La Bella Addormentata
Era bella, era pura, sembrava quasi ritornata all'infanzia.
Sul suo volto pareva essersi steso un velo di serenità imperturbabile, sul cui pallore emergevano un lieve rossore delle guance, unica traccia di vita su quel corpo immobile.
Attorno a lei non erano cresciuti rovi, né era rinchiusa nella torre di un castello, il suo sonno non era frutto di un incantesimo di una donna invidiosa e frustrata.
Il principe era il suo incantatore, colui che l'avrebbe baciata, ma che nel contempo ne desiderava l'immobilità.
E come un principe si era presentato quell'uomo: il sogno di ogni ragazza di modeste condizioni, tanto più per una che si pagava gli studi con il lavoro di commessa e cameriera part‐time.
L'uomo giovane, elegante e attraente, con la macchina sportiva e conoscitore di mondi su cui ella poteva solo fantasticare.
Billionaire, Porto Cervo, Ibiza, Formentera, conoscenze VIP: tutti quegli status symbol raggruppati in un solo individuo.
Sembrava fosse stata risvegliata da quel torpore tedioso e anonimo in cui era vissuta per vent'anni, eppure adesso stava dormendo e nulla poteva turbarne il sonno.
Ciò era accaduto perché il principe aveva bisogno della sua passività, della sua incapacità di reagire.
Troppa vita aveva pervaso quel giovane corpo, troppe aspettative trapelavano dai suoi occhi; meglio l'immobilità, meglio che quella luce sia nascosta dalle palpebre abbassate.
Ella non deve vedere la bestia nascosta dentro al principe, potrebbe spaventarsi o, peggio ancora, deriderlo.
Perché rischiare l'umiliazione, quando tutta la bellezza può essere imprigionata in un delizioso, caldo e inerte involucro, totalmente a sua disposizione?
Per questo motivo le addormentava tutte con il suo elisir speciale, sottratto al fratello medico, il loro oblio diventava così la sua estasi.
Necrofilia?
No, niente affatto: loro erano tutte vive, i loro colpi caldi, il sangue scorreva sotto le loro guance delicate.
Poi si risvegliavano, ignare di tutte le fantasie che lui aveva concretizzato su di loro, solo un po' sconcertate e imbarazzate per essersi addormentate all'improvviso.
Ora avrebbe dato sfogo al suo desiderio su quest'ultima donna, fragile, vulnerabile e per questo irresistibile.
Lo stesso rito di sempre: denudare quell'involucro, togliersi i vestiti, aprirsi lui stesso, mostrarsi a colei che non può vederlo, valutarlo, giudicarlo.
Si stese su di lei, pelle a pelle, calore su calore, adagiarsi su quel tappeto di carne accogliente che sembrava aspettare solo che vi si immergesse.
E lui vi si immerse.
Fu allora che lei aprì gli occhi: le sue iridi si fissarono su di lui, incredule, accusatrici.
Non poteva sostenere la lama di quello sguardo, era come pioggia incandescente su di lui.
Allungò la mano, prese il primo oggetto che trovò: un tagliacarte.
E colpì, colpì, sperando di non vedere più la derisione sul suo volto.
Alla fine i suoi occhi si svuotarono di ogni presenza, diventando vacui, da bambola.
Le posò una rosa rossa accanto al viso pallido inondato di sangue, una composizione bizzarra, ma a suo modo gradevole.
‐Oh, al Diavolo... è ancora calda.‐
E ricominciò lì dove era stato interrotto.