Era una persona diretta, per certi versi austera, che andava diritta all'essenziale, molto intransigente con se stessa, ma sempre pronta a giustificare gli altri, anche se preferiva di gran lunga tacere, a meno che non venisse incalzata con insistenza. Chi la conosceva la provocava di proposito, ben sapendo che correva il rischio di sentirsi dire cose indesiderate, ma sicuro che niente e nessuno avrebbe potuto condizionare ciò che lei avesse avuto da dire. In casa sua non c'era uno specchio che la ritraesse intera, ma anche se ci fosse stato lei avrebbe sicuramente continuato a vestirsi davanti alla finestra con gli indumenti più comodi che avesse avuto a portata di mano: un paio di pantaloni di velluto in inverno, e jeans in estate; una maglia o camicia assolutamente grande con le maniche corte, e scarpe adatte alla campagna. Lo specchio nel bagno le serviva giusto per una ravviata veloce ai capelli corti e bianchi. Se l'espressione perennemente accigliata del suo sguardo non avesse scoraggiato chiunque da qualunque tipo di approccio, e qualcuno si fosse soffermato a guardare nei suoi occhi chiari, si sarebbe potuto rendere conto che in realtà essi erano pieni di dolcezza. Forse proprio per questo lei li nascondeva dietro grandi occhiali da sole. La sua giornata era ricca di attività: il giardino la occupava moltissimo e poi la terra coltivata a verdura. Giuliana camminava fra le file di piantine, chinandosi ogni tanto a nettarne qualcuna, attenta a non sciupare nulla. La sua vita era lì, nel silenzio umido della serra dove lei poteva respirare profondamente la natura spiando la crescita di quei virgulti di un tenero verde che si irrobustivano ogni giorno di più. Fuori i suoi due cani rimanevano in attesa per correrle incontro scodinzolanti appena usciva dalla serra, pronti a ricevere le carezze a cui erano abituati e che lei certamente non faceva mancare a nessuno dei due. Li aveva presi al canile. Non li aveva scelti: non venivano adottati perchè di grossa taglia e bisognosi di spazio. Lei non ci aveva pensato un attimo e se li era portati a casa. Li aveva chiamati Socrate e Platone in nome del suo antico desiderio di dedicarsi agli studi di filosofia che tanto l'avevano affascinata quando aveva iniziato le scuole superiori, ma che era stata costretta ad interrompere. Socrate era un pastore tedesco di otto anni, solido e intelligente. Platone era un bellissimo pastore maremmano bianco, astuto, un po' ribelle e giocherellone. Anche lui aveva otto anni. I due cani erano cresciuti insieme e si facevano molta compagnia. Tutto il giorno vivevano all'aperto, ma alla sera entravano in casa ed ognuno di loro aveva il suo posto preferito. Socrate si sdraiava sotto il tavolo della cucina e, facendo finta di sonnecchiare, spiava ogni movimento di Giuliana ed anche dei due gatti che se ne stavano raggomitolati sulle sedie. Platone invece si sdraiava davanti alla porta d'ingresso della casa, sopra una stuoia che ormai gli apparteneva. Cani e gatti vivevano tranquillamente insieme e spesso si rincorrevano giocando, con grande preoccupazione di Giuliana che vedeva in pericolo mobili e suppellettili varie, così quando non ne poteva più, cercava di cacciare tutti fuori casa. I gatti saettavano velocissimi verso l'uscita: fra i due Chicco era il più timido e con poche falcate si proiettava sopra un armadio da dove teneva sotto controllo la situazione; Tigre invece era permaloso: si fermava di fronte alla porta d'ingresso e gonfiava la coda rivolgendo a Giuliana un miagolio indispettito prima di andarsene con fare sussiegoso. Lei amava tutti i suoi animali, il giardino, la serra, e quella casa che la faceva sentire protetta. In casa le piaceva la penombra, specialmente in certi pomeriggi d'estate quando si accomodava sulla poltrona preferita e scrutava segmenti di raggi di sole che filtravano attraverso le gelosie accostate rendendo sonnolenta l'atmosfera della sala. Giuliana socchiudeva gli occhi e si abbandonava ad un breve riposo nel silenzio interrotto soltanto dal tic‐tac dell'orologio a pendolo. A volte si addormentava, ma non era un sonno profondo, era solo una specie di dormiveglia in cui realtà e fantasia si mischiavano, e dal quale si destava all'improvviso con uno spiacevole senso di disagio. Allora si alzava in fretta e correva in bagno a lavarsi il viso, come a scacciare ombre indesiderate. Poi si preparava il caffè e andava a sorseggiarlo in giardino. Appena si sedeva sulla panca accanto al roseto, Socrate e Platone si sdraiavano col muso appoggiato ai suoi piedi e rimanevano immobili, ma con i sensi attenti a captare la più piccola vibrazione, il più impercettibile movimento di lei.
