La barca e il capitano
C’era una volta una bellissima barca di nome Ondasuonda che stava ormeggiata nel molo del Porto antico da tanto tempo ormai. Il Porto antico era bellissimo ed era rivolto verso occidente, tant’è che bellissimi erano i tramonti che offriva il sopraggiungere della sera. Quei tramonti visti dalla spiaggia ciottolosa e dal molo offrivano uno spettacolo straordinariamente magnifico. Al tramonto, infatti, i colori del cielo e del mare spesso si coloravano con sfumature di giallo, giallo arancione, azzurro, rosso, viola, che si mescolavano tra essi formando una specie di ragnatela che incorniciava le barche mentre solcavano lievemente il mare conferendo ad esse ancor più splendida bellezza. In quel porto c’erano tante altre barche ma Ondasuonda era la più grande, la più sicura, la più elegante, la più attraente, la più bella insomma.
Il suo padrone Abileguido aveva avuto un attacco di cuore e di conseguenza aveva dovuto smettere di bearsi con Ondasuonda andando per flutti. Si diceva che quel porto era stato costruito durante il primo secolo prima che nascesse Cristo e questo era dimostrato anche dal fatto che le pareti antistanti il rifugio dei natanti erano costruite in opus reticulatum in cui le pietre a base quadrata venivano incastonate mettendole in questa posizione una accanto all’altra in modo da formare un reticolato molto solido, compatto, resistente a qualsiasi movimento tellurico.
Abileguido, nome che suo padre gli aveva dato perché l’aveva predestinato a guidare magnificamente i navigli, aveva messo in vendita Ondasuonda. E questa accusava in cuor suo un grande dispiacere perché non sapeva in quali mani sarebbe potuta andare a capitare. Con Abileguido si era trovata sempre molto bene. Non per niente Abileguido l’aveva chiamata Ondasuonda la quale, se l’avesse potuto fare, avrebbe chiamato il suo capitano, così come questi si chiamava, Abileguido.
Abileguido e Ondasuonda era diventata una coppia vincente per mare.
Ondasuonda andava veloce sull’acqua e nessun’altra barca della stessa stazza l’aveva mai eguagliata con Abileguido al timone, sia durante le regate che per la pesca. In mare aperto Ondasuonda era sempre avanti a tutte le altre e le sue reti erano sempre piene di pesce. Ne aveva fatta di strada sul mare e aveva fatto pescare quantità di pesce incommensurabili passate alla storia del Porto antico. Durante la stessa ora e in diversi periodi dell’anno Abileguido amava fotografare il sole e poi aveva assemblato tutte le foto scattate ottenendo un’unica foto che fa comprendere come la terra sia una palla con l’asse che congiunge i due poli, Nord e Sud, inclinato. Ogni anno, prima che arrivasse la bella stagione, Abileguido faceva mettere a nuovo la barca, togliendola dall’acqua. Tinteggiava la carena di verde, la parte sopra la linea di galleggiamento di colore bianco e la piccola cabina dove era allocato il timone di uno sgargiante colore rosso porpora. Da lontano sembrava la bandiera tricolore italiana posta in senso verticale. Quelli del porto la chiamavano per questo con il soprannome “bandiera”, ma Ondasuonda non gradiva questo appellativo. Abileguido, nel frattempo, faceva anche calafatare tutto lo scafo da un bravo mastro calafato con la migliore pece in commercio. Il calafataggio era operazione essenziale per la vita di Ondasuonda e per i suoi passeggeri, perché l’acqua dal mare non doveva penetrare dentro lo scafo, pena la perdita di quell’importante equilibrio senza il quale sarebbe andata a finire in fondo al mare, diventando così inconsueta ma fissa dimora dei pesci. Per Ondasuonda sarebbe stata la fine di un sogno. È vero che agli uomini quando muoiono spetta il seppellimento in terra, ma per le barche che perdono l’equilibrio l’affondamento in mare è una vergogna insanabile. E che vergogna! È spiacevole far dire ai posteri “Ondasuonda non valeva niente; era una barcaccia tant’è che è affondata!”. La barca viene costruita per galleggiare e non per affondare. Quando affonda è per imperizia del timoniere e per le forti intemperie, e quando avviene questo rimane per la barca un’infamia disonorevole in modo irrimediabile. Per questo Ondasuonda aspirava ad avere un nuovo padrone, anzi un capitano, molto bravo che fosse esperto nella guida. Uno skipper valente e capace di usare il timone, per capirci.
