La Bella Irene
Quando un nuovo inquilino, in questo caso una nuova inquilina giunge in un complesso di abitazioni è normale che si generino dei commenti diversi fra maschi e femmine già residenti, di solito queste ultime sono le più critiche ma nel caso di Irene nessuno fece apprezzamenti. L’abitazione, un attico in via Magenta a Roma era stata occupata sino a qualche giorno prima da un’anziana signora che aveva reso l’anima a Dio (per chi ci crede). I nipoti residenti lontano dalla capitale avevano affittato la casa ad una trentenne alta, bruna, longilinea, nessuna traccia di trucco. Era stata ‘preceduta’ da un…pianoforte a coda che aveva fatto faticare non poco gli addetti al trasporto che avevano dovuto usare una gru esterna, erano stati generosamente ricompensati. Tramite il portiere, Alfonso si era venuto a sapere solo il nome della signora o signorina Irene, professione ignota. Qualche giorno dopo quando si avvicendarono a casa della giovane dei giovani allievi che presero a ‘strimpellare’ lo strumento venne fuori la professione, insegnante di pianoforte. Irene aveva una particolarità particolare, indossava solamente dei lunghi vestiti neri allacciati al centro da una chiusura lampo, d’inverno di lana nelle altre stagioni di seta o stoffa, il tutto simile alla ‘divisa’ dei sacerdoti che al posto della cerniera avevano dei bottoni, amicizie: nessuna. La cosa ‘puzzava’ alle signore della palazzina, i maschietti non sapevano che pensare o meglio lo sapevano ma incontrando Irene al massimo ne ricavavano un sorriso, il resto ‘out’. Al principio il suono del pianoforte era piacevole per gli altri inquilini, in seguito decisamente meno ma non c’era nulla da poter rimproverare all’insegnante, il pianoforte entrava in funzione solo negli orari permessi dalle leggi di P.S. A poco a poco la curiosità scemò sino a quando la signorina, un pomeriggio si ritirò a casa a bordo di una fiammante Abarth 595 grigio argento, un ‘aggeggio’ da duecento all’ora. Amleto ventenne, il solito impiccione una mattina con la sua Audi A1 cercò di seguire Irene. Pia illusione, la ragazza si esibiva in sorpassi pazzeschi lungo i trenta chilometri dalla via Magenta all’autodromo di Vallelunga. Amleto tornò indietro ‘scornato’. Raccontò l’avventura agli amici, ci rimediò anche una ‘presa per il sedere’, battuto da una donna che guidava una ‘scatoletta’. Le Moire chissà per qual recondito motivo avevano preso di mira gli abitanti della palazzina, in particolare quelli del quarto piano, le due famiglie alle quali apparteneva anche Amleto erano amiche. Un giorno stavano percorrendo a bordo della Audi guidata dal giovane la via del mare per raggiungere Ostia quando un Tir sbucò da una via laterale, l’auto andò ad infilarsi sotto la pancia del bestione, fu scoperchiata e vi rimase incastrata, i cinque occupanti deceduti su colpo. La notizia fu riportata dalla stampa locale con foto scioccanti dei resti della macchina e dei passeggeri. È noto che per le abitazioni al centro di Roma c’è molta richiesta, il primo alloggio venne occupato da due signori insegnanti al vicino liceo classico: Adriano docente di materie letterarie, Aurelio di matematica, il secondo appartamento da una signora, Paola col figlio sedicenne Diego. Gli altri inquilini, da generosi romani diedero un mano ai quattro per la sistemazione degli alloggi. L’incontro fra i due professori ed Irene avvenne una domenica ai piedi dell’ascensore, Adriano ed Aurelio si presentarono con un finto baciamano, furono ricambiati con un abbraccio. Adriano sfoggiò la sua competenza letteraria esibendosi in: “È l’ora che volge…non al desio ma piuttosto ad un più materiale voglia di cibo, sono le dodici e trenta, che ne dite di entrare nella vicina trattoria ‘Da Checco’? “ Invito accettato all’unanimità. Checco apparve col classico grembiule non particolarmente pulito:” ‘A’ Laura avemo novi clienti, appiccia er foco.” Intervenne Aurelio: “Siamo gli