L'ultima giocata
L'ultima giocata e poi sarebbe andato in edicola. La ragazza della ricevitoria prese i soldi e inserì i numeri, dopo pochi minuti l'ennesima delusione; i numeri estratti non erano i suoi. Mentre stava per uscire frugò in tasca e trovò ancora qualche moneta. "Dammi un gratta e vinci da cinque" Disse rivolto alla ragazza "Quale?" Chiese lei. "Fai tu" "Allora tieni questo, è nuovo" "ASSICURATI IL TRAPASSO. Ma che razza di gioco è?" "Gratta, gratta. Se trovi tre bare uguali vinci il premio massimo, un milione di euro" "Così mi garantisco il funerale e tutto il resto" "L'idea è quella" Decise di non grattare subito, salutò e uscì dirigendosi verso l'edicola, come tutti i giorni. Una volta entrato la proprietaria, una bella signora di mezz'età, lo accolse con sarcasmo "Allora Giuseppe, sempre in giro a zonzo, non lavori mai tu, vero?" Sempre le stesse battute, tutti i giorni. Stava per recitare la sua parte, come sempre, invece esitò un attimo e decise di cambiare copione. "Ascoltami bene oca starnazzante; fatti i cazzi tuoi!" Lei restò scioccata da quelle parole, ma rispose tranquilla "Va bene, oggi hai la luna storta, prendi il solito?" "Si, dammi anche un nazionale, quello che vuoi tu" Pagò e senza salutare se ne andò. La cliente dopo di lui si rivolse alla proprietaria "Gran maleducato quel Giuseppe" "Lo conosco da troppo tempo, avrà avuto i suoi motivi"
Era seduto ad un tavolo del bar sul corso, dove spesso andava a fare colazione. Senza fretta mangiò un cornetto accompagnato da un cappuccio e poi si mise a sfogliare il giornale della provincia. Le due pagine riportavano una serie di articoli riguardanti l'accaduto: tre banditi, a volto coperto, erano entrati in una villa in città e dopo aver immobilizzato i presenti avevano ripulito l'abitazione per poi darsi alla fuga. I proprietari erano riusciti a dare l'allarme e i tre malviventi erano stati intercettati nei pressi dell'abitazione da una pattuglia dei carabinieri. Uno dei malviventi aveva esploso dei colpi di pistola ai quali i militari avevano risposto centrandone due mentre il terzo, nel trambusto, era fuggito a mani vuote. Uno dei tre era morto, mentre il secondo era ferito lievemente ad una spalla. Seguivano tutta una serie di interviste e racconti dettagliati che riassumevano la dinamica degli avvenimenti. I banditi erano entrati a forza dalla finestra della sala e una volta all'interno avevano subito immobilizzato i proprietari senza far loro nulla di male. Si erano fatti consegnare le chiavi e la combinazione della cassaforte e dopo aver arraffato tutto quello che potevano, compresi dei documenti, si erano dati alla fuga. Il proprietario era riuscito a liberarsi subito e a dare l'allarme facendo intervenire tempestivamente le forze dell'ordine. Le vittime dell'aggressione dichiararono di non aver riconosciuto i malviventi e furono sorpresi nell'apprendere l'identità dei due uomini colpiti. L'uomo ferito era un trentaseienne della zona con una lista di precedenti lunga come quella delle tasse, mentre la vittima era un operaio assunto presso la loro azienda. Giovane, incensurato con regolare permesso di soggiorno, un lavoro stabile e la famiglia: gli investigatori non capivano cosa ci facesse lì e i derubati non furono d'aiuto a risolvere il caso. Del terzo componente si erano