La Felicità
Avevano bussato con i pugni alla porta d’ingresso, sicuramente si trattava di amici, solo loro non suonavano il campanello. Alberto Marcucci, santiando, scese dal letto, aveva abbandonato malvolentieri il suo calduccio, era una domenica di febbraio. Dallo spioncino riconobbe Lavinia De Scalzi la portiera del palazzo, tipo invadente. “Caro Alberto ben alzato, ti chiedo un favore e poi puoi tornare al caldo del letto, pigrone!” Lavinia si era arrogata il diritto di dargli del tu, aveva giustificato la sua invadenza col fatto che nelle Marche dove abitava prima di trasferirsi a Roma tutti si davano del tu, vecchi, giovani, poveri e ricchi. Ad Alberto poco importava l’abitudine marchigiana ma per togliersela di mezzo: “Dimmi che ti serve e poi levati dai…” “Il signore è nervoso, forse ti manca la ‘cocchia’, sono a disposizione.” Alberto ancora dormiva in piedi, Lavinia capì male: “Forse preferisci il culo?” “Ti ripeto dimmi quello che ti serve e poi…” “Trentamila Euro me li presti?” “Alberto riprese il suo spirito di moqueur: “Anch’io cerco chi mi faccia un prestito, conosci qualcuno?” “Con me non attacca, sei ricco, tua moglie ti ha fatto becco ma ti ha lasciato casa e tanti quattrini e pure una macchina giapponese, non fare lo spilorcio!” “Hai qualcosa di più appetitoso oltre te?” “Mia figlia Beatrice, ha quindici anni, è ora che cominci ad aiutare la famiglia!” Alberto rimase basito, quella era capace di dire la verità, andò in camera, prese il libretto degli assegni, ne staccò uno, trascrisse la cifra richiesta, lo porse alla sfacciata richiedente e chiuse la porta sbattendogliela in faccia, non c’era nessun aggettivo per classificarla o meglio si: ‘prosseneta!’ Il palazzo dove abitavano a Roma Alberto, Lavinia e Beatrice si trovava in via Paolina, la scuola dove Alberto insegnava lingue alla scuola media Manin era in via dell’Olmata, non molto lontano. Alberto aveva qualche volta intravisto la piccola Beatrice, era ancora un pulcino, quella proposta della madre gli faceva ribollire il sangue, non era giustificata dal fatto che a mamma Lavinia si poteva attribuire il detto latino: ‘mater semper certa est pater nunquam’, insomma era stata abbandonata da chi l’aveva messa incinta, questo il motivo del suo livore verso gli uomini. Il pomeriggio successivo il campanello della porta, Alberto non aspettava nessuno, non dava lezioni private, non aveva bisogno di soldi. Dallo spioncino riconobbe Beatrice, aprì la porta. Prima che potesse aprire bocca la ragazza: “Mia madre mi ha detto di venire a casa sua per…giocare con lei, tutto quello che lei vuole.” Stà figlia d’introcchia, maledetta, che razza di madre! “Entra cara, potremo fare insieme i tuoi compiti.” Era ancora in casa a fare i servizi la cameriera Adele che non si meravigliò della venuta della ragazza, sicuramente per ottenere delle ripetizioni. Ormai d’abitudine il pomeriggio Bea andava a casa del professore dove spesso anche pranzava, la madre era d’accodo con quella soluzione, a dir suo lei andava in giro a fare pulizie nei palazzi vicini. Venne la primavera e con essa un clima più temperato, Beatrice vestiva in maniera più leggera, semplici camicette ed anche una minigonna, per lei una novità. Alberto praticamente le faceva da padre, la mattina a scuola, il pomeriggio impegnato con la bimba che bimba non era più, stava crescendo, dava del tu ad Alberto il quale non aveva il tempo materiale per invitare qualche vecchia ‘amica’, insomma andava in bianco. Lavinia domandava alla figlia se avesse rapporti intimi col professore, “Mamma può essere mio