inquilini del quarto piano, ci hanno parlato bene della sua trattoria, siamo un po’ affamati…vedi un pò che puoi fare…” “Er mejo dottò, mi mioje ai fornelli se la fa…, ce penso io al menù.” La porta della cucina si era aperta, era apparso il viso di una donna che definire brutta era un’offesa a tutte le brutte del mondo. Checco si era allontanato per andare a dare ordini in cucina e poi ritornò vicino al tavolo: “Signori ho visto la vostra faccia…c’iavete ragione ma quando so venuto ‘n stò locale ero ‘n pischello, dovevo solo lavare i piatti, la paga era poca, Laura mi veniva appresso ma io stavo alla larga poi un giorno il padre Lelio per le insistenze de la fija me propose de sposalla, io cadei, caddi dalle nuvole ma quando Lelio mi propose di intestarmi il locale insieme alla fija…che ve devo da dì, capitolai…La prima notte de nozze la passammo in un albergo a Napoli, la vidi nuda pé la prima vorta, andai completamente in bianco, ce vollero dù giorni per fammelo diventare duro, il più era fatto, oggi sono il signor Checco có ‘n locale conosciuto in tutta Roma, mó ve n’accorgerete che la brutta…” Checco aveva detto giusto, i tre si rimpinzarono alla grande, il vino dei Castelli aveva fatto la sua parte rendendo il trio euforico. Per giunta Checco aveva voluto fare l’anfitrione, finale in casa dei due insegnanti. “Mi domando perché un letto matrimoniale…forse?” “Non forse, si, siamo omo, insegnavamo in una scuola in provincia di Venezia, in un paese conformista e molto religioso. Alcuni genitori andarono prima dal Vescovo e poi dal Preside dell’Istituto parlando male di noi paventando che potessimo ‘infastidire’ i marmocchi. Il segretario della scuola, nostro amico ci consigliò di cambiare aria, per fortuna avevamo un amico al Ministero che ci fece trasferire a Roma, fine della storia. Cosa ci dici di te?” “Siccome siamo in via di confidenze…sono femmina con qualcosa in più, in altre parole un trans. Durante il periodo scolastico mio padre mi ha sempre iscritto a scuole private parificate, non ho avuto problemi al conservatorio. Che ne dite di vedere il mio gioiello?” L’interessata fece seguire alle parole ai fatti e mise in mostra un ‘ciccio’ in fase di ‘aumento di volume’ che fece molta impressione ai due. Adriano: “Pensavo che Aurelio avesse un mostro, ma il tuo…quando decideremo di metterlo in uso ci vorrà un bel po’ di vasellina!” Detto, fatto, Adriano assaggiò per primo il batacchio in bocca poi si fece coraggio e ci fu un ‘matrimonio’ con qualche lao, insomma lamento dell’interessato. Aurelio spaventato rimandò a miglior tempo la stessa esperienza. Ormai il sabato pomeriggio era dedicato dai tre ai ludi orgiastici, Adriano prima baciò in bocca Irene e poi la penetrò delicatamente usque ad finem; la giovin donna a stecchetto da molo tempo ebbe vari orgasmi col suo pene facendo esclamare all’amante: “Qui ci tocca a fare le lavandaie, Marsilia non è scema e si accorgerà…” “Ci scommetti che un centone la renderà daltonica…” Aurelio era diventato oggetto degli strali pungenti degli altri due, lui stesso non capiva la sua ritrosia. Irene pensò lei a sbloccare la situazione, prese da parte Aurelio, lo condusse a casa sua, nuda cominciò a dimenarsi come una ballerina di danza del ventre, prese in bocca l’augello di Aurelio e si fece penetrare a lungo, per ambedue orgasmi a non finire, con l’aiuto del dio Morfeo passarono una notte rilassata, era avvenuto un fatto nuovo, un miracolo: Aurelio si era scoperto bisessuale! Irene ormai scatenata volle mettere alla prova il batacchio del giovane virgulto, Diego, si dimostrò all’altezza della situazione ed assaggiò a lungo il disponibile popò di Irene poi nel clima erotico creatosi: “Mamma lunedì vieni a prendermi a scuola, il Preside ha una moglie laida e ignorante, te lo presenterò, è un bell’uomo, con lui ti divertirai un ‘sacco’ e soprattutto mi aiuterai a superare gli esami, mammina fa per me questo sacrificio!”