perse le tracce, ma i primi elementi lasciavano presupporre che si potesse trattare di un malvivente della zona. I vari articoli ricamavano tutta una serie di ipotesi e congetture. Giuseppe chiuse il giornale e ordinò un caffè. Prese il quotidiano nazionale e dopo una breve ricerca trovò la notizia: l'articolo continuava sinteticamente analizzando i fatti avvenuti, nessun commento o ipotesi. Il caffè si stava freddando e lui lo trangugiò in un fiato; una pacca sulle spalle lo fece trasalire. "Bastardi. Entrano nelle case terrorizzando la brava gente. Almeno uno l'hanno fatto secco e l'altro e in gattabuia, adesso manca il terzo e il cerchio è chiuso" "Certo Alfonso" Giuseppe non voleva discutere "La brava gente va tutelata, protetta, hai ragione" "Certo che ho ragione. La gente onesta va a lavorare, non a fare le rapine. Quell'albanese aveva anche il lavoro, ma loro c'è l'hanno nel sangue le rapine e stavolta l'hanno inchiodato. Ben gli sta" "Armeno" Lo corresse Giuseppe "Cosa?" "Ho detto che era Armeno, non albanese. Il giornale dice che era incensurato" "Probabilmente non l'hanno mai beccato prima, ma stavolta ha fatto il suo ultimo viaggio" Alfonso si stava scaldando. "Aveva una famiglia" Continuò Giuseppe pazientemente. "Anche io ho una famiglia, ma alla sera mica vado in giro a rubare" Giuseppe non tentò di ribattere, rischiava solo di litigare e non era dell'umore adatto, lo lasciò quindi blaterare assecondandolo con piccoli gesti del capo e finti sorrisi e quando ebbe finito si congedò da lui e usci dal bar. Aveva bisogno di aria fresca, doveva riorganizzare le idee.
Un anno prima.
Il piccolo palazzo era ormai una colonia multietnica. Senegalesi, Romeni, Albanesi, Cinesi, Marocchini e tutta una serie di persone delle più svariate razze riempivano i piccoli appartamenti fino a farli esplodere. Giuseppe viveva all'ultimo di cinque piani, l'anziana signora Clotilde al piano terra, erano gli unici italiani rimasti. Non gli importava un gran che, la moglie lo aveva abbandonato accusandolo di essere un lazzarone. Per fortuna non erano riusciti ad avere figli quindi non aveva alcun impegno da rispettare, della moglie aveva perso le tracce. Quella sera si stava preparando della carne all'olio ma si accorse di essere restato senza cipolla; poco male, non era certo la cipolla che mancava in quel palazzo. I suoi dirimpettai pakistani avrebbero insistito per trattenerlo a cena e lui, dopo aver resistito un attimo, avrebbe accettato con piacere l'invito. Spense il fornello e uscì dall'appartamento dirigendosi alla porta difronte. Non sentiva le urla e i rumori caratteristici dei suoi vicini, marito e moglie con cinque figli scatenati. Suonò il campanello, la porta si aprì e davanti ai suoi occhi si presentò una splendida bambina che poteva avere otto o nove anni. In italiano, ma con un accento che faticò a riconoscere, si rivolse a lui gentilmente. "Buona sera, chi sei tu?" Dall'interno una voce femminile stava urlando verso la porta giungendo nel frattempo all'entrata, Giuseppe fu abbagliato da quella visione, era una donna bellissima. Lei lo stava fissando e lui si rese conto di essere rigido come uno stoccafisso. Fu lei a rompere il ghiaccio. "Chi sei? Cosa vuoi?" Lui prese fiato e parlò lentamente. "Sono il vostro vicino, abito nell'appartamento di fronte, avete