padre!” “Quel delinquente di mio marito chissà dov’è finito, spero all’Inferno.” Quella domanda materna spinse Beatrice a guardare in maniera diversa Alberto, potevasi essere si suo padre ma era ancora un bell’uomo, i suoi compagni di classe erano dei bamboccioni, nessuno di suo gusto. Un pomeriggio: “Alberto tu chiudi gli occhi, per te una sorpresa!” Alberto obbedì, pensava ad un regalo, poco dopo si trovò le sue labbra incollate a quelle di Beatrice, una sensazione mai provata, aprì completamente la bocca e la lingua della signorina gli penetrò all’interno, baciava come un persona grande. Fu Alberto che si staccò per primo: “Ti rendi conto di quello che abbiamo fatto, roba da Codice Penale!” “Sinché non troverò un fidanzato di mio gusto lo sarai tu!” Molto cambiò nel rapporto fra i due, appena entrata in casa di Alberto questi si beccava un bacio alla grande ma la situazione si modificò come volle la ragazza che un pomeriggio ‘dimenticò’ di indossare gli slip, si piegò dinanzi ad Alberto che si trovò di fronte…Reazione inaspettata di ‘ciccio’ che portò Beatrice a battere le mani: “Sei ancora un vero uomo, sarai il primo!” La buona cena preparata da Adele non attirò più di tanto Alberto, al contrario di Beatrice che ‘spazzolò’ tutti i piatti, ananas compreso. Si sedettero sul divano dinanzi la TV. “Non è possibile tutte sté cattive notizie, chiudi gli occhi, non fare storie, ormai sei mio.” Conclusione, un ‘ciccio’ inalberato fu tratto da Bea fuori dei pantaloni di Alberto che pensò:”Era destino, ormai Bea ha sedici anni…” La ragazza dimostrò un’esperienza che stupì Alberto, ricevette in bocca lo sperma e lo ingoiò poi: “Pensavo peggio, ha un buon sapore!” Un avvenimento venne a modificare l’idillio, Lavinia un pomeriggio che la figlia era uscita per far delle compere bussò a casa di Alberto. “Ho dei problemi gravi da risolvere, ho bisogno di soldi, devo sparire da Roma, subito cinquantamila Euro, devi prestarmeli, sarà un compenso per le prestazioni di mia figlia!” “A parte che tua figlia non mi ha effettuato nessuna prestazione, da quello che ho compreso devi andar via da Roma per sempre, ecco un assegno di cinquantamila Euro ma intendo regolarizzare in qualche modo la mia posizione e quella di Bea, una scrittura privata in cui dichiari che hai da me ricevuto prima trenta poi cinquantamila Euro e che io sarò il tutore di tua figlia sino alla maggiore età.” Lavinia non se lo fece ripetere, su un foglio di carta protocollo mise nero su bianco quanto richiesto da Alberto, prese l’assegno e sparì dalla circolazione, un sollievo da parte di Alberto e di Beatrice che al rientro in casa seppe delle ultime novità. Dopo due giorni fu assunta una nuova portiera, Giovanna Samperi ribattezzata da Alberto Giovannona, nubile, era di stazza notevole e di buon carattere. Beatrice trasportò i suoi averi in casa di Alberto, c’erano armadi a sufficienza ed anche letti ma i due usavano solo quello matrimoniale. “Papi nella mia classe è giunto un siciliano, è simpaticissimo col suo dialetto anche se qualche parola non lo capisco, per esempio talvolta dice: ‘Cam’a fari’ per dire cosa dobbiamo fare, nel nostro caso ti dico: ‘Cam’a fari?” “Lo sento come un ultimatum, sono del vecchio stampo e non sono andato mai con una vergine…” “La vergine non vuole restare ancora vergine a vita, non tirare fuori la storia che sono minorenne, mancano pochi mesi al fatidico giorno, la mia passerina sta scalpitando, datti da fare, son sicura che sarai delicato…” Quello di Beatrice era una specie di ultimatum, Alberto pensò a problemi pratici: usare