In un pomeriggio d'estate, mentre beveva il suo caffè in giardino, i cani drizzarono le orecchie all'improvviso e si misero ad abbaiare. Poco dopo Giuliana sentì il cigolio dei freni di una bicicletta.
"Buoni...buoni" Fece tacere i cani e andò verso il cancello.
"Ah, sei tu. Ciao. Cosa succede?"
Era Gelsomino detto Mino. Tutte le volte che Giuliana pensava a lui si chiedeva come avessero potuto i genitori appioppargli un nome del genere. In paese tutti conoscevano il suo nome per intero, ma soltanto i bambini si permettevano di deriderlo. Mino ormai era abituato e non se la prendeva più.
"Ciao Giuliana, come va? Non ti si vede quasi mai."
"Sto bene, grazie. Non sarai venuto fin qui per chiedermi come sto!"
"No no, certo. Stammi a sentire. C'è un giovanotto in paese, un bravo ragazzo che avrebbe bisogno di una sistemazione per un certo periodo, solo per qualche mese. Abbiamo pensato che tu hai una casa tanto grande e che magari potresti......"
"Non se ne parla. Non voglio estranei in casa." Giuliana era irritata. "Come può venirvi in mente una cosa del genere? Io sono una donna sola...."
Mino rise.
"Donna sola! Tu sei un ariete, una testa di cuoio, un Rambo!"
"Va bene, pensa ciò che vuoi. Non se ne parla."
Mino la conosceva da tutta la vita e capì che come primo raund era sufficiente. Doveva lasciarle il tempo di pensarci, e poi tornare alla carica. Ma mentre se ne andava le gridò:
"Guarda che è disposto a pagare bene!"
"Vatteneeeeeee" L'urlo di Giuliana lo investì mentre già pedalava a tutta velocità verso il paese chiedendosi perchè mandavano sempre lui nelle missioni più pericolose.
Lei rientrò in casa. "Rambo" rise fra sè, scuotendo la testa.
Ma cominciò a pensare alla proposta. Era contrariata che la sua tranquillità fosse stata disturbata, ma non poteva fare a meno di pensarci. Così la sera stessa decise che aveva bisogno di un consiglio e telefonò a sua figlia Luciana.
"Pronto..mamma???" Luciana si chiese se fosse andata a fuoco la casa, o addirittura il paese intero, o fosse imminente la fine del mondo. Non aveva memoria che sua madre l'avesse mai chiamata da quando era partita.
"Mamma! Stai bene? Cosa è successo?"
"Ma sì, sto bene."
Giuliana raccontò i fatti alla figlia e lei espresse la sua opinione.
"Mamma, almeno accetta di conoscerlo. Magari è una brava persona, la casa è grande, e la presenza di un uomo in casa può sempre convenire."
"Ho i miei cani!"
"Certo certo mamma, ma i cani sono pur sempre cani" Luciana si rendeva conto di muoversi su un terreno minato e decise di andare all'attacco.
"Mi hai telefonato per avere un consiglio. Io te l'ho dato. Adesso vedi tu."
"Questa è una risposta. Grazie."
Più tardi Giuliana decise che in fondo non c'era nulla di impegnativo nell'incontrare il ragazzo, e al tempo stesso lei avrebbe potuto farsi un'idea più precisa. Va bene che tanto le persone non si conoscono mai, rifletteva fra sè, perciò il rischio c'era sempre, però sì, conoscerlo era una buona idea. Così se ne andò a dormire pensando che l'indomani sarebbe andata in paese e avrebbe risolto la questione.Quando si svegliò l'orologio segnava le cinque e un quarto. Era davvero presto e avrebbe dormito volentieri ancora un po', ma quando il cervello si mette in azione, come fermarlo? Così decise di alzarsi, immediatamente seguita dai suoi quattro animali. Preparò le ciotole col cibo per Chicco e Tigre e poi per Socrate e Platone. Li accarezzò con tenerezza mentre cominciavano a mangiare e cambiò l'acqua nei recipienti come faceva ogni mattina affinchè l'avessero sempre fresca. Mentre preparava il primo caffè della giornata, il più gradito, si domandò se avere una persona in casa l'avrebbe costretta a modificare le sue abitudini, e si chiese anche come avrebbe potuto conciliare la presenza di un ospite con quella di due cani e due gatti che da sempre vivevano la casa senza alcuna restrizione. C'era però una stanza in cui gli animali non erano mai entrati perchè era chiusa da molti anni, ed era proprio la camera destinata ad eventuali ospiti. Per