La Bestiaccia
Sono passati dieci anni da quando quel treno è partito e ne sono accadute di cose.
Ora in quella stazione, di una linea ferroviaria che la nuova dirigenza definisce crudamente "un ramo secco", fermano solo due coppie di treni al giorno, come si dice in gergo tecnico.
La stazione è disabilitata durante la notte, durante il giorno il traffico dei treni solo in transito è controllato dalla stazione capo tronco, Jacopo deve solo presidiarla durante il giorno per qualche eventuale ed improbabile viaggiatore.
Anche se gli sembra di fare la guardia ad un bidone di benzina, per giunta vuoto, Jacopo continua a fare il capostazione di quella spersa ed inutile stazione.
C'è un vantaggio in questo lavoro: ha tanto tempo per pensare.
Nella frazione dello scalo ferroviario son rimasti in pochi: Jacopo nel troppo grande alloggio di servizio, il vecchio dottor Lussu che nei giorni dispari scende dal paese per aprire il suo ambulatorio dalle 10 alle 12, alcune famiglie di contadini nelle masserie lungo il torrente che continuano a coltivare tabacco, giusto per abitudine. Il conte Baccini Sforza ha abbandonato la cava di marmo dopo aver completamente divorato la collina come una carie inarrestabile, quando non ha avuto più convenienza economica perché il marmo bulgaro è più a buon prezzo, trasporto incluso.
E così Jacopo può pensare e ricordare la Bestiaccia.
La chiama così nella sua mente, ha quasi dimenticato quel nome assurdo e fuori moda, Edvige.
Nome che lei non usava mai.
Preferiva farsi chiamare con tutte le possibili combinazioni delle lettere del nome: Edi, Via , Gia, Gea e via combinando.
La notte prima Jacopo non ha dormito: un mal di denti tremendo.
All'arrivo del dottor Lussu, puntuale come sempre, Jacopo è già in attesa sotto il porticato davanti all'ambulatorio.
Lussu parcheggia la vecchia Lancia Flavia blu carta da zucchero e si avvicina con la solita andatura saltellante a Jacopo e con tono affettuosamente brusco: "Il solito mal di denti, eh? Ma cosa aspetti ad andare da un dentista? Io non ti posso fare niente, solo qualcosa per calmarti il dolore." Quasi cambiando discorso: "A proposito sai la novità?" ‐ e senza aspettare la risposta ‐ "Domani arriva Edvige, ho saputo che deve venire a vendere la vecchia masseria o forse, non ho ben capito, viene ad aprire un agriturismo. Con quella non si sa mai cosa le passi esattamente per la testa".
Jacopo resta in silenzio, ma pensa, pensa e ricorda, quasi un rumore intenso quei ricordi, come se un tamburo suonasse e ha l'impressione che anche il vecchio dottore sta sentendo quel suono.
Il suo se riflessivo sta parlando inutilmente: "Domani arriva la Bestiaccia e si ricomincia. Perché non vai via ? Mica è tornata per te! "
Sono passati dieci anni da quando quel treno è partito e ne sono accadute di cose.
Ed oggi Edvige ritorna.
E' l'unica passeggera del treno regionale 2456 che si arrampica docilmente lungo la salita di Sferracavallo che corre parallela alla vecchia statale dismessa.
Una volta per superare quel tratto di salita attaccavano una locomotiva in coda, il treno era di quattro carrozze viaggiatori, un bagagliaio ed almeno un paio di carri merci a pianale carichi di marmo.
Oggi il treno regionale è formato da un'unica carrozza diesel: una vecchia littorina riciclata che ancora funziona su quel ramo secco.
Edvige guarda distratta fuori: non è che si veda tanto, i binari corrono in un canalone circondato da pioppi rinsecchiti ed arbusti selvatici.
Lungo quel percorso, una volta, c'erano cespugli di more, tanto vicini ai finestrini del treno che quando rallentava si potevano raccogliere.
Edvige ne sente ancora il sapore sulla lingua.
Al culmine della salita il treno passa sotto il viadotto nel nuovo tracciato della statale e, dopo una lunga curva, imbocca la galleria del Pozzo del Sagrestano ed inizia la discesa verso il paese.
Ogni volta che imbocca quella galleria Edvige ha un moto di spavento, ricorda la storia di quel treno rimasto bloccato all'interno e di tutti i duecento passeggeri morti soffocati per i vapori del carbone delle due locomotive.
La leggera littorina attraversa abbastanza in fretta la lunga galleria ma Edvige per tutto il tempo è rimasta con il fiato sospeso.
All'uscita ha un sorriso sarcastico e tra sé e sé: "Che buffo sarebbe stato morire qui sotto, avrei avuto a stento un trafiletto di poche righe. A chi vuoi che interessa un treno con un'unica passeggera morta soffocata. Eppure sarebbe stata una buona soluzione. Sarei finita senza soffrire. E che stupido questo mio ritorno: la bestiaccia mica scappa via da dentro di me."
quuesto racconto è finito nel mio romanzo Prodotti Difettosi
https://www.edizionimelagrana.it/prodotto/prodotti‐difettosi‐2/