La Funambola
“Stiamo per assistere al più incredibile spettacolo di traversata, all’esibizione della più grande professionista di funambolismo. Sosteniamola con un applauso di incoraggiamento! Tra pochissimo ‐Sandy Air Queen‐ tenterà la sua più grande impresa!” La telecamera era puntata verso l’alto a inquadrare un filo che legava due montagne e un esiguo gruppetto di operatori teneva lo sguardo fisso lassù, attendendo che la donna comparisse per affrontare il vuoto. Tutto cominciò da bambina. Era timida, impacciata, riservata. Aveva perso entrambi i genitori all’età di due anni. Quel giorno, come sempre, la accompagnarono all’asilo nido per poi imboccare la strada statale per sbrigare una commissione di routine. Il terribile incidente capitò durante quel tragitto. Fu allevata con amore dai nonni materni, per fortuna ancora piuttosto giovani. La educarono con affetto ma presto sopraggiunse il momento di svelarle l’accaduto: “ il tuo papà e la tua mamma ti vogliono un immenso bene e ti proteggono dal cielo!” Le sussurrava dolce la sua nonna, trattenendo a gran stento le lacrime agli occhi. I numerosi dottori e psicologi che la visitarono le diagnosticarono una rara patologia: le “gambe senza riposo” e sin dalla scuola primaria questa malattia divenne ovvio motivo di scherno da parte di qualche suo compagno e il problema si accentuò quando frequentò la scuola media. Le era impossibile restare tranquillamente seduta al banco. Le sue gambe cominciavano ad informicolarsi, a farle male e se rimaneva ferma per più di mezz’ora, immancabilmente veniva colta da forti dolori, un misto tra una scossa elettrica e dei crampi. La muscolatura si irrigidiva, senza intenzione alcuna, causando degli spasmi che tiravano continui calci all’aria. A volte il suo disturbo era così intenso da riuscire a capovolgere persino il suo banchetto con tutto il materiale che gli era stato appoggiato sopra. Di riflesso ne risentì anche il rendimento scolastico poiché disattenta alle spiegazioni dei vari professori, Sandy tentava in continuazione di tenere a bada e senza riscontro i suoi arti inferiori. Tuttavia, nell’ora di educazione fisica, tutti i suoi compagni procedevano tremanti e instabili sull’asse di equilibrio mentre Sandy lo percorreva senza la minima fatica, in maniera del tutto naturale. La sindrome di cui soffriva, per contro, svaniva del tutto durante un qualsiasi movimento. Sull’asse era guidata dal suo istinto, ne carpiva rapida la direzione e allineava i piedi perfettamente, uno davanti all’altro. Le risultava facile camminare così, centrando le sue suole a quello scarso spessore offerto dall’attrezzo. Durante un’altra lezione di ginnastica qualcuno le avanzò addirittura la proposta di eseguirlo bendata; Sandy accettò. Come dotata di un terzo occhio e grazie a un talento naturale, arrivò senza indugi alla fine, come fosse niente. I suoi piedi riuscivano a percepirne la materia, l’energia, nello stesso modo in cui e a volte, un cieco può compiere azioni davvero straordinarie. Senza barcollare, dritta e perpendicolare avanzò decisa captando anche nel buio ogni sguardo di incredula ammirazione. “Brava Sandy!” “Ma come fai?” “Sei fantastica!”. Quei complimenti erano una rara occasione di gioia. Sandy lavorava al suo baricentro, riusciva così a dosare forza e equilibrio in maniera del tutto eccezionale. Non era raro incontrarla per strada mentre passeggiava sullo stretto bordo di un marciapiede oppure sorprenderla a qualche metro da terra, arrampicata su un albero mentre ne percorreva in perfetto equilibrio un ramo. Quella sua forte passione era ritenuta da molti stravagante o bizzarra, da pochi altri quasi affascinante. Tuttavia, al di fuori della scuola, tutti preferivano ignorarla a causa delle sue stranezze. Poco tempo dopo, assistendo ad uno spettacolo circense, venne folgorata da un numero di equilibrismo. Un clown passeggiava su una corda tesa a pochi metri da terra, con le sue grosse scarpe e nonostante lo trovasse ridicolo, Sandy si illuminò di gioia, entusiasta. Un filo! Non aveva mai pensato di poter restare in equilibrio su un filo! Da quel giorno scoprì il funambolismo. Quel cavo lungo circa ottocento metri aveva ricevuto amore e infinita cura. Per anni aveva trovato posto all’aperto, nell’erba alta, affinché pioggia e sole potessero ripetutamente penetrare nelle sue fibre temprandole, educandole e rendendole così perfette e resistenti. Sandy, successivamente, ne aveva personalmente sgrassato ogni sua trama con una precisione tale da poter sfiorare il maniacale. Lo impugnava ben stretto, centimetro dopo centimetro, flettendolo un poco e riscaldandolo. Le mani le scivolavano