Passavano i minuti, trascorrevano le ore, avanzavano i giorni e Ondasuonda era ancora là, ancorata a quel molo del Porto antico che ormai le era diventato anche antipatico, soprattutto quando il moto ondoso molto forte la costringeva a sbattere contro il ciglio della banchina fortemente. Ciò noceva alla sua robustezza e alla sua durata e quindi al suo buon nome. Più tempo passava e più si deteriorava. Cosa poteva fare per risolvere questo problematico e ormai annoso problema? Non poteva muoversi, tuttavia, né poteva gridare ai passanti tutta la sua angoscia, la sua ansia e il suo desiderio di libertà. Mica poteva lasciare il molo e andare a farsi un po’ di propaganda da sola? Non tutti si è fortunati nella vita. E Ondasuonda era una di questi.
Un bel giorno di primavera, quando il mondo si risveglia dal freddo e dal torpore invernale e si colma di colori che destano gioia nei cuori, diletto e felicità, il mare era di una tale calma piatta che sembrava la superficie di uno specchio, tant’è che se uno voleva vedere il cielo non c’era bisogno che guardasse in alto, bastava che guardasse sulla superficie acquea. Ondasuonda appunto non rollava né oscillava. Quel giorno si presentò sul molo un vecchio pescatore gagliardo o tale sembrava perché aveva il berretto da marinaio di colore blu e una lunga pipa ricavata da una radica speciale. Aveva la barba canuta incolta e pochi capelli che gli coprivano la tigna ed era sdentato. Sul braccio destro aveva il tatuaggio di un’ancora e su quello sinistro invece quello di una barca a vela. Senza dubbio doveva essere un marinaio. Aveva una lontana somiglianza con “Popeye”, il famoso “Braccio di Ferro” dei cartoni animati, per intenderci. Sì, quel “Popeye” che diventa straordinariamente vigoroso ingurgitando una scatoletta di spinaci, vegetale ricco di ferro che, si riteneva erroneamente, desse tanta energia. Proprio lui, sì “Popeye”. Quel tizio si fermò a leggere il cartello su cui c’era scritto che Ondasuonda era in vendita, con l’indicazione del prezzo e del numero di telefono di Abileguido. Impiegò un po’ di tempo a leggere e a scrivere il numero su un taccuino tutto malconcio. Non doveva avere neppure la quinta elementare visto l’insicurezza che mostrava nello scrivere. Con un balzo, in un attimo, si trovò, poi, sul ponte della barca e incominciò a perlustrarla da poppa a prua e da prua a poppa. Azionò pure il motore quel ficcanaso di un marinaio senza aver chiesto il dovuto permesso! Ma chi gli aveva dato tanta libertà di fare? Avrebbe dovuto telefonare ad Abileguido! Perbacco! Ma nei paraggi non c’era neppure l’ombra di una cabina telefonica.
Il marinaio forse pensò che avrebbe fatto prima a dare un’occhiata alla barca senza chiedere il placet a chicchessia. Mentre il vecchio pescatore stava ancora su Ondasuonda si sentì una voce che diceva: ‐ Scusi chi è lei? Cosa sta facendo? Cerca qualcuno? ‐ Era il custode del porto antico che vigilava sulle barche ormeggiate.