della cipolla da prestarmi?" La donna lo stava osservando e lui faticava a sostenere quello sguardo determinato. Lei parlò nella sua lingua alla bambina e nel volgere di un attimo la piccola sparì per poi tornare con una cipolla. "Ecco la sua cipolla" Disse la giovane mentre la porgeva a lui. "Grazie, è stata molto gentile" Detto ciò rientrò a casa sua. Cenò velocemente e poi scese dalla signora Clotilde per avere notizie fresche, lei sapeva tutto di tutti in quel palazzo; lo accolse entusiasta. "Entra Giuseppe, è da un po' che non passi a trovarmi, hai perso la strada?" "Sono stato impegnato.... il lavoro" Indugiò lui. "Seee, il lavoro e le macchinette. Giochi ancora tanto?" "Un pochetto, a volte" Non riusciva a mentirle del tutto, lei era sempre così gentile nei suoi confronti da non meritarsi menzogne. "Preparo il caffè, nero e forte, come piace a te. Nel frattempo chiedimi quello che ti preme e vedrò se posso aiutarti" L'anziana era sveglia. "Ecco, veramente io.." "Dai Giuseppe, non fare il bamboccio. Sei sceso in fretta e furia per qualche motivo, non per fare visita a una vecchia rintronata come me" Giuseppe non riusciva mai a reggere il confronto con quella vecchia maestra in pensione e dovette cedere anche questa volta. "Volevo sapere chi sono i nuovi inquilini di fronte a me, che fine hanno fatto i pakistani?" Clotilde stava curando il caffè e restò zitta per qualche attimo. Poi quando il caffè fu pronto lo versò in due tazzine sbeccate e senza manico e ne porse una all'ospite, senza zucchero, come piaceva a entrambi. "Dei pakistani non te ne frega un cavolo quindi non sto qui a spiegarti la loro storia. A te interessa la giovane cerbiatta dagli occhi ammaliatori. Sappi che è sposata e suo marito è un bravo ragazzo. La bambina, che sicuramente hai visto, ha otto anni ed è la loro unica figlia. Lui è in cerca di lavoro, prima erano al sud e veniva sfruttato nei lavori in campagna. Lei si è sempre trovata qualche lavoretto saltuario presso alcuni privati. Attualmente sono disoccupati entrambi, ma hanno tanto entusiasmo e voglia di vivere. Perciò ascoltami bene: stai lontano da quella famiglia, non avvicinarti a loro, tu porti solo guai, capito?" " Ok Clotilde, va bene" L'anziana lo conosceva bene, non l'avrebbe ascoltata. Quella notte non riuscì a chiudere occhio. Continuava a pensare a quella splendida donna, i suoi occhi, la sua voce. Si alzò presto e fece una doccia fredda. Mangiò alcuni biscotti raffermi aspettando che arrivassero le sei per poi dirigersi al bar. "Buongiorno Giuseppe, sei mattiniero" Conosceva il proprietario del bar da molto tempo. "Si Enzo, mattiniero ed assetato. Fammi una birra e con il resto dammi un gratta e vinci da due euro" Grattò il biglietto e vinse venti euro. "E' il tuo giorno" Disse il barista. "Non fare lo spiritoso, cambiameli di moneta; come stanno le macchinette?" "Ieri sera due ragazzi slavi ci hanno dato dentro mica da ridere e hanno raccolto poco" "Bene, ci penso io a vuotarle" Giuseppe spese tutti i venti euro in un batter d'occhio senza ricavare un euro di vincita. "Mi hai raccontato cazzate Enzo, non pagano" "Sei tu sfigato" "Vai a quel paese, vado al lavoro" "Mi raccomando non stancarti troppo" Lo schernì il barista e Giuseppe si voltò verso di lui salutandolo con il dito medio rivolto all'insù.
