La ballata del taxi bianco

Oggi
L’amplificatore è spento. La chitarra posata sul letto, le corde sembrano vibrare ancora. Le mura della stanza risuonano della musica che le ha appena sfiorate e l'unica finestra è aperta sul cielo che copre la città.
La canzone sfuma lentamente, si disperde, evapora. Manca qualcosa, non è finita. Non sa ancora come, ma la completerà.
Prima di uscire registra due copie su CD e le mette nella borsa, poi prende le sue cose, mette il taccuino in tasca ed esce nell'umida sera di fine settembre.
Le luci della strada brillano in maniera particolare o forse è solo lui che le vede così, mentre cammina verso la stazione della metropolitana. Scende la lunga rampa di scale e d'un tratto la vede, mentre sale sulle scale mobili, nella direzione opposta alla sua. Lei si mette a posto i capelli e si guarda intorno con aria distratta, ma per un momento lo nota. Lui rischia di cadere nel tentativo di continuare a guardarla. Lei si accorge del suo passo falso e sorride. Lui cerca di rispondere al sorriso, di fermare quel momento, di farle capire qualcosa, ma ormai lei lo ha superato e continua la sua salita. Lui si gira, vorrebbe chiamarla, dirle di tornare indietro, di ascoltare quello che deve dirle da tempo, ma non c'è più, è arrivata in cima ed è sparita, nel flusso anonimo ed implacabile della gente.

Un arpeggio di chitarra leggero, riverbero, eco, senza distorsione. E pianoforte in accompagnamento, accordi pieni, ma appena accennati. La melodia è intensa, ma senza enfasi, ti chiede solo di ascoltarla, non pretende di piacerti.
Si ferma e riascolta. Il suono lo avvolge con calma e gli piace. Lo sente dimesso, intimo, stropicciato...come una sera d'autunno, come un albero spoglio, come un monolocale in periferia.

Tre mesi prima
Pausa pranzo
La prima volta che la vide era in libreria. Vagava tra gli scaffali, ma non cercava niente, voleva solo stare in un bel posto, tra parole scritte bene, tra storie che vale la pena raccontare.
Lei era in piedi, poco lontana da lui e sfogliava un libro di fotografie, uno dei suoi preferiti. Aveva i capelli raccolti in una coda e giocherellava con un orecchino. Lui pensava che fosse molto bella. Anzi, a dire il vero, si rese immediatamente conto di non aver mai visto una ragazza così affascinante e seducente...era perfetta e lo era nel modo più semplice possibile.
Lui cercava di distrarsi, di non farsi notare, ma non riusciva a distogliere lo sguardo. Sperava che lei alzasse lo sguardo e lo vedesse. Sperava che si innamorasse di lui e che poi continuasse a farlo per tutta la vita. Avrebbero avuto dei figli, un cane di taglia media, una bella casa su due piani, parenti noiosi, amici invadenti ed un piccolo appartamento al mare dove scappare ogni tanto.
Lei chiuse il libro e guardò verso l'uscita. Allora lui pensò che lo avrebbe comprato, era un segno del destino, invece lo posò, uscì dalla porta e sparì oltre la sua visuale, lasciandolo agonizzante tra un mucchio di parole che non sarebbe più stato in grado di leggere e di capire.
Erano stati i tre minuti più violenti della sua vita. Una rivoluzione. La storia d'amore più breve e intensa che avesse mai avuto.

La sua voce è roca, vive sui toni bassi, ma si anima sulle note più alte. La sente vibrare nella gola e nello stomaco. Il cantato della prima strofa esce naturale, si adagia sulla musica, si inserisce nell'armonia degli strumenti.
Ancora qualche tocco di pianoforte, solo alcune note, sfumature.
Niente ritmica, non ancora, meglio restare sospesi, slegati dal tempo.
I livelli sono buoni, le luci del mixer prendono colore, ma non superano la norma: tutto suona bene, tutto respira.
Non era mai successo.

