L'uomo che raccontava le onde
Un soffitto di stelle lo guardavano oramai da mesi, la sua barba sempre più incolta, gli occhi incavi e i vestiti stracciati. Soffocava tra il fumo del focolare che ogni sera cercava di accendere con legni e sterpaglie, ululava con gli unici abitanti di quel luogo su cui si era ritrovato naufrago.
Le costellazioni erano impresse nella sua mente, a volte nelle giornate più limpide, gli capitava di vedere la stella polare, in quei momenti pregava e sperava nel giorno in cui una nave all’orizzonte sarebbe venuta a salvarlo. Nulla per lui era il passato, nulla ciò che era accaduto. Alcuni flash notturni lo svegliavano di colpo, incubi sul suo naufragio lo tormentavano e l’insonnia prendeva il sopravvento. Appena il sole sorgeva il naufrago era pronto a scalare la roccia appuntita che dominava tutto l’atollo alla ricerca di qualsiasi cosa fosse commestibile; nessuna vertigine da quando era su quella porzione di terra, nessuna, sopravvivere era più importante. Dall’alto dominava il cielo e il mare, era l’uomo più importante del mondo, lì sopra era il re. Accovacciato con il mento tra le ginocchia appuntite guardava l’infinito aspettando il tramonto. Le onde andavano e venivano, s’increspavano, si rincorrevano. Libere di rotolarsi tra i ciottoli e la sabbia, libere di giocare tra di loro. Sognava tra quel dondolio, cullandosi in quella libertà che ritrovava in quei momenti. L’uomo dell’onda, quest’unica frase incise, lassù su quella roccia, e lì, lo ritrovarono.