La filovia
La filovia... quel maledetto autobus con le antennine elettriche che non arriva mai, specialmente quando la nebbia rende ogni cosa più gelida e triste di quanto già sia… era la notte di un autunno bagnato e aspettavo un mezzo di trasporto per rientrare a casa e ritrovare sotto le lenzuola il calore familiare che in quel momento tanto mi mancava…
Una macchina di passaggio ha rallentato di fronte a me e ho notato l’uomo alla guida osservarmi, fissarmi, svoltare nel controviale come per ripassarmi davanti una seconda volta ... mi ha preso un colpo al cuore di angoscia e paura che è aumentato quando ha fatto la seconda manovra di inversione, a conferma che stava venendo proprio da me, non so a che scopo… so solo che me la sono data a gambe, così… a caso… correndo in direzione contraria a lui... ho avvicinato due persone che dialogavano in piedi accanto al semaforo e ho chiesto aiuto… c’è una macchina che mi insegue… ricordo il loro stupore, la reazione quasi impaurita nel cercare di capire cosa stesse succedendo finché….
Fari divini spuntano dalla coltre grigiastra e umida e si avvicinano… è lei !!!
la riconoscevo dal “sorriso” anteriore, quella faccia da vecchio filobus che da tanti anni ormai mi accompagnava un po’ ovunque in giro per la città: a scuola, in centro, all’oratorio…
una nuova corsa verso la fermata facendo disperato cenno all’autista di fermarsi e finalmente su... la mia salvezza, con il fiato spezzato dall’agitazione mentre l’automobilista passava accanto e tirava dritto fingendo nulla…
Questa scena si è ripetuta analoga una seconda e una terza volta, fin quando ho cominciato a maturare l’idea che l’unico interesse di questi automobilisti erranti fosse per me che passeggiavo senza compagnia, o peggio ancora mi esponevo sul marciapiede come una puttana qualunque.
Certo, a sedici anni non è facile coniugare le cose e l’istinto era sempre quello di fuggire o fingere indifferenza, ma questa richiesta dai vetri abbassati ad avvicinarmi a loro, accettare un passaggio… e quelle domande vaghe e provocanti … aprivano in me un turbamento particolare misto di ansia e pelle d’oca che sotto sotto, per farla breve… mi davano una strana sensazione di piacere.
La volta successiva ho provato a rallentare il passo, andare avanti e indietro, farmi seguire, lasciar correre lo sguardo maniacale su di me e poi fermarmi, come per aspettare qualcosa o qualcuno... studiavo la loro reazione con la coda dell’occhio: prima l’auto si fermava un po’ indietro, poi avanti a me, allora riprendevo a camminare e poi di nuovo mi fermavo, facevo trasparire ambiguità mentre un perverso desiderio vibrava nel mio stomaco dandomi una forte agitazione che stentavo a controllare… poi la portiera, la maniglia, e lo sguardo impacciato che stentava a parlarmi, forse incredulo… il mio rifiuto e la portiera chiusa con sufficienza, ma in me stava maturando qualcosa che non avrei più controllato molto facilmente, anzi…
Ancora oggi ho in me una ricetta magica che tutti sognano di toccare, possedere, respirare... è l’abbandono verso un mondo di piacere in cui i sensi cercano i sensi dialogando con tutte le sfere emotive del nostro corpo... le sensazioni più calde e profonde, quelle più vive, istintive... sapevo già allora che custodivo un tesoro inestinguibile sotto i miei abiti, dentro le mie vene, nei cunicoli più contorti del mio perverso DNA. Dovevo liberare questa energia e donarla al mondo che aspettava: amore, piacere, libertà... orgasmi infiniti...