La corsa
Serviva un piatto dietro l’altro, col grembiulino appoggiato sul seno e stretto in vita, come una velina sul dolce.
Roteando allegra tra i tavoli, i capelli biondi di seta, impegnata a sollevare il vento primaverile dal viso rosato e leggermente acceso di una fatica, senza peso. Sulle caviglie erano laccetti sottili che legavano scarpe bianche e maliziose, un po’ infantili e ammiccanti di giovinezza.
I polsi forti preparavano i piatti e i bicchieri, spolveravano briciole e tovaglie candide, che sventolavano impazienti d’estate.
Così la trattoria della curva, che alta precipita sul lago profondo, vedeva la luce del pomeriggio posarsi sui nostri capelli, noi avventori della domenica, confondevamo i nostri con gli occhi degli altri clienti, di chi vedeva altre storie, azzurre e meste, srotolarsi davanti ad una vita già a metà strada. Di chi, con le proprie storie, portava la curiosità ormai esclusivamente sul piatto della solita bistecca e patatine fritte surgelate.
Ma la giornata spazzava allegria tra le nuvole alte e morbide, verso l’orizzonte il lago blu che si animava di vele bianche, disegnate e irreali.
Correvano, correvano sui rotoli di polvere, anche scontrini candidi caduti dalle tasche di passanti e di macchine veloci. Correva la camerierina giovane all’incontro col pomeriggio, che prometteva incontri di giovinezza, correva svelto anche il mormorio del pensiero, che di momento in momento, ardeva di vita sul cuore di chi si avvicina, svelto, alla sera che si appresta.