Lavorava presso una ditta di componenti plastiche e il suo compito era quello di caricare e scaricare con un apposito carrello dei cesti dai nastri trasportatori. Un lavoro monotono ma semplice, adatto a lui. La sua fortuna era che nessuno voleva quell'incarico, proprio perché monotono e senza prospettiva. Quella mattina il suo titolare, un anziano che doveva le sue fortune allo sfruttamento di gente onesta ma poco colta, lo avvicinò e si mise ad osservare il suo lavoro. Dopo alcuni minuti lo interruppe con un gesto della mano. "Giuseppe devo parlarti" Il vecchio era un uomo autoritario. "Mi dica signore" "Stanno aumentando le commesse e ho bisogno di più ore lavoro al tuo nastro" "Farò le straordinarie, come sempre" Era eccitato, il suo cervello elaborò immediatamente una semplice equazione: più ore uguale più soldi, più soldi uguale più giocate, perfetto! "No Giuseppe, parlo di fare due turni e comunque vorrebbe dire che qualche soldo in più te lo metti in tasca" "Bene, e allora cosa devo fare?" "Vedi Giuseppe, si tratta di alcune commesse importanti, ma non di un lavoro continuativo. Potrebbero bastare alcuni mesi di turni e poi tornerebbe tutto alla normalità" "Continuo a non capire signore" Lui non era sveglissimo. "Ascoltami, ho bisogno di qualcuno disposto a lavorare per qualche mese in nero in modo che possa sbarazzarmene quando non mi servirà più e tu abiti in quel palazzo pieno di extracomunitari. Di sicuro tra tutta quella marmaglia ci sarà qualcuno disposto ad intascare quattro soldi senza sollevare troppe obiezioni, portamene uno" Giuseppe ci arrivò con un attimo di ritardo "Ma io non conosco nessuno di quelli lì" "Non mi interessa che tu li conosca, basta che me ne porti uno e alla svelta" "Quanto alla svelta?" "Una settimana. Vedi di non deludermi o dovrò pensare di sostituirti" E senza aggiungere altro si diresse verso gli uffici. Giuseppe pensò tutto il giorno a quelle parole, il suo padrone era un uomo deciso e lo avrebbe cacciato se non avesse obbedito. Quella sera era sul pianerottolo delle scale e stava cercando le chiavi di casa. "Buonasera" Una voce dietro di lui lo prese alla sprovvista. Si girò e si trovò davanti un uomo abbastanza giovane dai lineamenti marcati. "Buonasera" Rispose Giuseppe automaticamente senza badare all'altro che invece continuò "Io sono Arduid, il suo vicino di casa. Lei ha già conosciuto mia moglie Shushan e mia figlia Zepur. Sono lieto di incontrarla" Ma come parla questo? Stava pensando Giuseppe "Si grazie, anche io. Buonanotte" E senza voltarsi entrò in casa e richiuse la porta in faccia al giovane. Cenò velocemente per scendere al bar, aveva un conto in sospeso con i videopoker ed era convinto di regolarlo.Verso l'una di notte stava rientrando in casa abbacchiato come sempre, anche stavolta erano state le macchinette a presentargli il conto e lui aveva perso. Dall'appartamento dei nuovi vicini sentì i due giovani che discutevano animatamente, non capiva una mazza ma dal tono era chiaro che gli animi fossero surriscaldati. Fece spallucce e si buttò a letto, ancora vestito.
La mattina seguente, dopo aver sentito il notiziario alla radio, uscì di casa diretto al lavoro. Sul pianerottolo incontrò la vicina e con fare gentile accennò un saluto "Buongiorno, Shushan" "Buongiorno" Rispose lei incrociando per un attimo il suo sguardo, aveva gli occhi lucidi. Scese le scale senza fretta e arrivato al piano terrà bussò alla porta di Clotilde. L'anziana aprì e chiese velocemente "Cosa c'è adesso?" Osservò Giuseppe e si rispose da sola "Hai incontrato la ragazza. Si, hanno litigato. I soldi non bastano mai e lui non trova lavoro. Mi ha chiesto se conosco qualcuno e ho promesso di informarmi qua e la. Vai a lavorare che è tardi" Giuseppe annuì con il capo e si avviò al lavoro. Stava scaricando l'ennesimo pacco quando gli si accese una lampadina in testa. "Ma certo!" Esclamò ad alta voce.