un preservativo, sembrava volgare per la prima volta di una ragazza, acquistare pillole anticoncezionali? Ci voleva troppo tempo perché facessero effetto.”Caro ti leggo in viso quello che pensi, tu prova a fare marcia indietro, se accadesse che…vuol dire che era destino.” Il giorno scelto era un sabato pomeriggio, Beatrice era lavata e profumata, fece tutto lei, si mise a cavalcioni del coso di Alberto inalberato e pian piano raggiunse l’obiettivo, nessun lamento da parte sua, era una dura. Giugno, la fine delle lezioni coincise con il compimento del diciottesimo anno di Beatrice, la ragazza avrebbe voluto festeggiare con i compagni di classe, Alberto gli propose un’alternativa: andare in villeggiatura nelle isole Eolie non ancora affollate come nei mesi estivi. A Milazzo posteggio dell’auto in garage, dopo due ore di aliscafo sbarco nell’isola di Panarea, sul molo un cartello indicava la strada per l’albergo, ‘Ulisse’ c’erano ancora stanze disponibili. Cena nel vicino ristorante che dava su una scala in cemento in fondo alla quale c’era una caletta, piccola spiaggia di cui usufruivano principalmente gli ospiti dell’albergo‐ristorante. Beatrice abbracciò Alberto,: “Mi hai portato in un Paradiso, stasera…razione doppia!” La ragazza aveva sfoggiato un bichini mini, dove l’aveva acquistato? Ovviamente a Roma, la baby mostrava un popò in bella vista, solo un filo dietro ed un ‘francobollo’ davanti con pube rasato. Alberto non sapeva se essere orgoglioso della sua compagna o preoccupato, in giro c’erano molti giovani bellocci ed eternamente a caccia di femminucce, Bea era un preda molto appetibile. I due baciati dal sole pomeridiano erano soli nella caletta quando sentirono il rombo di un motore, si stava avvicinando, uno yacht che però non raggiunse la riva causa il pescaggio. Un gommone a remi fu messo in acqua dall’equipaggio, sopra un uomo e una signora non più giovane, il gommone si arenò vicino ad Alberto ed a Beatrice i quali si alzarono in piedi. Con accento napoletano il giovane “I signori sono il comitato di benvenuto, è la prima volta che approdiamo a Panarea.” “No, anche noi siamo dei turisti.” Dopo le presentazioni: “Alberto Marcucci, Beatrice De Scalzi la mia compagna.” “Sono Ciro Esposito, mia madre Eloise Dubois, è francese, non parla italiano., restate pure comodi.” Ad Alberto parve strano che la dama non conoscesse la lingua italica: ”Je suis Romanò, professeur de langues, considerant que vous non connessez pas l’italien nous parleron avec votre langue.” Nessun riscontro da parte della dama, Alberto ebbe modo di comprendere il suo atteggiamento in seguito. “Ci siamo abbastanza abbrustoliti, noi rientriamo sullo yacht, appuntamento al ristorante per la cena.” Tutti e quattro con abbigliamento sportivo si presentarono al ristorante, furono accolti dal capo cameriere: “Sono Bartolo il capo cameriere, per voi questo tavolo a destra.” Ciro: “Se possibile ne vorremmo uno più grande.” “Non ci sono tavoli liberi..” Intascati cinquanta Euro: “Signori potrei sistemarvi in un tavolo rettangolare in fondo alla sala, è poco illuminato, dovrò farlo apparecchiare, ha un inconveniente solo due sedie, dall’altra parte una panchina.” “Aggiudicato io sono Alberto.” “Bene signor Alberto…””Niente signore, per il menù faccia lei, unica eccezione niente baccalà e stoccafisso, se possibile nel primo piatto capperi locali, mi piacciono molto.” Alberto fu accontentato: antipasto di polpo con capperi, pasta corta con melanzane fritte e capperi, secondo frittura mista di pesce azzurro e mezza aragosta a testa, insalatona e