Un mese e mezzo prima
Tramonto
Erano le ultime ore di un pomeriggio di sole e vento, quando lui la vide di nuovo.
Stava seduto sul bordo di una fontana a scrivere qualche pensiero sul suo vecchio taccuino rappezzato.
Una madre con il suo bambino, un vecchio in bicicletta, due fidanzati mano nella mano.
Un piccolo cane abbaiava al tramonto, mentre un suonatore di bicchieri di cristallo riempiva l'aria di suoni lontani, che sapevano d'oriente e di passato.
Lei passeggiava, in compagnia di un'altra ragazza, un amica...forse. Poi però lui notò quanto si assomigliassero e capì che poteva essere sua sorella. Erano belle allo stesso modo.
Gli mancava il fiato, era confuso, emozionato, si sentiva come un esule che rivede la donna amata dopo anni di lontananza e distacco. Era Ulisse e lei era la sua Penelope, la sua Itaca, la fine del suo viaggio.
Da quando l'aveva vista in libreria non avevo smesso di pensare a lei e di fantasticare sul miraggio di rivederla. In quel momento, però, non riusciva a muovere un muscolo, la guardava e basta, la contemplava, come si fa con una notte stellata, con un'alba sull'oceano.
Lei rideva e guardava le vetrine, scherzava con l'altra ragazza e proseguiva quella che per lui era diventata una sfilata. Aveva i capelli raccolti sotto un cappello e gli occhiali da sole. Lui avrebbe voluto applaudire, ringraziare, salire in piedi sul muretto, saltare, sparare fuochi d'artificio. Invece rimase seduto, fermo, rigido come una statua, immobile come il marmo.
Lei si voltò nella sua direzione, a pochi metri di distanza e rimase girata verso di lui per qualche istante. Non poteva sapere se stesse guardando lui oppure una qualsiasi della altre inutili e maledette cose avesse intorno, perché le lenti scure dei suoi occhiali rimandavano solo il riflesso dell'ultimo sole. Lei fece una strana espressione, una specie di sorriso sorpreso, curioso e poi compiaciuto, convinto.
L'altra ragazza richiamò la sua attenzione e lei si girò, camminarono ancora qualche metro e voltarono oltre l'infame angolo di un ingiusto e crudele palazzo.
Prima di sparire dalla sua vista, lui ne è sicuro, lei lo guardò, ancora una volta.

Accende l'ampli e attacca il jack alla chitarra. E questa volta collega anche il distorsore.
Il suono si sporca, inizia a sudare, mette i piedi per terra e diventa reale, fisico, pericoloso.
Il riff è giusto, grintoso e cadenzato, segue il percorso, senza strafare, senza rompere l'incantesimo.
La chitarra cresce lentamente, sotto le parole, sotto intrecci di note e prende ritmo.
Sale di volume.
Sembra quasi al culmine.
Poi si ferma un attimo...sospesa nel vuoto, prima del ritornello.
Due chitarre all'unisono, su tonalità diverse, distorsione e riverbero.
Il pianoforte che accompagna, aggiungendo pienezza all'insieme, per non perdere il filo, la strada, il percorso iniziale.
Entrano basso e batteria, finalmente, cuore e sangue, pulsazioni e battiti, la musica prende forma umana e inizia a muoversi, a parlare anche al corpo, a vibrare con forza.
Lascia libera la voce, non grida ma sente le corde che bruciano, i polmoni che si stringono e gli occhi che si chiudono.
Sente il suono, la melodia, le parole che canta. Le sente davvero e gli escono bene, sincere, perché puoi mentire quando scrivi, anche quando parli, ma quando canti no.
Se fai finta si capisce subito.

