L'uomo delle stelle
Una volta ho conosciuto un tipo. Molto tempo fa.
Era un tipo bassoccio per i miei gusti, di media statura ma atletico e muscoloso, con un ciuffo di capelli biondi che gli copriva mezzo volto. Diceva di venire da un paesino dei dintorni ma capii subito che non era vero.
La prima volta che lo vidi indossava una polo azzurra a righe e dei pantaloni estivi al ginocchio; pareva proprio che fosse di quel paese dal nome buffo a pochi chilometri da qui, ma ancora una volta, guardandolo, ebbi la sensazione che non fosse così.
Me lo ricordo perché pensai che fosse buffo e che mi ispirava simpatia ed in genere, è molto difficile che sia così, per me, a colpo d’occhio.
Da quel nostro primo incontro, con il trascorrere dell’inverno, della primavera e di tutte le stagioni e le mezze stagioni, le sue uscite si infittirono sempre di più e così, capitò che diventammo amici, o meglio, lui diventò amico dei miei amici e questa era un’ottima scusa per mascherare l’immediata sintonia che c’era tra noi.
Era molto strano. Non saprei spiegare con esattezza l’idea che mi ero fatta di lui nei primi tempi: non riuscivo a capacitarmi di come fosse, non riuscivo a comprenderlo, ma non potevo fare a meno di sentirmi irresistibilmente curiosa e attratta. Ricordo che pensai che non fosse del tutto normale. Si, insomma, normale secondo gli standard, se mai dovessero essercene, ma anche questo era parte di quella sensazione che mi faceva credere che non fosse di qui.
Prima di dire qualsiasi cosa ti fissava dritto per uno, due, tre, cinque secondi e dopo essere stati trafitti da quegli occhi ci si aspettava di venire affondati dalle parole che avrebbero seguito gli sguardi ed invece lui, come se niente fosse, se ne usciva con quella sua voce dal tono sempre canzonatorio e divertito, ma anche un distante e a tratti tetro, e parlava come uno qualsiasi, ma con qualcosa in più. Come tutti noi, ma un po’ migliore. C’era sempre un non so che di magnetico in come discorreva lui. In quel suo modo tutto particolare e sorridente. In quel suo modo tutto gesti e risa. Da quel suo mondo leggermente surreale e meraviglioso.
Lui non era di qui perché non era come noi. Aveva un’aurea.
Ricordo di avere pensato più volte che fosse una persona irrimediabilmente triste. Una persona che soffriva.
Raccontava delle storie, questo me lo ricordo bene. Raccontava delle storie bellissime. Di persone che si erano reincarnate in animali, tipo cavalli o anche formiche, e siccome erano state previdenti nell’avvisare famigliari e amici di prestare attenzione se avessero mai dovuto vedere equini che sbattevano la testa con gli alberi, con questo accorgimento erano riusciti a rincontrarsi, anche molte vite dopo. O anche di nuotatori che avevano finito con l’innamorarsi delle boe che segnavano loro la via, in mare. Ah, e poi ce n’era una, di carte da gioco, magiche, con le quali era impossibile perdere, ma solo se si giocava a scopone, briscola e tressette.
Ecco, raccontava mille storie, ne era una fabbrica sempre in piena produzione, ce n’era una per ogni scemenza che veniva detta, ma dato che sembravano solo storie dopo essersi fatti una risata, tutti le dimenticavano.
Capitò così che diventammo amici. Io ero attirata dalle sue storie come da una forza ancestrale.
Volevo sapere. Volevo i suoi segreti.
Io lo sapevo che non veniva da quel paesino. Lo sapevo che non era di qui. E sapevo anche, invece, che le storie erano vere.
C’era la magia.
Non so com’è, ma c’era.
Aveva gli occhi color del mare ma con una puntina di cielo.
Aveva i capelli color del sole ma con una puntina di terra.
Un giorno ce ne stavamo a passeggiare nel parco quando lui iniziò a raccontare. Parlò e lo ascoltai.
– Ero lusingata di avere, per una volta, l’esclusiva di una storia perché, anche se quando favoleggiava mi lanciava sempre qualche occhiata, come se sapesse che io sapevo, non era mai capitato così, come quel giorno, di starcene per i fatti nostri. Non c’era niente di sessuale in quello che capitava tra noi, non ci eravamo nemmeno mai toccati, era solo “corrispondenza”, ad un qualche livello superiore.‐
Gesticolava e si muoveva, lo faceva sempre.
Risi, a crepapelle.
Poi mi guardò di nuovo, con quegli occhi color del mare ma con una puntina di cielo e lasciò che lo toccassi. Mi permise di scostargli i capelli dalla fronte e io capii.
“Sono l’uomo delle stelle” mi disse piano ad un orecchio e in quell’istante ne vidi il colore nei suoi occhi e nei suoi capelli e nella sua bocca e nelle mani.
Se ne andò e non lo vidi mai più. Rimasi solo con l’odore sulle mani e con l’eco di quelle parole nelle orecchie.
Sono l’uomo delle stelle.
Lo sapevo. Ma non ho fatto in tempo a rispondere.
Poi ogni tanto guardo su… E qualche altra volta sto attenta a cavalli e formiche, non si sa mai…