decise sulle sue turgidità e per tutta la sua lunghezza. Per preparare un ottimo filo di una tale misura occorrono mesi; è necessario captarne ogni possibile difetto e l’essenza di ogni suo minuscolo rilievo. Per mantenerlo immobile, Sandy se lo infilava tra le cosce serrate e poi lo strofinava con cura utilizzando un panno di daino inumidito di benzina e infine lo spazzolava energicamente. In questo modo il filo veniva privato dì ogni possibile, singola e minuscola traccia di grasso che, da sola, sarebbe potuta bastare a compromettere l’intera impresa. Il miglior funambolo e il suo strumento devono raggiungere una simbiosi totale, divenendo un tutt’uno, occorre entrare in completa confidenza con la sua microstruttura, conoscerne i punti opachi o le lucidità, i piccoli rilievi o ogni debolezza e il lieve cedimento della sua trama. Sandy presenziò anche “all’aggancio”. Al mondo non esisteva nulla di più affascinante che osservare un cavo metallico “legare” due vette con la trazione e la durezza necessarie a tagliare di netto il mirabolante vuoto che naturalmente le separa, rendendole “diversamente raggiungibili”, unite artificialmente tra loro da un segmento di contatto semi‐rigido. Una tangibile rappresentazione di sfida alla natura e in contemporanea al destino e il tutto a due passi dal cielo. Il filo deve essere fissato alla roccia con l’essenziale esperienza e occorre affidarsi in tutto e per tutto al volere della montagna, affinché le sue pareti possano donare la giusta sicurezza e un valido appiglio. Ogni minimo errore di valutazione del terreno o delle sue sporgenze avrebbe potuto risultare fatale. E’ sempre importante capire il punto preciso in cui sistemare il moschettone e come regolarne il tirante in modo che il cavo possa oscillare nell’ottenimento del gioco perfetto, rendendolo una specie di filo conduttore tra spazio e tempo. Il team, servendosi di un elicottero, portò egregiamente a termine quel lavoro. Il brusio dei pochi spettatori, la cui eco risuonava grave nella valle, cessò rapidamente. La sagoma della donna, divenuta ormai solo un piccolo puntino nero, aveva raggiunto la base di partenza: una piccola piattaforma in acciaio, sporgente e quasi in cima alla vetta che, a ben vedere, si stagliava violenta spezzando l’armoniosa discesa del pendio. Sandy era pronta, in linea perfetta con il cavo. Lassù, ogni volta, sentiva svanire ogni timidezza. Tutti sostavano immobili a testa in su, in riverente attesa, in un rigoroso e innaturale silenzio nel quale anche un normale respiro avrebbe regalato a chiunque un vero e proprio sussulto di spavento. Era la trentaduesima esibizione di Sandy ormai soprannominata “Air Queen”. La donna aveva sfidato e sovrastato il cielo di ogni stato del mondo. Attraversò la Senna a venticinque metri da terra e a Tokio raggiunse i sessanta. Poi fu il turno di Cina, Germania e Londra dove passeggiò a centocinquanta metri, nell’aria e quasi toccando le nuvole. Appena in tempo riuscì ad effettuare la sua impresa anche tra le Twin Towers, soltanto qualche anno prima della loro terribile distruzione, percorrendo un cavo lungo sessanta metri a un’altezza di 200 metri e aiutata da un bilanciere che, per l’occasione, raggiunse gli otto metri. Chi riuscì ad ammirare quello spettacolo, restò per circa due ore senza fiato e a bocca aperta, osservando con tensione quell’esile e sinuoso corpicino danzare con il suo attrezzo in bilico tra vita e morte. Sandy aveva rinunciato da tempo ad ogni tipo di protezione o di messa in sicurezza. Quello che desiderava era proprio il rischio, la sensazione adrenalinica di sentirsi viva, in balia del destino. Desiderava dimostrare una sorta di invincibilità, era alla ricerca della fama e dell’immortalità. Tuttavia, in quota, si era reso necessario rinunciare al bastone. A quelle altezze l’aria sopraggiunge con folate brevi, intense e piuttosto improvvise per cui un bilanciere esposto al vento risulterebbe più pericoloso che utile. Effettuare quella traversata rappresentava la massima aspirazione di Sandy. Si era preparata e allenata per moltissimi anni, sempre supportata e incitata dal suo team. Probabilmente quella spettacolare esibizione avrebbe rappresentato l’apice della sua carriera, l’impresa straordinaria per cui tutti l’avrebbero dovuta ricordare. Avrebbe stabilito il record assoluto: la più alta traversata mai eseguita da un funambolo. Sul filo doveva avanzare leggera, non poteva permettersi alcun pensiero, alcuna emozione. Non percepiva nemmeno la brezza gelida che la carezzava sul viso. Rimase per qualche istante con gli occhi chiusi, immobile. Gli spettatori la osservavano