Tre settimane prima
Ore piccole
Lui era in un locale con gli amici, a bere vodka e a fumare troppo, assordato da una musica che in fondo non gli piaceva neanche.
Era stordito, instabile, annebbiato, disperso sul divanetto, smarrito nel delirio degli altri, nei loro movimenti fuori tempo, come le sue percezioni.
Andò in bagno a lavarsi la faccia e a cercare salvezza. Trovò solo confusione e giramenti di testa, così decise di farsi un altro bicchiere, con la speranza che riportasse i giusti equilibri.
Seduto al bancone del bar, tra un sorso e l'altro, per un momento pensò di avere le allucinazioni. La vedeva nello specchio, veniva verso di lui, rideva e si metteva a posto le spalline di una canottiera bianca.
Si voltò di scatto, per capire che era tutto vero. Tornò sobrio, in un secondo.
Non sapeva cosa fare, voleva parlarle, conoscerla, baciarla, fare l'amore e partire per un lungo viaggio intorno al mondo. Invece restò fermo.
Lei si sedette con le amiche, poco distante, dove il bancone faceva un angolo. Lui se la trovò di fronte. Poteva vederla, leggermente sudata, bere il suo cocktail dalla cannuccia.
Lei parlava, rideva, muoveva la testa a tempo con la musica e poi si girava verso la pista, verso il resto del locale e, alla fine, anche verso di lui.
I loro sguardi si incontrarono. Si intrecciarono per un tempo che a lui sembrò infinito. Stavolta era sicuro, non potevo sbagliarsi, guardava lui, occhi negli occhi.
Lei gli sorrise, prese il bicchiere e lo alzò nella sua direzione. Lui fece lo stesso e così brindarono, loro due, al niente, o forse a tutto, magari al destino che li faceva incontrare e sfiorare come due stelle abbandonate in un vortice gravitazionale.
Qualcuno le diede un colpo con il gomito, una sua amica. Le disse qualcosa, ridendo, in un orecchio. E lei si mosse, per andare via. Lui stava per alzarsi, correrle dietro, ma lei si voltò e gli fece ciao con la mano, bloccandolo a metà dello sgabello. Paralizzato, lui la osservò uscire dalla porta, fece un lungo sospiro e ordinò un'altra vodka.

Rientra sulla strofa, con la distorsione che sfuma, latente. Il suono resta sporco, ormai corrotto. Basso e batteria cambiano linea, continuano a legare con il resto e a spingere, a crescere, incalzanti, fino al nuovo ritornello. E di nuovo muscoli contratti, gola e diaframma, vene a fior di pelle. Si lascia portare: sono parole nuove, che si inerpicano sulla musica, trovano il loro spazio, prendono forma con il brano. Scarica forza e tormento, le dita sulle corde, il plettro che si scalda e si graffia, la pelle dei tamburi in tensione.
Tutto è musica, fuori e dentro, fino alla fine.
Fino alla pace, alla quiete, con la distorsione che si spegne lentamente e gli ultimi echi dei piatti che sfumano, mentre l'arpeggio iniziale resta vivo, ansimante e sfinito, come dopo una corsa, una nuotata, un combattimento...come dopo aver fatto l'amore.

Oggi
Non è possibile. Non la vede più, era lì ed è sparita, di nuovo. Vede tutto nero, il sangue si fa spesso nelle vene e circola a rilento.
Non può farla scappare, non questa volta.
Una mano sulla balaustra, un colpo di reni e salta alla sua destra, sulle scale mobili. Sale veloce, spostando la gente, deve muoversi se vuole raggiungerla. Arriva in cima e gira a sinistra, verso l'uscita. Un’ultima rampa di scale ed è fuori.
Si guarda intorno, ma non la vede, c'è troppa gente, è buio, le luci dei neon lo confondono.
Allora basta, si dice. Così vuole il destino, è stato inutile provarci.
L'aria della sera gli sposta i capelli, gli sussurra che è finita. Abbassa la testa e torna indietro, ma una voce lo blocca, una mano sulla spalla:
‐ “Ciao”, gli dice.
E lui ritorna a respirare, a sentire il sangue scorrere nelle vene.