Quella sera cenò con calma e poi andò a bussare ai nuovi vicini. "Chi è?" Era la piccola Zepur. "Sono Giuseppe, il vostro vicino. Posso entrare da mamma e papà?" La piccola aprì la porta e lo fece accomodare. I due genitori erano a tavola e si alzarono ad accoglierlo. "Buonasera" Dissero. "Possiamo essere d'aiuto?" Proseguì l'uomo. Giuseppe stava esaminando le condizioni dei suoi vicini. La casa era pulita e ordinata ma tremendamente spoglia. Poi parlò lentamente e in modo chiaro per essere sicuro di farsi capire. "Grazie, non mi serve niente. Invece io potrei esservi utile, posso sedermi?" Lo fecero accomodare su una sedia di plastica mezza scassata, probabilmente quella della bambina e Giuseppe cominciò a parlare. Per i successivi tre giorni fece loro visita tutte le sere, Arduid era praticamente convinto di accettare la proposta, ma la bella Shushan opponeva ancora resistenza.
"Stasera la convinco io, costi quel che costi" Giuseppe era determinato a chiudere il discorso quella sera e si trovò spiazzato quando una volta entrato in casa dei due giovani fu accolto come un re. Il tavolo era imbandito per festeggiare qualcosa: una bottiglia di vino, una bibita e un dolce non ben definito troneggiavano al centro della tovaglia. Marito e moglie cantavano nella loro lingua, come da antiche tradizioni, e fecero accomodare Giuseppe sulla sedia bella. "Questo è un piccolo gesto per il suo aiuto" Esordì la giovane. "Mio marito accetta la sua proposta, vogliamo festeggiare con lei" Giuseppe era colpito da quell'atteggiamento. Pensava che Arduid avesse accettato da subito la sua proposta, ma solo ora aveva il consenso della moglie. Che strano, aveva sempre creduto che i musulmani non considerassero il parere delle donne, doveva ricredersi. In realtà i suoi vicini erano cristiani, il paese da dove provenivano, l'Armenia, era stata la prima nazione al mondo a riconoscere il cristianesimo come religione di stato, ma a lui interessavano i giochi d'azzardo, non le culture orientali. I festeggiamenti durarono un paio d'ore ed erano quasi le undici quando Giuseppe disse: "Adesso tutti a dormire. Domani si va al lavoro e tu Arduid devi essere riposato per il primo giorno, ok?" "Ok" Confermò il giovane mentre sua moglie stava portando a letto la piccola Zepur. Giuseppe se ne andò, ma non a dormire. "Le undici, è presto, ci sta una capatina al bar" Rincasò alle due dopo aver speso fino all'ultimo centesimo tra slot, video poker e gratta e vinci. Si addormentò vestito; ultimamente andava a finire sempre così.
Il giorno dopo, in fabbrica, Giuseppe presentò Arduid al padrone; la prima settimana il ragazzo avrebbe affiancato Giuseppe per imparare a fare il lavoro, poi avrebbero cominciato con i turni. Nelle settimane successive Arduid si rivelò un gran bravo lavoratore e nel frattempo Giuseppe frequentava sempre di più la sua casa. Shushan ogni tanto ricordava al marito che la loro era una famiglia e il suo amico poteva anche restarsene a casa qualche volta, ma il marito continuava a ripeterle che senza di lui non avrebbe trovato un lavoro. Giuseppe cercò anche di trascinare il giovane nel giro del gioco d'azzardo, ma Arduid rifiutava sempre gli inviti dell'amico. Poi un venerdì mattina, erano passati circa tre mesi da quando il ragazzo aveva cominciato a lavorare in fabbrica, il padrone si avvicinò a Giuseppe che in quel momento era di turno."Ciao Giuseppe, come va?" "Buongiorno signore, tutto ok" "Senti, cosa mi dici del tuo amico, quel ragazzo, Arudi?" "Arduid signore, si chiama Arduid. E' un bravo ragazzo ed anche un ottimo lavoratore" "Infatti" Lo interruppe il vecchio padrone. "Ed è per questo che ho deciso di assumerlo e sarai tu a lasciargli il posto perché da stasera sei licenziato" Giuseppe restò immobile, quasi mummificato.Sapeva di non poter ribattere, oltre che a essere un uomo spietato il suo titolare aveva nella cassaforte tanti impegni di pagamento firmati da lui e lo teneva in pugno; negli anni Giuseppe si era fatto prestare parecchi soldi dal vecchio usuraio e adesso veniva licenziato in tronco per far posto ad uno straniero che lui stesso aveva portato in fabbrica.