incantati, impazienti, ammirati. Lei si percepiva importante, onnipotente. Sovrastava il mondo circondata dalle nuvole. Avanzò il piede d’appoggio, l’alluce e l’indice divennero filo e il filo si trasformò in suola. Si inginocchiò nell’aria, lentamente. Lasciò il suo ringraziamento e il suo saluto. Poi, rialzandosi con grazia e leggerezza, mosse i suoi passi fermi, stabili. Il tempo modificò la sua essenza, divenne superfluo. Tutti erano concentrati sull’attimo, sul presente, in una visione di eternità. Sandy avanzava con le braccia aperte e osservata dal basso poteva sembrare un uccello, forse un elegante falco. Tutta la tecnica risiedeva nel contatto, nella calma, nel ritmo. Sandy non riteneva di dover dimenticare il filo, viceversa anelava impadronirsene. Sapeva addirittura inghiottirlo, passo dopo passo renderlo suo, assecondando con dolcezza ogni minima vibrazione. La sua mente avrebbe soltanto dovuto mantenere ben fermo il baricentro del suo corpo situato all’incirca sopra l’ombelico. L’enormità dello spazio vuoto che la circondava le permetteva di percepirsi un perfetto microcosmo nel macrocosmo e un solo secondo di immobilità, in quella condizione, suscitava un’incredibile armonia di tutte le cose ma soprattutto della mente. Il vuoto sotto di lei le regalava ondate eccitanti di adrenalina, la vetta che stava raggiungendo emanava la più rara energia attirandola a sé, magnetica. Il suo respiro era alleggerito, non sarebbe bastato a far vibrare un solo vessillo di una piuma. Sandy aveva affidato alla terra la sua natura umana, lassù era diventata soltanto arte, in ogni possibile forma. I suoi passi si tramutarono presto in una danza ammaliante e ipnotica che suscitava negli spettatori una miriade di pulsioni, alimentava tutti i possibili desideri e i sogni di ciascuno. I raggi del sole la raggiungevano lassù meno obliqui, regalandole una luminosità quasi divina e nel suo gioco cavalcava il vuoto trasmettendo destrezza, passione, e una grande dose di erotismo. Si arrestò e tutto si fermò attorno a lei. Azzardò piano una verticale. La sua spettacolare evoluzione rasentava l’impossibile. Un cavo di ventiquattro millimetri di diametro fungeva d’appoggio alla sua nuca. Tornò delicata in posizione, ricominciò a camminare. Ora dominava il mondo che si trovava completamente ai suoi piedi. Non esisteva davvero impresa più ardua di questa, tuttavia Sandy non faticava affatto durante quell’esecuzione. Ciò che stava compiendo, di colpo, non le sembrò più nemmeno straordinario come ogni cosa che si realizza perde presto il suo fascino. Ormai era quasi alla fine, alla fine di tutto. Stava raggiungendo l’arrivo, la seconda vetta, l’altra piattaforma. Si domandò cosa sarebbe accaduto dopo. Forse la sua impresa avrebbe potuto esser presto dimenticata. Giunse una discreta folata di vento. Nemmeno la scalfì. Rimase stabile e nella postura ottimale ma percepì quell’aria trapassarla e scivolarle via, tra le gambe. Mancavano pochi metri alla meta. Si arrestò di nuovo, ancora immobile con le gambe ben ancorate all’anima della corda. Si sedette su di essa. Si lasciò scivolare all’esterno afferrandola salda con le mani e si lasciò penzolare nel vuoto. Persino le telecamere tremavano riprendendo la scena. Osservò il panorama. Per la prima volta provò l’emozione sul filo. Assaporò quella parziale assenza di gravità. Lasciò la presa di una mano. Lasciò anche l’altra. Volò via, libera e vulnerabile compiendo una caduta memorabile nel vuoto assoluto e così lo sconfisse, per sempre. Neanche gli spettatori giù a valle riuscirono ad urlare, il presentatore dimenticò di parlare. La scena fu calcata dal nulla, dal silenzio. Tutti avrebbero ricordato quell’esibizione per il resto della propria vita. “Sandy! Tocca a te. A cosa stai pensando? Non te la senti neanche oggi di salire sull’asse di equilibrio?” Sandy non rispose, abbassò soltanto lo sguardo. Il professore dispose: ” Allora ragazzi, ora potete anche cambiarvi!” Sandy seguì a distanza e solitaria i compagni mentre si avviavano agli spogliatoi della piccola palestra, il solito gruppetto di bulli si burlava di lei ridendo:” Sandy gambe matte! Perché non provi a salire sull’asse? Hai paura?” Oppure… Sandy fu ricordata per aver perso la vita nel tentativo di realizzare la più grande impresa di funambolismo in quota. Non ha importanza, forse. …Perché le nostre paure, spesso si incontrano lungo la strada che abbiamo intrapreso per dimenticarle. Allora, può darsi che occorra più coraggio nel camminare con i piedi ben saldi alla terra, piuttosto che cercare di fuggire percorrendo fili sottili e campati in aria. (Dedicato a Tancrède Melet, glorioso funambolo).