gli animali non sarebbe cambiato nulla. Ricordando la camera per gli ospiti, subito le venne la curiosità di andare a darle un'occhiata per capire come si potesse presentare agli occhi di un estraneo. Salì al piano di sopra e si fermò esitante davanti alla porta chiusa: quella era stata la camera di suo padre. Quando si decise ad aprire, appena accesa la luce, subito lo immaginò seduto sulla poltrona con un libro o un giornale in mano come era solito stare. Corse ad aprire la porta finestra ed uscì sul balconcino proprio mentre l'alba irradiava la sua prima luce. Aveva bisogno di respirare profondamente per controllare l'emozione. Sotto di lei la serra e di fianco il frutteto. Suo padre aveva creato e amato tutto questo, e anche quando si era ammalato e non aveva più potuto dedicarsi alla sua campagna, si sedeva in sedia a sdraio sul balconcino e si interessava ad ogni problema pretendendo di risolvere ancora lui ogni cosa; era convinto che nessuno fosse alla sua altezza. Un autentico combattente, a volte insopportabile, che aveva lottato contro il male con determinazione fino a che, purtroppo, le forze avevano cominciato ad abbandonarlo. Giuliana ripensò agli ultimi tempi in cui lui ormai era quasi del tutto consumato dalla malattia e i suoi occhi diventavano sempre più grandi e smarriti in un viso sempre più scarno. La commozione le riempì gli occhi di lacrime che lei lasciò scendere liberamente per pochi istanti; poi sospirò e rientrò per dare un'occhiata all'insieme. La camera era spaziosa e attrezzata di tutto: letto, armadio, comodino, e una scrivania proprio accanto alla poltrona; certo i mobili erano vecchi, anche se belli e solidi, e daltronde tutta la casa era stata arredata parecchi anni prima. Decise che in fin dei conti l'ambiente era discretamente accogliente. Lo squillo del telefono interruppe i suoi pensieri.
"Pronto"
"Ciao mamma, sono io. Allora cosa hai deciso?"
"Oggi vado a conoscerlo."
"Bene, sono contenta. Ti chiamo stasera. Ciao"
Era mattino inoltrato quando il telefono squillò anche a casa di Mino che certamente non si aspettava di sentire la voce di Giuliana.
"Ciao Mino, sono Giuliana. Ho deciso di conoscerlo, il giovanotto, ma solo di conoscerlo, senza nessun impegno, giusto per farmi un'idea. Chiaro?"
L'appuntamento fu deciso per le ore 17 di fronte all'unico bar‐trattoria‐bazar, e chi più ne ha più ne metta‐ nell'unica piazza del paese.
Anche se Giuliana cercava di non dare troppa importanza al fatto, quella non poteva essere una giornata come le altre, e non lo fu. Si impegnò a fondo nella pulizia della casa, e poi nella serra e nel giardino. A mezzogiorno era stanca e non aveva voglia di cucinare perciò si preparò un'insalata. Prima di sedersi a tavola andò nella stanza da bagno per mettersi un po' in ordine. Lì, davanti allo specchio posto sopra il lavandino, si soffermò a lungo, come da tempo non succedeva, e si specchiò avvicinandosi quasi a sfiorare lo specchio, passandosi la mano sul viso e indugiando sulle rughe più profonde. Constatò quanto si fosse assottigliata la sua pelle, anche se ancora liscia e vellutata, decidendo che, in conclusione, non stava invecchiando poi così male.
Quando ebbe finito di mangiare l'insalata e la frutta se ne andò in giardino a bere il caffè, scherzando con Socrate e Platone che le scodinzolavano intorno col rischio di farla inciampare.
"Allora, cosa ne dite? Mi dovrò vestire elegante oggi? O come al solito!"
I due cani la guardavano come se volessero risponderle mentre lei li accarezzava e scompigliava loro il pelo affettuosamente. Poco distante, Chicco e Tigre se ne stavano sdraiati al sole e, sornioni, osservavano la scena, apparentemente indifferenti, ma lei che li conosceva bene sapeva che quel certo modo nervoso di leccarsi a intervalli la zampetta denotava una mal dissimulata gelosia. Così si alzò e andò a coccolarli un po'.
Alle 17 in punto la vecchia bicicletta nera di Giuliana, con lei sopra in jeans, camicia e occhialoni scuri, frenò cigolando di fronte a "La Pergola".