vino Bianco di Salina I.G.T.” Ciro: “ Niente caffè non mi fa dormire.” “Perché tu hai voglia di dormire? In villeggiatura si va a letto alle cinque di mattina!” Così Bea si era espressa ridendo, che avesse qualche idea in testa?” Ciro prese la palla al balzo: “Se ti va potremmo andare nell’isola di Basiluzzo dove Antonioni nel 1959 ha girato il film l’Avventura’ con Monica Vitti, mi hanno informato che c’è ancora una capanna da loro messa su per esigenze cinematografiche.” “Approvato, caro vuoi venire anche tu?” Ad Alberto si era stretto il cuore, immaginava come poteva andare a finire quella gita.” “No cara, ho sonno vado a dormire., messieurs bonne nuit!” “Che buona notte buona notte, non mi va di dormire da sola…” “La muta dei Portici ha ripeso la voce, grande sceneggiata, per qual motivo?” “Ce l’avevo col mondo, quel porco di mio marito mi ha lasciato per una compagna di università di mio figlio, odio gli uomini…” “Allora non posso esserle d’aiuto, di nuovo…” Alberto fu preso a braccetto da Eolise: “Dov’è la sua stanza?” “Più avanti due isolati.” “Vediamo com’è il letto, abbastanza morbido, io vado in bagno, seguimi.” Ad Alberto quelle parole sembrarono più degli ordini, era confuso che più confuso non si può ma allorché vide Eloisa nuda aprì bene gli occhi, aveva ancora il corpo da giovinetta, longilinea, tette piccole, aggraziate, vita stretta, pube tipo foresta nera, si convinse che madame andava accontentata. E così fu. “Sii gentile, è da tempo che…” “Dovrò togliere le ragnatele, vieni sul letto porcona!” Così iniziò la liaison fra i due, Eloise aveva recuperato la voce, Alberto una ‘maialona’ che dopo due ore lo lascò senza forze. Alle sette di mattina Alberto aprì gli occhi, passata la tempesta sessuale la normalità riprese il sopravvento nel suo cervello, immaginava quello che poteva aver fatto Beatrice, si vestì, andò al bar. Dietro la macchina del caffè Bartolo che:”Buon giorno signor Alberto, ci sono i cornetti freschi, le preparo un buon cappuccino.” La parola ‘cornetti’ fece sorridere Alberto, richiamava il fatto di come doveva aver passato la notte Beatrice sullo yacht coccolata anche dalle onde che dovevano aver reso più piacevole il soggiorno. Poco dopo dalla scalinata spuntò la baby fresca come un rosa. “Buon giorno amore mio, ho una fame da lupo, buon giorno Bartolo pure a me un cappuccino con tre cornetti, devo recuperare le forze…nel senso che ho fatto la salita per arrivare sino a quassù!” “Alberto sono stata e voglio essere sincera con te, nella capanna dell’isola Basiluzzo non c’era nulla per poter riposare siamo ritornati in rada, prima di venire quassù mi sono lavata i denti ed ho sciacquato la bocca con un disinfettante.” Tradotto gli ho fatto anche un pompino. Alberto non era più nemmeno meravigliato, solo rassegnato, comprese che la gioventù di Bea avrebbe preso il sopravvento e che lui, pur essendo il ‘suo grande amore’ doveva accettare qualche capriccio giovanile. A pranzo l’atmosfera era cambiata, Eolisa aveva ripreso a parlare in italiano sfotticchiata dal figlio.”Vedo mammina che la cura di Alberto ha avuto successo meglio che se fossi andata a Lourdes!” Il pomeriggio tutti sbracati sulle comode poltrone della sala da pranzo nel frattempo sistemata a pista per il ballo della sera. Tutti ad occhi chiusi ad assaporare il ‘post prandium.’ Ad Alberto venne in mente la trama di un romanzo francese dell’ottocento in cui un uomo piuttosto attempato si era innamorato di una giovanissima, l’autore del libro aveva sottolineato la pateticità di quel povero vecchio, Alberto si rivide in lui, una tristezza! Una mattina durante la colazione: “Alberto e Beatrice, ‘la favola breve è finita’ come scriveva il Carducci, io sono proprietario fra l’atro di una fabbrica di pasta a Gragnano ‘ pasta ‘Mangione’ il nome gliel’ha data mio padre, voi siete invitati permanenti a casa mia, se volete potete venire anche adesso con noi con lo yacht. Anche madame Eloise si associò alla richiesta del figlio, evidentemente aveva un buon ricordo di Alberto che rispose anche a nome di Beatrice: “Vedremo in futuro quando saremo a Roma, bon voyage.” Il saluto di Beatrice nei confronti di Ciro fu un pó troppo affettuoso perlomeno così apparve ad Alberto. Il giorno successivo Beatrice appariva nervosa: “Non mi sento più di rimanere a Panarea…” Il suo desiderio di ritorno nella capitale fu esaudito da Alberto che comprese che qualcosa di importante era avvenuto nella mente della baby, si era innamorata del bel napoletano. Si era iscritta all’università nella facoltà di lingue, non si applicava molto nello studio, la frequenza le serviva soprattutto per uscire di casa, i rapporti con Alberto era diventati superficiali e di facciata, Alberto se ne accorse, inutile non guardare in faccia alla realtà. Il non più giovane se ne accorse e: “Cara penso che una gita in Campania ti farebbe bene, ho prenotato via web un biglietto del treno che parte domattina alle otto.” Era quello che lei desiderava. La mattina alle sette: “Ho chiamato un taxi non mi sento di guidare.” Il motivo era un altro, non sopportava i saluti alla stazione che probabilmente sarebbero stati gli ultimi. Al citofono: ”Taxi”. “Caro ti darò mie notizie”, un abbraccio, non un accennò alla data di un suo ritorno. In seguito rare telefonate, una per comunicare ad Alberto che si era iscritta all’Università di Napoli e che si stava impegnando molto nello studio, voleva essere indipendente. Anche se in profonda crisi esistenziale una volta per telefono Alberto ritrovò il vecchio spirito umoristico: “Cara è buona la pasta Mangione?” “La ragazza colse la battuta. “Ne mangio poco e raramente, sono dimagrita.” Alberto non andava più ad insegnare, in aspettativa per motivi di salute, non usciva più di casa, si affidava a Giovannona cui aveva dato le chiavi di casa. La fune troppo tirata una notte si spezzò, infarto mortale, sul viso di Alberto erano rimasti i segni della sua tragedia, il volto riassume i problemi del corpo. Lontani parenti di Alberto si presentarono alla sua abitazione, sapevano che era scapolo e loro erano i soli consanguinei conosciuti. Una sola persona oltre Bea conosceva la situazione personale di Alberto, il notaio Caio Baldi che appresa la notizia da Giovanna, si precipitò in via Paolina, comunicò ai parenti allibiti le ultime volontà scritte di Alberto, tutti i suoi averi ad una certa Beatrice De Scalzi, specificato il numero del cellulare. La notizia giunse via telefono da parte di Giovanna a Bea che rimase sconvolta ma non se la sentiva di andare a Roma e sopportare la cerimonia del seppellimento della salma, inviò sul conto corrente della portiera la somma per pagare i funerali. Pian piano Beatrice si rese conto che causa della morte di Alberto poteva essere attribuita al comportamento di lei, d’istinto abbandonò la Campania e la pasta ‘Mangione’, rientrò a Roma. La lezione l’aveva cambiata profondamente, si laureò, prese ad insegnare e si iscrisse ad una associazione che assisteva i poveri, era ricca senza merito e elargendo il suo denaro ai derelitti le serviva per cercare di cancellare quel sentimento di angoscia che lo accompagnò per tutta la vita.