Il marinaio rispose con una voce alquanto rauca: ‐ Mi chiamo Delfino, ho letto il cartello “Vendesi” e sto dando un’occhiata per vedere le condizioni in cui si trova la barca perché sono interessato all’acquisto. Volevo telefonare al padrone ma non ho visto nei paraggi una cabina telefonica. Questa barca è in ottime condizioni e mi piace. Sa dirmi se questo è il numero di telefono del proprietario –, disse Delfino indicando con la mano destra il cartello “Vendesi”.
‐ Sì, è quello! Lo può chiamare e le risponderà senz’altro perché sta sicuramente a casa –, rispose il custode del Porto antico.
In quel preciso istante, anche se il mare era calmo, Ondasuonda oscillò sicuramente per manifestare il suo assenso per la contentezza. Era una fortuna che dopo tanto tempo fosse capitato da quelle parti un vero marinaio o presunto tale. Il nome e l’aspetto che mostrava erano una garanzia. Abileguido avrebbe chiesto le dovute referenze prima di cedere ad un estraneo quello che per lui era stato un bene fondamentale della sua stessa vita.
Passò, da quel giorno, qualche tempo e non si vide anima viva. Il mare da calmo era diventato molto agitato. Ondasuonda continuava a rollare e a sbattere conto il duro molo. L’estate, infatti, era finita e l’autunno ne aveva preso il posto già da parecchi giorni. Temporali, burrasche, perturbazioni improvvise e raffiche di vento erano alla portata di ogni giorno.
Una mattina piovosa, con l’acqua scrosciante che impediva di vedere limpidamente a due metri di distanza e con il mare molto mosso si presentò il capitano Delfino. Aveva una grossa valigia di cartone, inumidita dalla pioggia, legata sui quattro lati con un laccio per evitare che aprendosi facesse cadere il contenuto. Era pesante quella valigia perché quando il capitano Delfino salì sulla barca, la carena si abbassò sotto il livello del mare di parecchi centimetri. Ondasuonda scrutò qualsiasi mossa di quello strano tizio e si accorse che aveva portato il suo pesante bagaglio nella stiva dove incominciò a svuotarlo di ogni cosa. Era fatta! Delfino aveva acquistato Ondasuonda perché si comportava come un vero padrone e poi il custode questa volta non era venuto a curiosare.
Ora sì che si poteva ritornare a navigare tempo permettendo! – Sospirò con entusiasmo Ondasuonda che subito dopo pensò: ‐ è un brutto periodo dell’anno questo per l’acquisto di una barca o meglio per andare per mari. Non credo che Delfino voglia uscire con questo brutto … .
Non ebbe neppure il tempo di concludere questa sua semplice riflessione che Ondasuonda sentì l’accensione del motore. Sentì l’elica girare e lei stessa muoversi prima lentamente e poi velocemente. Sembrava che Ondasuonda andasse sulle montagne russe.
‐ Che guaio! Questo non sa cosa significa guidare una barca, non sa neppure cosa significa mare, non è per niente un esperto di mare. Non può portarmi a mare aperto con questo tempo! Non sa dove mettere le mani, povera me! Mi farà affondare sicuramente! Avevo nutrito tante speranze. Ero contenta di essere capitata nelle mani di un lupo di mare, ma mi sono sbagliata nel giudicare. Non bisogna mai e dico mai fidarsi delle apparenze! – Tutto questo balenò nella mente di Ondasuonda.
Cercò di gridare! Cercò di dire a Delfino che con quel mare agitato non era il caso di navigare. Il suo linguaggio, purtroppo, non era lo stesso di quello usato dagli umani e quindi Delfino, che era un umano, non poteva ascoltare la sua voce allarmata, le sue grida.
Non ebbe il tempo di uscire dal Porto antico che un’onda anomala improvvisa, altissima con una forza gigantesca, fece sbattere contro il durissimo molo Ondasuonda che si fracassò in mille pezzi. Povera Ondasuonda!