Si presentano e lei gli dice il suo nome, che forse è normale ma a lui piace tantissimo. Restano fermi, uno davanti all'altra, un po' imbarazzati, senza sapere bene cosa dire.
Poi le parole arrivano e sembrano bolle di sapone, che galleggiano leggere nell’aria, da una bocca all’altra. Lui vuole spiegarle tutto: la prima volta in cui l'ha vista e poi le altre e ancora tutto quello che gli è passato dentro.
Lei lo ascolta, con lo sguardo profumato di chi capisce.
A lui sembra assurdo, gli pare uno scherzo, cerca le telecamere, il presentatore che salta fuori di colpo e gli dice che lo hanno fregato, le risate registrate in sottofondo.
Non succede nulla, anzi lei gli prende la mano e domanda:
‐ “Mi vuoi accompagnare? Devo fare una cosa importante”.
Lui non parla, muove solo la testa, su e giù e lei sorride.

Salgono su un taxi e partono nella notte.
Si raccontano, si scoprono, rispondono alle domande, si guardano da vicino, entrano in sintonia. Tutto il resto sparisce, i suoni sono lontani, le luci della città scivolano veloci, anche l'autista sembra non esserci.
Ci sono solo loro due, in un auto vuota, un taxi bianco, che corre nel nulla, eppure a lui sembra di avere tutto, tutto quello di cui ha bisogno.
Non gli interessa nient'altro: che ora è, dove stanno andando, perché. Vive la magia, senza farsi domande, senza cercare risposte.
Si gode l’incanto, il sogno, finché dura, fino alla fine, fino all’inevitabile risveglio…che arriva, brutale, sotto forma dell’insegna luminosa dell’aeroporto.
Scendono dal taxi ed entrano nell'atrio. La gente parte, decolla, atterra, ritorna.
Lui si chiede cosa stiano facendo: aspettano qualcuno o forse devono salutarlo.
Poi, di colpo, capisce che sarà soltanto lui a dover salutare, che non c'è nessun aereo da prendere o aspettare, ma solo uno da guardare decollare.
Deve andare a Londra, dice lei, per un lavoro che aspettava da molto tempo, l'opportunità di una vita.
Due ragazze la aspettano al check in. Sono sua sorella e un'amica. Quando lo vedono restano sorprese, quasi stupite, poi sorridono, gli danno la mano. Forse fa pena...molto probabile.
Quando arriva il momento dell'addio restano soli e non sanno cosa dirsi. Non si conoscevano neanche e adesso si guardano negli occhi, mentre cercano le parole giuste per augurarsi buona fortuna, per dirsi che è stato bello incontrarsi e che forse, un giorno, si rivedranno.
Arriva l'ultima chiamata. Lui apre veloce la borsa, rovista, prende uno dei CD.
‐ “È una canzone che ho scritto, l'ho suonata, l'ho cantata. Non è ancora finita, ma vorrei che ne avessi una copia. In fondo è anche tua...cioè ci sei tu...”.
Niente fiato, niente saliva, non riesce ad andare oltre.
Lei prende il CD, lo tiene tra le mani e lo guarda. Lui non sa cosa stia pensando, non sa cosa voglia fare, poi lei alza la testa e dice la cosa più semplice:
‐ “Grazie”.
Si avvicina e gli da un bacio, sulla guancia, così vicino alla bocca che le labbra si sfiorano, si toccano appena.
Un secondo dopo è già oltre il gate, è già a Londra, non c'è più.

Adesso
Lui ritorna a casa con un altro taxi bianco e questa volta la strada la vede, guarda le luci, le altre auto e vede anche un aereo decollare verso il cielo.
Chiede al taxista se può mettere il suo CD nell'autoradio. “Perché no!”, gli risponde. Ascolta la musica, la voce, le parole e pensa a quello che questa storia gli ha lasciato.
Un viaggio in taxi nella notte, un bacio sfuggente in aeroporto e una canzone incompiuta...che così dovrà restare.
L'ha deciso ora, in questo momento.
Per scrivere un finale c'è sempre tempo e adesso non lo vuole fare.