La mattina seguente stava dormendo dopo aver passato la notte in una sala da gioco. L'incessante bussare alla portà lo svegliò malamente, si alzò riluttante deciso a cantarne quattro a chi osava disturbarlo in quel modo e aprì la porta con foga. "Arduid?" Era sorpreso dal comportamento del ragazzo che solitamente era tranquillo e riservato. "Mi ha assunto, mi ha assunto!" Continuava a gridare. "Stai calmo Arduid, entra che ci facciamo un caffè" Mentre Giuseppe preparava il caffè, il ragazzo gli raccontò per filo e per segno tutti gli avvenimenti della sera prima fino all'epilogo in cui il vecchio padrone gli diceva che da lunedì sarebbe stato assunto regolarmente. Giuseppe lo lasciò parlare, non voleva troncare il suo entusiasmo e giunse alla conclusione di non far parola del suo licenziamento. Bevverò il caffè e Giuseppe si congratulò sinceramente con Arduid, in quei mesi si era affezionato a quella giovane famiglia, il ragazzo ringraziò e se ne andò felice e contento. Giuseppe era stanco e si rimise a dormire. Passò due giorni in casa a poltrire, ogni tanto scendeva alla ricevitoria a fare qualche puntata ai cavalli e poi risaliva nel suo tugurio, senza scopo; lunedì avrebbe pensato al da farsi. Invece i giorni passavano e lui era caduto in una sorta di apatia, si era iscritto alla lista dei disoccupati garantendosi una minima entrata per un certo periodo di tempo e continuava a spendere tutti i suoi soldi nel gioco. Arduid; saputo l'accaduto, si era presentato a casa sua in lacrime chiedendo perdono per quello che aveva fatto e Giuseppe cercò di tranquillizzarlo dicendogli che lui non aveva nessuna colpa.
I due giovani lo invitavano spesso a pranzo e a cena e ogni tanto la figlia andava da lui a tenergli compagnia; facevano di tutto per sdebitarsi di una colpa inesistente.
I mesi passavano veloci e Giuseppe non trovava lavoro, Arduid e la moglie lo aiutavano nelle faccende di casa e in alcuni casi prestandogli anche dei soldi; poi una sera, mentre era a cena da loro, Shushan lo richiamò alla realtà. "Giuseppe, io e mio marito ti vogliamo bene, anche nostra figlia si è affezionata a te. Non dimenticheremo mai quello che hai fatto per noi, ci hai sempre trattato bene e in questa società non è cosa da poco. Quindi ci permettiamo di parlarti sinceramente. Arduid?" Dopo aver tratto un lungo respiro il marito prese a dire: "Noi pensiamo che tu giochi troppo. Ormai non cerchi più un lavoro e vivi pensando sempre al gioco. Con il tempo ti rovinerai e noi non potremo sempre prenderci cura di te" Aveva parlato guardandosi le punte dei piedi, vergognandosi di quelle parole, ma fu Giuseppe ad essere assalito dall'imbarazzo. Che situazione di merda, si trovò a pensare, devo porvi rimedio. "Avete ragione, sono io a dovervi delle scuse, sono un parassita ed è giusto che mi dia una svegliata. Scusate ma adesso torno nel mio appartamento, vi ringrazio e appena ho delle novità vi farò sapere"
Nei giorni seguenti si impegnò nella ricerca di un lavoro che sembrava introvabile e una mattina fece un incontro che avrebbe evitato volentieri. "Ciao Giuseppe, tutto bene?" "Più o meno. Sto cercando un lavoro" "Ottimo" Rispose l'uomo; "Così potrai saldare i tuoi debiti" Giuseppe si sentì sollevato. "Grazie, grazie. Ti prometto che sarai il primo a cui penserò" Rispose speranzoso. "Gli altri possono aspettare, io non aspetto più. Voglio i miei diecimila euro entro una settimana, non un minuto oltre" "Una settimana? Ma io non li ho tutti quei soldi, devi darmi tempo per.." "Una settimana. Ci si rivede Giuseppe" Il suo tono non lasciava spazio a repliche. Giuseppe passò il resto della giornata chiedendosi come avrebbe risolto quel problema. Sapeva che quello era un ultimatum a cui non poteva sfuggire e non voleva perdere l'uso di una gamba o di un braccio. Quella sera decise di dormirci su, avrebbe trovato una soluzione. Nei due giorni successivi si lambiccò il cervello nel disperato tentativo di trovare un rimedio a quel grosso problema, finche la mattina del terzo giorno gli balenò un'idea assurda che in quel momento pareva l'unica via d'uscita. Contattò un tipo conosciuto al poker, l'avrebbe aiutato. Nel volgere di un giorno avevano imbastito un piano di massima, mancava la pedina fondamentale e quella sera era deciso ad accaparrarsela.
