L’ultima vite
"Pronto? Sono Carmen…"
La mattina di Ferragosto mi portò brutte sensazioni, frutto di una notte insonne e carica di cattivi pensieri. La dolce Iris era nella zona dell’ingresso dove l’avevo lasciata la sera prima. Non stava esattamente nella sua cesta morbida ma leggermente fuori, col corpo posteriore sul pavimento mentre il resto era ancora dentro la sua cuccia di morbido tessuto.
"Dimmi Carme’, che c’è ? Non ti capisco se piangi…"
Iris mi guardava con i suoi occhi buoni e disperati. Aveva dei sussulti dolorosi e avvertiva delle fitte che la costringevano a scattare verso l’alto, nel vano tentativo di mettersi in piedi. Da un mese stava male. Ormai le sue zampe posteriori non si reggevano più da qualche giorno ed era per questo che le risultava pressoché impossibile mettersi in piedi, con le zampe anteriori che grattavano disperatamente le piastrelle. Le lacrime arrivarono a fiotti e violente; Iris stava morendo. La mia dolce Iris aveva deciso di lasciarmi quella mattina luminosa di Ferragosto. La presi delicatamente in braccio, come ormai facevo da diversi giorni e la adagiai sulla trapunta morbida che da giorni mia moglie aveva disteso per terra in soggiorno. Aveva fatto i bisogni nel pannolino ed era necessario provvedere alle operazioni di pulizia.
Iris stava morendo e negli stessi istanti mia moglie mi porse il suo cellulare.
"Sì Carmen , ti passo Tony… "
Tenendo la mano sinistra sul cuore di Iris che stava battendo all’impazzata, con la destra presi il cellulare.
"Tony, Tony , Tony…"
Carmen stava chiamando da Torino e a stento si capivano le sue parole perché stava piangendo disperata.
Mio padre aveva dato appuntamento a Iris ed era partito per primo. Non capivo più nulla, riuscii a vedere gli occhi di Iris girati verso di me e credo di aver intravisto anche l’ombra di un leggero sorriso sul suo adorato musetto che conoscevo così bene. Mi avvicinai per baciarla e non son sicuro che non stesse piangendo anche lei. Mi fece capire di stare sereno perché avrebbe scortato il mio babbo e l’avrebbe difeso dai pericoli durante il suo viaggio verso l’eternità. Raccolsi con tutta la disperazione di questo mondo il suo ultimo respiro che arrivò come una dolce e flebile carezza di vento sulla mia guancia ormai allagata.
"Ho capito Carme’, fra poco parto per Torino".
Il viaggio per Torino, circa cinque ore di auto, fu la mia via crucis emozionale. Ormai non capivo più per cosa stavo piangendo. L’immagine di mio padre si sovrapponeva a quella di Iris e viceversa. Al mio fianco Enza fece il viaggio in rispettoso silenzio, ponendomi di tanto in tanto un fazzoletto di carta. Il babbo stava lì, sereno e finalmente senza sofferenze in viso, nel suo letto. Aveva sofferto nell’ultimo mese, come la mia dolce Iris, e quel giorno di Ferragosto avevano deciso entrambi di oltrepassare il muro, per sempre. La disperazione dei miei fratelli era massima. Chi gli parlava, chi gli toccava le mani, chi lo baciava. Io rimasi per un momento quasi pietrificato nel guardarlo. Le nocche delle dita ormai bianche e fredde. Le unghie avevano iniziato a scurirsi e solo il ronzìo del climatizzatore portatile ci teneva ancorati alla realtà. Lo toccai anche io sulla fronte, avvertendo la temuta sensazione di freddo. Lo fissai in viso a lungo, aspettando disperatamente che si muovesse o che aprisse gli occhi. Niente, ormai stava passeggiando con Iris.
Arrivarono i necrofori per terminare il loro lavoro, la vestizione e adagiare il corpo nella bara di mogano scuro. Professionali e silenziosi presero il coperchio e iniziarono ad avvitare le viti con l’avvitatore a batteria. Rimasi solo io a osservare le ultime operazioni. Chiesi e ottenni la possibilità di avvitare l’ultima vite della bara. Impugnai con mano ferma l’avvitatore e appoggiai la punta a croce sulla vite, pronto a premere l’interruttore.
Mentre la vite scendeva giù, con tutti i miei ricordi e i miei rimpianti, avvertii chiaramente nitido, definito, preciso e inconfondibile un lieve mugolìo canino che ben conoscevo. Ho sorriso e mi sono detto; ciao papà mi raccomando non dare a Iris cose da mangiare strane perché le fanno male, fate buon viaggio e avvisatemi quando arrivate.