Ecco, quello che aveva di bello il bar‐trattoria ecc.ecc., era la pergola antistante il locale: una vecchia vite che faceva da tetto a sedie e tavolini, e in quel periodo già ricca di grappoli d'uva in via di maturazione. Neanche a dirlo, il cartello "La Pergola" campeggiava a destra dell'entrata del bar, in una scritta multicolore, chissà perchè, verticale. A sinistra invece un cuoco di cartone dal viso tondo e rubicondo invitava la gente ad entrare. Tovagliette a quadretti bianchi e rossi ed altre a quadretti bianchi e blu ornavano i tavolini, e cuscini delle medesime fantasie rendevano più allegre ed anche più comode le semplici sedie di formica e metallo. Il dehors era delimitato da grossi vasi di fiori variopinti in piena fioritura: da sempre una grande passione del proprietario.
Giuliana riteneva tutto ciò una inutile mania di grandezza, prerogativa del vecchio Toni che pareva non essersi ancora reso conto di vivere in un paese in cui nessuno poteva capitare per caso, ed era altresì molto improbabile che qualcuno avesse un qualsiasi motivo per recarvisi. Eppure non avrebbe saputo immaginare la piazza senza il locale di Toni con i suoi colori e la sua allegria. Chissà cosa ne sarebbe stato del locale, quando lui non ci fosse stato più! Giuliana sospirò e si guardò attorno. In un angolo del dehors vide subito Mino seduto ad un tavolino insieme al giovanotto. Chiaccheravano sottovoce davanti a due bicchieri di vino, anzi di sangrìa. Lei lo capì guardando la caraffa nella quale erano ben visibili pezzi di frutta nonostante il vetro appannato. "Vecchia volpe!" pensò. Mino sapeva molto bene che a lei piaceva la sangrìa, e giocava le sue carte. Lui la vide e le fece un cenno. Lei si tolse gli occhiali per educazione, li infilò nel taschino della camicia e si avviò verso di loro.
Il "giovanotto" si chiamava Mauro e la prima cosa di cui si rese conto Giuliana fu che lui non era così giovane come lei aveva immaginato. Era un uomo di almeno trentacinque anni, cordiale, dall'aspetto piacevole. Le piacquero di lui anche l'abbigliamento semplice e comodo e il modo di interloquire diretto ma educato.
"Io non ho niente contro gli animali" le stava dicendo "non mi dànno alcun fastidio, anzi mi piacciono."
La risposta di Giuliana arrivò immediata e secca.
"Non mi sono posta questo problema. Semmai mi sono posta il problema che i mei animali potrebbero non gradire la sua presenza."
Le orecchie di Mauro diventarono di fuoco e lei capì che era timido, ma anche permaloso. Nella sua vita aveva visto arrossire tante persone, ma mai nessuno di cui arrossissero soltanto le orecchie. Questo la divertì e pensò che se davvero Mauro avesse vissuto in casa con lei, le sue orecchie sarebbero andate a fuoco molto frequentemente. Così abbozzò un mezzo sorriso che non sfuggì a Mino che non aveva capito niente, ma subito le riempì il bicchiere, ligio al vecchio detto "il ferro va battuto finchè è caldo".
Si lasciarono cordialmente e con la promessa che il giorno seguente Mauro sarebbe andato a farle visita. Mentre tornava a casa in bicicletta lei si sentiva bene. Il suo sguardo avvolgeva i campi e gli alberi mentre le sue narici assorbivano il profumo della campagna. Il vento le andava incontro accarezzandole il viso e lei socchiudeva gli occhi felice. Sorrise quando sentì l'abbaiare festoso dei suoi cani che già da lontano l'avevano sentita arrivare. Cosa mai avrebbe potuto desiderare di più? A casa dovette frenare il loro entusiasmo per non essere buttata per terra.
"Buoni, buoni" rideva, mentre si sottraeva agli assalti affettuosi di Socrate e Platone. "Buoni, mi fate cadere!"
Quando finalmente riuscì ad entrare in casa, si lasciò cadere nella poltrona preferita e rimase lì a pensare. Mentre accarezzava i suoi cani che le avevano appoggiato la testa in grembo, rivide il viso di Mauro:un viso dai lineamenti marcati sotto una capigliatura castana un po' riccia e certamente non facile da dominare. Leggere ombre azzurrine sotto agli occhi chiari conferivano al suo sguardo un'espressione malinconica e, unite alle mascelle angolose e il naso sottile, costituivano un insieme vagamente ascetico. Ma le labbra morbide e ben disegnate ispiravano sensualità e scoprivano nel sorriso una bellissima dentatura. Un uomo curato, attento a se stesso, sicuramente dotato di fascino, ma con qualcosa di sfuggente che Giuliana istintivamente avvertiva.
"Eccomi già qui a elaborare congetture" pensò alzandosi di scatto.
"Avanti ragazzi, andiamo!" E corse fuori inseguita da cani e gatti: sapevano che era giunta l'ora più bella della giornata: l'ora del gioco.