Arrivò Zepur ad aprire la porta. "Papà è in casa?" "Si, entra" Cinguettò felice la bambina. Giuseppe cominciò a sudare freddo, forse stava sbagliando tutto, ma la paura lo spinse ad andare avanti. Shushan notò subito qualcosa di strano e ne ebbe la conferma quando Giuseppe chiese ad Arduid di seguirlo a casa sua per discutere faccende importanti e il ragazzo lo seguì. L'armeno dopo un paio d'ore rientrò in casa scuro in volto, la moglie chiese preoccupata "Qualcosa non va?" "Tutto bene, devo aiutarlo a risolvere un problema" "Cosa?" "Stanne fuori donna, sono cose da uomini" Non aveva mai trattato così la moglie e se ne pentì immediatamente, la abbracciò forte parlandole all'orecchio. "Qualche giorno e sarà tutto sistemato, stai tranquilla"
Oggi.
L'aria fresca della mattina l'aveva fatto rinsavire e decise di tornare a casa. Trovò una macchina dei carabinieri davanti l'entrata del palazzo e Clotilde lo fermò sulle scale. "Ci sono i carabinieri su dai tuoi amici, è successo qualcosa di grave" "Grazie Clotilde, salgo a vedere" Gli tremavano le gambe, stava per vomitare ma riuscì ad arrivare in cima. La loro porta di casa era aperta, Zepur era seduta accovacciata sulle scale stringendo un pupazzo che lui le aveva regalato tempo prima, la baciò in testa e chiese di poter entrare in casa. Uno dei militari lo fermò ma Shushan, stravolta dalle lacrime, chiese di lasciarlo passare. I due si guardarono, consapevoli di quello che era accaduto. Lei fece per parlare, ma lui la fermò con un segno e poi chiese: "Chi comanda qui?" "Io, sono il maresciallo Bianchi, mi dica" Giuseppe si girò verso Shushan e la baciò delicatamente sulla guancia, poi si avvicinò al maresciallo e disse: "Portatemi in caserma, devo fare una confessione" E senza aggiungere altro si avviò all'uscita accompagnato dai militari. Zepur stava ancora seduta in terra, Giuseppe si avvicinò alla bambina, infilò una mano in tasca e le allungò una cosa. "Tieni Zepur, dove vado io questo non serve, dallo alla mamma. Ti voglio bene" Uscì cosi dalle loro vite.
Quando tutti si furono allontanati la piccola chiamò la madre e le fece vedere quello che le aveva dato Giuseppe. "Guarda mamma, mi ha dato un biglietto con degli strani simboli" La donna, con le lacrime agli occhi, afferrò quel cartoncino, era un gratta e vinci: ASSICURATI IL TRAPASSO, si intitolava e bene in vista c'erano tre bare uguali. Sul retro era appiccicato un post‐it scritto a mano: perdonami se puoi, non volevo andasse così, tuo marito era un uomo speciale, vi voglio bene. P.S. Non buttare via il cartoncino, hai vinto!